Sono cuccioli dell’Era glaciale, i leoni delle caverne scoperti nel permafrost della Jacuzia, una repubblica russa situata nella Siberia orientale. Il clamore della scoperta risiede soprattutto nel fatto che le spoglie dei leoncini si trovano in perfetto stato di conservazione, anche la loro pelliccia è intatta. Piccole mummie di ghiaccio, i primi esemplari ben conservati, perché finora erano stati portati alla luce soltanto scheletri e ossa. Insomma, un unicum a livello mondiale. I leoni delle caverne nell’Era glaciale erano presenti anche in Europa e nell’Asia settentrionale. Lo testimoniano i resti fossili e le splendide pitture parietali della Grotta di Chauvet (ca. 30.000 anni fa), la “Cappella Sistina del Paleolitico”.

Cacciatori solitari?

I leoni delle caverne (panthera leo spelaea) vissero in Europa approssimativamente da 300.000 a 12.000 anni fa. Bisogna precisare subito a scanso di equivoci che la definizione zoologica non è dovuta al fatto che vivessero nelle caverne. Deriva piuttosto dal luogo dei ritrovamenti fossili in epoca moderna che sono avvenuti, come anche per gli orsi e altri animali, prevalentemente in grotte. È interessante il fatto che, in base alle analisi genetiche più recenti, il genoma dei leoni di oggi non contenga il DNA mitocondriale dei leoni della caverne. Si tratterebbe, quindi, di una specie estinta senza lasciare una traccia genetica nei felini africani. Secondo uno studio dell’Università di Tubinga, nel Paleolitico questi animali cacciavano di preferenza le renne. Ma anche i mammut, i rinoceronti preistorici, i cavalli e i bisonti andavano ad arricchire il loro menù quotidiano.

Ricostruzione di leone delle caverne in base allo scheletro che vedete sul fondo ed è la ricostruzione dell'originale scoperto a Siegsdorf, in Baviera. Mostra nella fortezza Ehrenbreitstein di Koblenz, Germania 2016 - Foto: Reimund Schertzl

Riproduzione di leone delle caverne in base allo scheletro che vedete sul fondo ed è la ricostruzione dell’originale scoperto a Siegsdorf, in Baviera. Esposizione nella fortezza Ehrenbreitstein di Koblenz, Germania 2016 © Reimund Schertzl

In rapporto al leone africano odierno, possiamo dire che le dimensioni del leone delle caverne lo superavano di circa il 10%. Si discute sul particolare della criniera, che non appare nelle raffigurazioni parietali paleolitiche delle grotte ibero-francesi, né nelle statuette dell’Aurignaziano (40.000 anni fa). Forse il leone preistorico ne era privo. Una caratteristica sembra aver differenziato poi il suo stile di caccia da quello degli odierni leoni subsahariani e anche dalle iene dell’Era glaciale: non cacciava in branco. Era piuttosto un solitario.

Talvolta i felini preistorici si nutrivano di cuccioli di orsi delle caverne. Tuttavia questi ultimi, nonostante l’aspetto imponente che senza dubbio incuteva nei nostri antenati un certo timore – erano molto più grandi degli orsi bruni -, in realtà erano erbivori e quindi se non venivano disturbati durante le loro attività quotidiane o il loro letargo invernale, non rappresentavano nessun pericolo. Ma la loro carne sembra essere stata talmente prelibata, che i poveri orsi venivano attaccati senza tregua sia da leoni sia da ominidi – è probabile che già gli uomini di Neanderthal abbiano ampiamente contribuito alla loro sparizione – e finirono così nella grande lista degli animali estinti.

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Torniamo ai leoni delle caverne. Come scrivevo più sopra, sembrano aver avuto un debole per la carne di renna. Una teoria suggerisce che proprio questo fatto potrebbe aver portato all’estinzione dei leoni stessi. Le renne, perfettamente adattate al rigido clima dell’Era glaciale, alla fine della glaciazione e con l’avvento delle temperature più miti abbandonarono l’Europa centro-meridionale spostandosi in altre zone settentrionali più fredde.

Ai leoni delle caverne venne a mancare l’elemento prevalente della loro nutrizione e si ipotizza che questo fattore abbia contribuito in modo decisivo all’estinzione dei felini nel Continente europeo. Diversa era invece la situazione dei leoni africani, i quali sembrano essere stati da sempre grandi estimatori di carne di bisonte e cavallo, e di conseguenza non si sono mai trovati a dover affrontare la sparizione delle loro… bistecche preferite.

