Ebbene sì, l’uomo di Neanderthal non finisce mai di stupirci. Per lungo tempo si era pensato che questo nostro lontano parente fosse esclusivamente carnivoro e si cibasse soltanto dei grandi mammiferi, giganteschi elefanti dalle zanne dritte e mammut, che solcavano gli sconfinati paesaggi eurasiatici coperti di steppa e tundra del Paleolitico. Oggi i risultati delle analisi condotte dagli esperti dimostrano che non era così. Questi ominidi si nutrivano sia di carne sia di vegetali che sottoponevano, talvolta, a cottura. Erano anche in grado di curarsi ricorrendo a semplici rimedi naturali dalla stessa efficacia delle sostanze antidolorifiche e antibiotiche che oggi ci vengono prescritte dal medico.

Il Neanderthal sulla bilancia. Ma quanto mangiava?

Nel suo bellissimo saggio “Néandertal mon frère” scritto insieme al giornalista Francois Savatier, la paleoantropologa Silvana Condemi dell’Università di Marsiglia afferma che a partire da 120.000 anni fa i Neanderthal di tutta Europa erano prevalentemente carnivori e traevano le loro proteine dal consumo di grandi erbivori, primi fra tutti i giganteschi elefanti dalle zanne dritte, gli orsi delle caverne oppure i pelosi mammut. L’osservazione della studiosa si basa su considerazioni molto interessanti che riguardano il fabbisogno calorico di questo ominide particolarmente robusto, grande cacciatore dalla vita movimentata. In particolare Condemi e Savatier si richiamano a studi effettuati da un team dell’Università di Illinois.

Partendo dalla formula dell’odierno metabolismo basale tipico di uomo e donna (approssimativamente 1800-2000 chilocalorie al giorno nel caso di individui giovani di medio peso e taglia), i ricercatori hanno tentato di calcolare almeno approssimativamente il fabbisogno giornaliero di un individuo della specie Neanderthal. Si capisce bene che l’operazione non è facile, perché purtroppo non abbiamo esemplari di Neanderthal viventi. Si possono soltanto utilizzare modelli studiati a tavolino ed elaborati dal computer tenendo sempre in considerazione diversi fattori propri del sesso, dell’età, della struttura fisica e della vita quotidiana del Neanderthal che, ovviamente, in una certa misura sono il risultato di ipotesi, anche se si tratta di ipotesi parzialmente costruite su dati scientifici effettivamente presenti.

Innanzitutto bisogna conoscere il peso medio di un Neanderthal. Questo è stato dedotto sulla base di 12 scheletri completi. Si pensa che una donna in media pesasse intorno ai 55 kg e un uomo intorno ai 65. Questo dato è stato poi rapportato a diversi altri fattori come la forza fisica, l’età, il tipo di vita e, non per ultimo, l’elemento delle oscillazioni climatiche. Si è preso come riferimento il modello di individui della nostra epoca di età giovane e molto sportivi, considerando però che un Neanderthal nel fiore degli anni, attivo e in buona salute avrebbe superato, dal punto di vista delle condizioni fisiche, un atleta odierno.

Il risultato della ricerca ha portato alle seguenti conclusioni: sottoposto alle normali condizioni di vita, l’uomo di Neanderthal bruciava giornalmente una quota minima di 4.422 calorie. Se poi si calcolava il fabbisogno calorico dovuto alle battute di caccia, il valore finale raggiungeva quasi 7000 calorie al giorno. Dunque una cifra che giustifica senz’altro un elevato fabbisogno di proteine animali anche considerando i periodi di freddo estremo, e di conseguenza l’alimentazione carnivora e la caccia a quadrupedi di grandi dimensioni che potevano assicurare elevate quantità di carne (e quindi di proteine) non ad un solo individuo, ma a tutto il clan. Questa osservazione non fa una piega ed è coerente con i reperti fossili portati alla luce in differenti giacimenti paleolitici.

I vegetariani di El Sidrón

Ma, come spesso accade, le cose si rivelano molto più complesse. Nuovi studi dimostrano che anche in questo ambito la questione va riveduta e c’è ancora tanto da scoprire. Se è vero che l’ominide recuperato nel XIX secolo nella valle tedesca di Neander, colui che diede il nome alla specie, si nutriva esclusivamente di carne, sappiamo invece che la dieta dei neandertaliani di Gibilterra dava molto spazio al pesce e ai frutti di mare. Anche foche e delfini arricchivano il menu di questi ominini che vivevano sulle sponde dell’oceano.

Disegno di mandibola di Neanderthal della Grotta El Sidrón, Spagna. Copyright: Wikirictor CC BY SA 4.0

Inoltre degli studi incentrati sulla placca dentale di quattro esemplari di Neanderthal scoperti nelle Grotte di Spy (Belgio) e di El Sidrón (Spagna) presentano un quadro ancora differente. Nel caso dei Neanderthal spagnoli, gli esperti hanno esaminato le placche dentali di individui vissuti da 50.000 a 42.000 anni fa, quindi abbiamo a che fare con il genoma tratto da placche dentali più antico che sia mai stato analizzato finora. Il team era capeggiato dalla dottoressa Laura Weyrich dell’Università di Adelaide, Australia. Lo studio di questi reperti riveste la massima importanza poiché, come spiega la dottoressa australiana:

“Nella placca dentale si trovano i microorganismi che vivono nella cavità orale e gli elementi patogeni presenti nelle diverse vie respiratorie e gastrointestinali, ma anche dei resti di cibi scivolati fra i denti. Questi depositi naturali permettono la conservazione del DNA per migliaia di anni.”

