Nuovi interrogativi sull’evoluzione umana

In Francia, sulla riva sinistra del Rodano, c’è la Grotta di Mandrin, un sito preistorico poco noto ma eccezionale, unico al mondo. I reperti più antichi raggiungono il Paleolitico. Fra queste rocce lasciarono le loro tracce l’uomo di Neanderthal e l’Homo sapiens. Utensili appartenenti ad entrambe le specie sono rimasti imprigionati negli strati di calpestio a testimonianza del loro passaggio. Ma non solo questo: alcuni oggetti ornamentali della Grotta di Mandrin confermano l’interesse del Neanderthal per la cura del proprio corpo, e quindi la presenza di un pensiero astratto nel cervello del nostro “cugino” scomparso.

Gli artigli d’aquila

Situato nel comune di Malataverne, dipartimento Drôme, e a 45 km da Lione, il misterioso riparo è uno sperone roccioso circondato da uno splendido paesaggio verdeggiante. Si tratta di una zona archeologicamente di primaria importanza perché frequentata nel Magdaleniano dai cacciatori di renne (intorno a 13.000 anni fa), poi anche nel Neolitico, allorché (intorno al 4000 a. C.) le popolazioni agricole vi si insediarono e seppellirono i loro morti in fosse comuni all’interno della grotta; e alla fine dell’Epoca del bronzo (circa 1200- 900 a.C.) con la Cultura dei campi d’urne, quando queste genti deposero i resti dei defunti, raccolti in urne cinerarie, nei tunnel naturali di roccia. Ma la Grotta di Mandrin era stata abitata già decine di millenni prima dall’uomo di Neanderthal e dall’Homo sapiens. In epoche differenti. Fra le loro presenze sembra esserci stato un intervallo di poche migliaia di anni.

L’area interessata dalle due specie di ominidi è più che altro quella del riparo di per sé, all’ingresso della caverna, gli scavi abbracciano complessivamente i 40 metri quadrati. L’Archeologo Ludovic Slimak, che da anni lavora nel giacimento paleolitico in questione, lo definisce “il sito meglio conservato e più ricco”, anche se difficilmente accessibile al profano. Possono essere infatti organizzate delle visite rivolgendosi al comune del posto, ma per il resto si preferisce mantenere la discrezione limitando le azioni pubblicitarie per evitare un sovraffollamento che potrebbe danneggiare il sito stesso. Eccezionale è lo stato di conservazione della sequenza di insediamento, eccezionali sono le informazioni che ne derivano. I reperti includono resti umani, industria litica e di osso, arte parietale, focolari e anche strutture circolari che fanno pensare a un espediente per meglio organizzare lo spazio disponibile.

Paesaggio del dipartimento francese di Drôme in cui si trova il riparo Mandrin. Foto: Erwin Frederking GFDL/CC-by-sa-2.0-de

Paesaggio del dipartimento francese di Drôme in cui si trova il riparo Mandrin. © Erwin Frederking GFDL/CC-by-sa-2.0-de

Il riparo Mandrin fu scoperto nel 1961 da un amatore archeologo ma le ricerche sistematiche sono iniziate soltanto trent’anni dopo, nel 1991, e hanno portato al rilevamento di ben otto fasi di passaggio della specie Homo da circa 48.000 a 40.000 anni fa. Ed è proprio in questo lungo periodo che accade un cambiamento radicale nella storia dell’evoluzione umana: l’estinzione dell’uomo di Neanderthal e la definitiva conquista, da parte dell’Homo sapiens, del Continente europeo. Dunque un periodo chiave per comprendere la sparizione del Neanderthal e il successo della specie Sapiens. Il riparo Mandrin non ha lesinato i reperti. In ogni orizzonte preistorico sono state rinvenute decine di migliaia di oggetti. Una vera cuccagna per gli studiosi. Soltanto ad ascoltare qualche frase di Ludovic Slimak, c’è da farsi venire l’acquolina in bocca:

“Abbiamo trovato una grande quantità di utensili e di armi appartenenti a una cultura di cacciatori di cavalli che sono stati chiamati “Neroniani” in riferimento alla Grotta di Néron presso Valence, scavata nel 1869. Ci sono voluti ben 130-140 anni per trovare un altro sito che ci premettesse di capire il funzionamento di questa società. Inoltre a Malataverne sono stati scoperti degli oggetti sofisticati e introvabili attribuiti al quarantesimo millennio, dalle caratteristiche molto moderne. Sono stati portati alla luce anche resti umani cannibalizzati e presenti in differenti livelli di scavo.”