Ricostruzione di leone delle caverne. Mostra nella fortezza Ehrenbreitstein di Koblenz, Germania 2016 - Foto: Reimund Schertzl

Ricostruzione di leone delle caverne. Esposizione nella fortezza Ehrenbreitstein di Koblenz, Germania 2016 – © Reimund Schertzl

Il miracolo del permafrost

Yakutsk, la città più fredda della terra. Qui vengono conservati attualmente i cuccioli di leone scoperti nel distretto di Abyisky, sulla riva del fiume Uyandina, un corso d’acqua poco al di sotto del Circolo Artico. Il dottor Albert Protopopov, paleozoologo dell’Accademia delle Scienze della Jacuzia, afferma:

“Questo ritrovamento è senza dubbio una sensazione. I cuccioli sono completi in tutte le parti del corpo: pelliccia, orecchie, tessuti molli e anche baffi.”

A quanto pare, il riscaldamento globale ha anche i suoi vantaggi. Uno di questi riguarda l’archeologia. Mai come oggi sono emersi tanti reperti siberiani da quel suolo che per decine di millenni li ha tenuti segreti. Oggi, con lo scongelamento del permafrost, vengono alla luce inestimabili tesori. Recentemente si sono recuperati mammut, cavalli, bisonti e rinoceronti preistorici che prima erano preda dei ghiacci, tutti in ottimo stato di conservazione. E, non per ultimi, i due cuccioli di leoni delle caverne della Jacuzia. Due piccole sagome pelose di color bruno, grandi quasi come un gatto.

Fa davvero impressione vedere le loro fotografie. Sembrano animali di pelouche. I leoncini hanno ancora gli occhi chiusi. Secondo gli esperti, sono morti molto presto, forse una o due settimane dopo il parto. Uyan e Dina – così li hanno battezzati gli scienziati russi in onore del fiume Uyandina, luogo in cui sono stati recuperati– al momento della morte si trovavano in una caverna. Le temperature estreme cui era soggetta la Siberia del Paleolitico, gelarono completamente la grotta, che divenne la tomba millenaria dei due piccoli. Per decine di migliaia di anni l’antro vegliò pazientemente il loro sonno. Un blocco di ghiaccio li proteggeva ancora quando sono stati presentati al mondo scientifico, quasi un anno fa. Uno dei piccoli, Uyan, presenta dei resti nello stomaco e si discute se si tratti di latte materno o di altre sostanze.

Inizialmente le datazioni hanno collocato i cuccioli a circa 12.000-10.000 anni or sono, ma di recente i risultati sono stati corretti in base alle nuove analisi e adesso sappiamo che i reperti dei leoncini siberiani risalgono ad almeno 25.000 anni fa! Ci avviciniamo all’epoca in cui gli abili artisti dell’Era glaciale dipingevano il fantastico branco di leoni nella grotta francese di Chauvet e il misterioso scultore tedesco di Lonetal realizzava la splendida statuetta dell’Uomo leone.

Ecco il link all’articolo del Siberian Times con le foto russe originali

Ma sarà stata davvero la sparizione delle renne europee a decretare l’estinzione di questi felini che avevano ben pochi nemici naturali? Di certo non venivano preferenzialmente cacciati dall’uomo, perlomeno non erano un bottino ambito né per la loro carne, né per la pelliccia dal pelo ispido e irsuto che non aveva nulla a che fare con la morbidezza della pelliccia di leopardo, volpe o coniglio. Erano piuttosto avversari temibili, pericolosi concorrenti.

Uomo e leone: amore-odio?

Forse erano anche ardentemente ammirati dagli ominidi per la loro forza, l’agilità e l’indiscussa abilità di cacciatori, magari venivano proiettati al centro di culti misteriosi. Il segreto di questo rapporto tutto particolare fra il leone delle caverne e l’uomo del Paleolitico rimane racchiuso nelle splendide statuette dell’Aurignaziano (40.000 anni or sono), scoperte nelle grotte tedesche. Soprattutto la statuetta dell’Uomo leone si presenta enigmatica, inquietante, e pone quesiti che sono destinati per il momento a restare senza risposta.

Anche la scienza ha i suoi misteri e non finisce mai di stupirci, soprattutto quando si legge che esistono progetti incentrati sulla clonazione di animali preistorici. Un’impresa che sembrerebbe essere possibile, dato l’ottimo stato di conservazione degli esemplari restituitici dal permafrost. Non è da escludersi che il DNA prelevato da mummie di mammut siberiani in un prossimo futuro venga usato per riportare alla vita questi giganteschi animali preistorici. Forse un giorno anche i cloni dei piccoli leoni della Jacuzia potranno tornare a correre liberi sulle immense pianure siberiane. Ma questa è musica di domani. Attualmente gli scienziati russi si accontentano di decifrare il loro genoma.

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