Il mistero della Grotta di Shanidar

 

 

Shanidar, una grotta dalla superficie enorme, situata nel nord-est dell’Iraq. 50.000 anni fa. Un incontro fra due specie: uomo di Neanderthal e Homo sapiens. E poi un’aggressione. L’uccisione del Neanderthal. Abbiamo a che fare con uno dei primissimi omicidi della preistoria? Forse il Sapiens agì in preda a pregiudizi razziali? Nella panoramica del Paleolitico l’episodio della Grotta di Shanidar è particolarmente importante per due motivi. Da una parte potrebbe rappresentare una delle facce, di certo la più truce, della convivenza tra Neanderthal e Sapiens; dall’altra potrebbe riaprire la diatriba infinita sulle reali capacità dell’uomo di Neanderthal e sulle sue scoperte innovative. Vediamo come e perché.

L’uomo dei fiori

Quel proiettile che uccise un Neanderthal 50.000 anni fa

Ubicazione della Grotta di Shanidar sui Monti Zagros nell’iraq settentrionale

La Grotta di Shanidar si apre nelle rocce die Monti Zagros, a più di 700 m sul livello del mare. Un’area tra Iraq e Turchia, in un territorio non troppo lontano dal misterioso sito di Göbekli Tepe e interessato dalla nascita di antiche grandi culture. La caverna rispecchia questo divenire, con i suoi diversi strati di scavo che hanno fornito reperti a partire dal Paleolitico medio per arrivare al Neolitico. Ovviamente i reperti più antichi sono tra i più affascinanti. L’archeologo Ralph Solecki scoprì, nel 1953, una sepoltura di Neanderthal che fece grande scalpore e cominciò a cambiare l’immagine dell’uomo di Neanderthal in ambiente scientifico. È vero che ancora oggi la sostanza di questo ritrovamento è molto dibattuta, è vero che per il momento rimane un enigma aperto, ma almeno ha contribuito a mettere in campo la possibilità di una vita spirituale del nostro lontano “cugino” dal grosso naso e la fronte protrusa. Perché? Il Neanderthal di Shanidar fu sepolto in un letto di fiori.

I resti fossili di questo ominide, così Solecki, risalivano a circa 60.000 anni fa. Si trattava di un uomo dai 35 ai 40 anni, deposto in posizione fetale. Intorno a lui, mazzetti di fiori. L’analisi dei pollini permise di individuare tra l’altro fiordaliso, cardo, achillea, giacinto, malva, efedra. Alcune di queste piante sono note per i loro poteri medicinali o allucinogeni. Dunque sembrerebbe che la salma del Neanderthal di Shanidar sia stata al centro di una sorta di azioni rituali operate dal altre persone della sua famiglia o del suo clan.

In un secondo tempo non mancarono gli scettici, studiosi decisi a non voler concedere alla specie di Neanderthal una vista interiore, un pensiero in qualche modo religioso, la preoccupazione per l’aldilà e la cura dei morti. Alcuni di essi insinuarono che potessero essere stati degli animali, a portare nella grotta i mazzetti di fiori e a disporli lì dove li trovò Solecki. Animali frequentatori della caverna. Personalmente trovo questa teoria abbastanza discutibile, anche perché allora questi “animali” selvatici avrebbero deposto i loro mazzetti proprio tutt’intorno alla salma per caso e devo dire che un caso del genere mi pare molto meno credibile dell’azione pietosa di individui appartenenti alla medesima specie del defunto. Ominidi, appunto. E se ipotizziamo che l’uomo dei fiori di Shanidar sia stato effettivamente sepolto in quel modo dai suoi simili, abbiamo una prova in più non solo per la presenza di una sua vita interiore spirituale, ma anche per l’affetto e la cura dei vivi nei confronti dei morti.

Evidentemente le scoperte nella Grotta di Shanidar erano appena all’inizio. I diversi strati di scavo portavano alla luce i differenti orizzonti temporali in cui gli ominidi avevano cercato riparo nell’imponente grotta per proteggersi dal freddo e dalle grandi piogge. Purtroppo l’area andava soggetta a scosse sismiche, il crollo delle rocce dall’alto determinò la morte improvvisa di chi aveva cercato un rifugio. I Neanderthal finirono sepolti sotto i blocchi di pietra. E a poco a poco, nel corso degli anni e in seguito al lavoro degli archeologi, i resti dei tre infortunati emersero dal piano di calpestio. Poi ne furono trovati altri sei. Gli scheletri della Grotta d Shanidar erano in tutto nove, due bambini e sette adulti vissuti intorno a 50.000-32.000 anni fa. Nello strato di scavo a una profondità di circa 9 metri, c’erano utensili litici di diverso tipo, resti degli animali cacciati, come cervi, volpi, caprioli. Uno degli scheletri, appartenente ad un uomo di circa 50 anni, è stato battezzato “Shanidar 1”. Si tratta di un individuo che al momento della morte si trovava in cattive condizioni di salute.