E poi c’erano quegli artigli di uccelli rapaci (aquile marine) ben levigati che recavano le tracce delle lame litiche dell’uomo di Neanderthal e segni misteriosi. Questi artigli sono stati rinvenuti in diversi giacimenti paleolitici francesi, italiani e in un sito di Neanderthal della Croazia. Perforati, gli artigli venivano appesi a una cordicella e fungevano da collana. Dovevano essere un oggetto di “bigiotteria” molto amato all’alba della preistoria, sia per il valore ornamentale che per qualche motivo più profondo a noi sconosciuto. Nel Paleolitico la diffusione di questi monili era grande e andava dalla Francia all’Italia, alla Repubblica Ceca, ai Balcani e sino alla Russia. Gli artigli lavorati e più antichi trovati finora sono quelli delle Grotte di Krapina, in Croazia, che contano 130.000 anni d’età. Reperti di chiara impronta neandertaliana per il contesto complessivo in cui sono stati trovati. Poi vengono quelli del sito di Combe-Grenal, nella Dordogna. Si tratta di artigli di aquila reale rivenuti in un giacimento datato intorno ai 90.000 anni fa. Altri noti siti italiani risalgono a 60.000-45.000 anni fa. Basti ricordare il giacimento di Rio Secco e quello di Fumane nel nord della Penisola che fece parlare molto di sé anche per il reperto delle penne d’uccello ornamentali che l’uomo di Neanderthal probabilmente usava per decorare la sua chioma.

Artiglio d'aquila scoperto a Krapina, Croazia. Foto: PLoS CC BY 4.0

Artiglio d’aquila scoperto a Krapina, Croazia. © PLoS CC BY 4.0

Bisogna infine sottolineare la presenza delle misteriose incisioni individuate su questi artigli che, anche secondo le analisi degli esperti, sicuramente non sono dovute al caso e dovevano avere valore simbolico. Le aquile marine, cui appartenevano gli artigli lavorati dai Neanderthal, erano uccelli molto rari e difficili da cacciare anche in quelle epoche remote. Si trattava perciò di monili dal grande valore.

Impronte di mani, colori per il corpo e dischi misteriosi

Gli artigli d’aquila potrebbero aver avuto una funzione apotropaica di amuleto, potrebbero aver indicato l’appartenenza a un determinato clan di cacciatori, a una famiglia. Una sorta di segno di riconoscimento, come forse anche le Veneri del Paleolitico. In ogni caso, indipendentemente dal loro significato, sicuramente erano oggetti dal forte valore simbolico. L’animale-totem, potente elemento alla base di diverse società di cacciatori-raccoglitori. E qui si spalanca una porta già socchiusa sull’universo a noi segreto dell’uomo di Neanderthal. Un mondo che di certo aveva una chiara componente astratta, una dimensione in cui simboli e immagini rivestivano un ruolo chiave. Impossibile, perciò, parlare dell’uomo di Neanderthal come di un bruto. La sua „reputazione“ in ambiente scientifico sta cambiando dal giorno alla notte.

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Ho detto più sopra: ”una porta già socchiusa”. Sì, perché ci sono quegli altri ritrovamenti che hanno portato alla medesima conclusione: pigmenti colorati, penne d’uccello e conchiglie. Creatività e spiritualità. A ciò si aggiunge poi la scoperta clamorosa e dibattuta del flauto sloveno di Divije Babe, di cui parlo in altro articolo, uno strumento che dimostra l’interesse del Neanderthal per la musica. Anche se non si tratta di oggetti artistici, vorrei inoltre ricordare i famosi „lissoirs“, lisciatoi per lavorare le pelli, scoperti in due ripari della Dordogna. Utensili di lavoro tecnicamente perfetti che rendevano le pelli impermeabili e morbide e che l’Homo sapiens, a differenza del Neanderthal, 40.000 anni fa ancora non conosceva. Uno strumento dovuto all’inventiva del nostro „cugino“. Il pensiero di un essere umano capace di creare oggetti di questo tipo, talvolta anche privi di un carattere prettamente funzionale collegato alle attività quotidiane e sconfinanti nell’astrazione, era di certo molto più complesso di quello attribuito al Neanderthal negli ultimi secoli.

Ricostruzione di Neanderthal, Museo di Neandertahl di Mettmann. Foto: Sabina Marineo

Ricostruzione di Neanderthal, Museo di Neandertahl di Mettmann. © Reimund Schertzl

Del resto alcuni anni fa il paleoantropologo portoghese Joao Zilhao aveva scoperto in un giacimento paleolitico spagnolo, situato nella provincia di Murcia, delle conchiglie usate da alcuni individui della specie Neanderthal come contenitori di pigmenti colorati. Si potrebbero definire contenitori per il trucco. Una di queste conchiglie, recuperata nella Cueva Antón, conteneva ancora i resti di pasta rossiccia. È probabile che il Neanderthal usasse le polveri colorate impastate con l’acqua per dipingersi il volto e il resto del corpo. Pigmenti gialli, neri, rossi. Una cura del corpo esclusivamente volta a fini estetici oppure anche magico-religiosi? Probabilmente entrambi. Ma Joao Zilhao va ancora più in là e pone domande imbarazzanti su altri reperti della stessa epoca. Per esempio, le impronte colorate di mani scoperte all’interno della grotta spagnola Cueva del Castillo.