Quel proiettile che uccise un Neanderthal 50.000 anni fa

La Grotta di Shanidar. © JosephV CC BY-SA 3.0

L’analisi dei resti fossili rivelò che quest’uomo soffriva di artrite, era quasi cieco da un occhio a causa di un forte colpo sulla parte sinistra del volto, il suo braccio destro presentava diverse fratture e, a giudicare dalle anomalie alla gamba e al piede destro causate dall’artrite, doveva avere problemi di deambulazione. Tuttavia nessuno di questi mali fu la causa della sua morte e ciò significa che il suo clan si prese cura di lui per anni, altrimenti le sue menomazioni non gli avrebbero permesso di sopravvivere così a lungo.

Guerra e pace a Shanidar

E poi c’è lo scheletro “Shanidar 3” che si potrebbe definire quasi il vaso di Pandora per le accese discussioni che hanno scatenato i suoi resti fossili. Un altro individuo della specie Neanderthal, di sesso maschile, età fra i 40 e i 50 anni. Lievi segni di artrite e una morte violenta testimoniata dal solco profondo che segnò in modo indelebile la nona vertebra sul lato sinistro del torace. Il dettaglio risvegliò subito la curiosità degli esperti. Si trattava di un incidente di caccia oppure omicidio? E ammesso che si trattasse di omicidio, chi era l’assassino?

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Steven Churchill, professore di Antropologia dell’Evoluzione alla Duke University degli Stati Uniti, ha condotto diversi esperimenti insieme con i colleghi del suo team per venire a capo dell’enigma. Per far questo sono state ricostruite in laboratorio le armi da caccia usate dai Neanderthal del Paleolitico medio come coltelli litici e punte di lancia, impiegate dagli studiosi in numerosi esperimenti su cadaveri animali. Il coltello litico non si dimostrò in grado di produrre ferite di quella profondità, la traccia si adattava molto più a un tiro di zagaglia (lancia da getto). Un colpo partito da quest’arma pericolosissima poteva procurare ferite di notevole profondità corrispondenti alla medesima angolazione che doveva aver seguito, nella sua traiettoria, l’arma in questione: 45 gradi. Una zagaglia, dunque, parve essere la soluzione dell’enigma. La punta di lancia aveva colpito il Neanderthal che si trovava, in quel momento, in posizione eretta. Una lite fra individui dello stesso clan? Magari anche della stessa famiglia? I pietosi abitanti di Shanidar che deponevano con cura i loro morti su letti di fiori e si occupavano dei disabili della loro comunità, perpetravano anche spietati delitti? Il fiore e il proiettile? La pace e la guerra?

Foto: Reimund Schertzl

Repliche di lance. A destra: Lance di Schöningen numero 1, 2, 3. Nel mezzo: Lancia di Schöningen numero 4 (abete rosso) lunghezza 225 cm, peso 733 gr e un giavellotto sportivo moderno di alluminio, lunghezza 222 cm, peso 600 gr. La punta è stata ricavata asimmetricamente al di fuori del nucleo centrale troppo molle del tronco per evitare rotture durante l’uso A destra. Lancia di Lehringen (tasso) 128.000 – 115.000 anni fa, trovata nello scheletro di un elefante delle foreste cacciato da un Neanderthal nella Germania settentrionale, vicino a Brema. Museo di Neanderthal, Mettman, Germania. © Reimund Schertzl

No, dicono gli studiosi, perché l’uomo di Neanderthal all’epoca non usava zagaglie. Le sue lance (vedi i reperti della Grotta di Balver, in Germania) servivano a infilzare la preda da vicino, erano più pesanti, e se scagliate erano fatte solo per essere scagliate a mano (vedi le lance di Schöningen). Mentre la ferita sulla vertebra di Shanidar 3 suggerisce l’intervento di una zagaglia, con propulsore. L’Homo sapiens era maestro nel lancio, anzi fu proprio lui a inventare i propulsori del Paleolitico superiore, quei “prolungamenti” muniti di ganci che permettevano di scagliare le lance con maggiore velocità e precisione. Quegli strumenti che, trovati nelle grotte Ibero-francesi, presentano splendidi ornamenti intagliati nel legno oppure nel corno di animale.