Il maestro: Neanderthal oppure Sapiens?

Datazione del sito: 40.800 a. C. Ebbene, Zilhao ipotizza che gli artefici di queste prime creazioni artistiche potrebbero essere stati individui della specie Neanderthal, non Sapiens. Se questo è vero, l’uomo di Neanderthal fu il primo ad aver adottato la pittura rupestre all’interno delle grotte. Tanto più che accanto alle impronte di mani vi sono anche delle forme discoidali color ocra, forse altri simboli, una sorta di “scrittura” ante litteram. L’opinione di Zilhao pesa parecchio, anche perché fu proprio lui a postulare, in seguito agli studi approfonditi svolti sui resti fossili trovati nella rotta rumena di Pestera cu Oase, un’ibridazione fra Neanderthal e Sapiens.

La sua teoria, inizialmente rigettata, è stata confermata di recente dalle ricerche genetiche del Max Planck Institut di Lipsia. Il genetista Svante Pääbo ha dimostrato che ibridazione fra le due specie vi fu senza ombra di dubbio, e che tutti gli abitanti della terra (ad eccezione delle genti di origine sub-sahariana) portano nel proprio DNA una percentuale del genoma neandertaliano. Anzi, sembrerebbe che l’uomo di Neanderthal si sia estinto proprio in seguito all’ibridazione con il Sapiens a causa della maggiore estensione della rete sociale di quest’ultimo che finì per conquistare, moltiplicandosi con maggiore rapidità, tutto il pianeta.

Neanderthal o Sapiens? Chi dei due fu il primo artista? Per capire il dilemma lanciato dalle impronte di mani della grotta spagnola, bisogna tener conto che l’esempio più antico di arte rupestre dell’Homo sapiens in Europa risale “soltanto” a 37.000 anni fa. Si tratta di un’incisione che rappresenta genitali femminili. Mentre le mani di Cueva del Castillo sono di quasi 4000 anni più antiche. Decine di millenni separano poi le impronte di mani spagnole dalle fantastiche pitture di Lascaux, Chauvet o Altamira. Si tratterebbe quindi di un caso isolato nel panorama artistico del Paleolitico, senza continuità. Sarebbe come dire che dopo le mani di Castillo non ci fu più nulla, un buco nero, almeno fino all’incisione della vulva francese.

Cueva del Castillo, Cantabria. Bisonte e impronte di mani. Foto: http://www.cantabria.es/web/comunicados/detalle/- für/journal_content/56_INSTANCE_DETALLE/16413/1286185 CC BY 3.0

Cueva del Castillo, Cantabria. Bisonte e impronte di mani. © http://www.cantabria.es/web/comunicados/detalle/- für/journal_content/56_INSTANCE_DETALLE/16413/1286185 CC BY 3.0

 

Del resto qui si torna al solito problema: come mai non sono stati ritrovati ulteriori esempi dell’arte dell’Homo sapiens più antichi di quelli europei in altri continenti? Come mai questo impressionante flusso di creatività del Sapiens scaturì soltanto in Europa intorno a 40.000/20.000 anni fa e non altrove? Eppure l’Homo sapiens aveva lasciato la culla africana già da molto tempo. Recenti studi basati sulla genetica hanno rivelato che il nostro antenato giunse in Australia molto prima di ciò che si era sempre creduto, addirittura intorno a 100.000 anni or sono! E in tutto questo tempo, in nessun altro continente fiorì la sua arte così come in Europa. Perché?

La risposta potrebbe forse giungere dalle particolari condizioni climatiche europee? Ci furono periodi di grande freddo in cui i ghiacci ricoprirono gran parte del Continente. Eppure anche in Europa le fasi più rigide della glaciazione furono inframmezzate da periodi relativamente miti. Inoltre alcune vaste aree furono sempre libere dai ghiacci, favorendo così le migrazioni delle popolazioni in cerca di nuove possibilità di caccia come pure di insediamento. La soluzione all’enigma potrebbe essere racchiusa proprio in quei pochi millenni di convivenza dell’uomo di Neanderthal e dell’Homo Sapiens spalla a spalla nel Continente Europeo? Fu da questo singolare, irripetibile incontro che scaturì la scintilla della creatività? Dallo scambio di esperienze e dall’ibridazione di due ominidi differenti? In ogni caso, anche secondo l’opinione di Zilhao, quando avvenne il fatidico incontro fra le due specie – in Europa intorno a 45.000 anni fa – Neanderthal e Sapiens avevano raggiunto lo stesso livello di sviluppo culturale.

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