L’assassino: il nostro antenato diretto?

Ed ecco che l’omicida di Shanidar assume le fattezze dell’Homo sapiens. La sua punta di zagaglia ricavata dalla pietra, un proiettile letale, sarebbe andato a colpire con intenzione il malcapitato cugino. Steven Churchill aggiunge:

“Pensiamo che la spiegazione migliore per questa ferita sia un’arma da lancio. E considerando chi all’epoca ossedeva quest’arma e chi invece no, il fatto suggerisce un episodio di aggressione fra le sue specie differenti. (…) Non diciamo che ci fu una sorta di guerra con uomini anatomicamente moderni che marciarono nella regione ed eliminarono i Neanderthal. “

Più che altro Churchill ipotizza un episodio isolato. Tanto più che, grazie alle ultime scoperte della genetica, oggi sappiamo con certezza che Neanderthal e Sapiens per un certo periodo convissero in diverse aree del Pianeta spalla a spalla e si unirono carnalmente dando alla luce individui ibridi. La mescolanza di DNA ci fu, quindi le due specie non erano fondamentalmente nemiche. Perché allora l’Homo sapiens di 50.000 anni fa uccise, a Shanidar, il cacciatore Neanderthal? Ovviamente la domanda è destinata a rimanere senza risposta.

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Propulsori di lance di Homo sapiens che spesso presentano un’impugnatura con splendidi motivi ornamentali. Repliche. Degli originali si sono conservate soltanto le estremità scolpite, poiché il materiale usato, corno di renna, è velocemente deperibile. Museo di Neanderthal, Mettman, Germania. © Reimund Schertzl

E non è la sola a rimanere tale, dato che viene da chiedersi anche qualcos’altro: e se invece fosse stato un Neanderthal a uccidere un individuo della sua stessa specie? Se lo scheletro di Shanidar 3, invece di essere la prova di questo scontro fra razze diverse, fosse la prova che l’uomo di Neanderthal di 50.000 anni fa usava anch’egli le armi da tiro di questo tipo? Perché gli indizi in tal senso non mancano. E giungono da tempi ancor più remoti.

Le famose lance di Schöningen possono essere citate come timido indizio a sostegno di tale ipotesi. L’archeologia sperimentale ha dimostrato che furono costruite con la stessa perfezione e funzionalità di un moderno giavellotto. Potevano essere scagliate a una distanza di 70 metri. E le lance di Schöningen risalgono a ben 300.000 anni fa. Un’epoca in cui l’Homo sapiens ufficialmente non esisteva e comunque non aveva ancora raggiunto l’Europa. E se le lance di Schöningen erano impiegate come armi da tiro, allora le fabbricava e le adoperava lui, l’Homo heidelbergensis: l’antenato diretto dell’uomo di Neanderthal.

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Esempio del tiro della lancia con propulsore. Cosí usava queste armi l’Homo sapiens. Museo di Neanderthal, Mettman, Germania. © Reimund Schertzl

Dunque lace da tiro, se pure non leggere, se pure differenti da quella che usò l’omicida di Shanidar. Alla luce di questi fatti, non è da escludersi che l’uomo di Neanderthal abbia affinato la sua tecnologia in materia sino a produrre, 50.000 anni fa, armi più avanzate, lance da getto leggere, come quella che uccise l’uomo di Shanidar. E se anche lui avesse fabbricato, un giorno, lance munite di propulsori? Solo un’ipotesi. I reperti per ora non ci sono. Mi rendo conto che è un’affermazione scomoda, da ricercatrice eretica. Ma deve essere fatta. Bisogna rifletterci e forse dobbiamo essere pronti a dare ancora un ritocco avanguardistico all’immagine dell’uomo di Neanderthal. Soprattutto dopo le altre scoperte più recenti (vedi flauto di Divije Babe e lisciatoi di Abri Peyrony e Pech de l’Azé) che hanno dimostrato la forza del pensiero astratto, la fantasia, la buona dose di inventiva raggiunti dall’uomo di Neanderthal. Un cacciatore musicista e raffinato artigiano.

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