E le analisi hanno portato ad un risultato sorprendente. Se i Neanderthal della grotta belga di Spy consumavano oltre alla carne anche vegetali e funghi, quelli spagnoli di El Sidrón si nutrivano quasi esclusivamente di vegetali, radici, funghi e frutti selvatici. Vegetariani anti litteram? Dice Weyrich:

Presso i Neanderthal della Grotta El Sidrón non vi era alcuna traccia della consumazione di carne, essi adottavano un’alimentazione principalmente (o esclusivamente?) vegetariana che comprendeva pinoli, muschi, funghi e corteccia d’albero (…)”

Grotta di Spy, Belgio, in cui sono stati portati alla luce numerosi reperti di Neanderthal. Tra questi, nel 1886, il cranio presentato più sotto. © Krocat CC BY 3.0

Antibiotico senza ricetta medica

Le sorprese non erano finite. Gli studiosi hanno rilevato che uno dei Neanderthal di El Sidrón aveva sofferto di un ascesso dentale. La malattia aveva lasciato i suoi segni sull’osso mascellare, laddove la placca dentale segnalava la presenza di un parassita annidato nell’intestino che doveva aver provocato nel povero soggetto in questione gravi disturbi gastrointestinali. Ebbene, questo Neanderthal aveva tentato di contrastare la malattia curandosi con un rimedio proveniente dalla natura. Aveva ingerito un fungo e antibiotico naturale equivalente all’odierna penicillina. Per calmare il dolore, masticava invece della corteccia di pioppo che contiene acido salicilico, un analgesico presente nell’Aspirina.

Ciò significa che l’uomo di Neanderthal di El Sidrón – oppure un altro individuo del suo clan – possedeva una buona conoscenza delle piante medicinali e anche delle proprietà antibiotiche di certi funghi. È forse proprio quest’ultima constatazione a sorprendere maggiormente. I Neanderthal spagnoli avrebbero utilizzato gli antibiotici 40.000 anni prima che l’impiego medico della penicillina venisse “scoperto” nel mondo occidentale.

Del resto già qualche anno addietro lo studio condotto da un team internazionale coordinato dall’Università di Barcellona aveva dimostrato lo spiccato interesse dei Neanderthal di El Sidrón per i rimedi naturali. Esaminando dei resti risalenti a 50.000 anni fa recuperati nella grotta spagnola ed analizzati con l’impiego dello spettrometro di massa e del microscopio elettronico, erano stati rilevati dei microfossili di piante medicinali. Inoltre le analisi hanno portato alla conclusione che alcuni dei vegetali ingeriti dagli occupanti della caverna erano stati prima sottoposti a cottura. Uno dei soggetti esaminati aveva ingerito achillea millefoglie (achillea millefolium), un astringente e cicatrizzante naturale, e della camomilla, un elemento dalle note proprietà antiinfiammatorie.

Cranio di Neanderthal scoperto nel 1886 nella Grotta di Spy, Belgio. © We-El CC BY-SA 3.0

Ricordo, a tal proposito, che resti di pollini di achillea millefoglie erano stati trovati anche nella celebre grotta irachena di Shanidar, intorno alla sepoltura di un uomo di Neanderthal collocata nella caverna. Le ossa del defunto si presentavano circondate anche da altre piante e fiori che parevano essere stati ordinati con cura, a mazzetti, intorno al morto come fossero un semplice corredo funerario. Più tardi si è argomentato che la deposizione dei fiori non era opera di ominini. Sarebbero stati accumulati in quel punto della grotta da animali del luogo, i piccoli roditori della specie meriones persicus.

È possibile. Tuttavia le scoperte degli ultimi anni hanno confermato che l’uomo di Neanderthal seppelliva i suoi morti, ed ora, grazie al lavoro del team di Barcellona, sappiamo che l’uomo di Neanderthal era sicuramente a conoscenza delle proprietà straordinarie di queste piante medicinali. Anche dell’achillea. Quindi non si può escludere del tutto che siano stati sul serio i parenti del Neanderthal iracheno a raggruppare i mazzetti di fiori intorno alla salma, tra le rocce della grotta di Shanidar. Un ultimo gesto di pietas per il caro scomparso.

I cuochi di Spy e i pescatori di Gibilterra

La grotta irachena di Shanidar è legata anche a degli studi realizzati dal dipartimento di Antropologia del Museo di Storia Naturale Smithsonian. Nel corso della loro ricerca, Amanda Henry e Dolores Piperno hanno effettuato delle analisi su denti di Neanderthal provenienti dalla caverna di Shanidar e dalla grotta belga di Spy. Anche in questo caso la placca dentale ha parlato chiaro rivelando che gli ominini, pur non nutrendosi esclusivamente di vegetali, arricchivano però con frutti, radici, funghi e legumi la loro dieta. E anche in questo caso, come nella caverna di El Sidrón, alcuni alimenti recavano alterazioni fisiche dovute al processo di cottura. Una prova evidente del fatto che i Neanderthal bollivano ed arrostivano i loro cibi.

Riassumendo possiamo quindi affermare che la nutrizione dell’uomo di Neanderthal era molto varia e probabilmente dipendeva anche – e forse principalmente –  dal luogo di insediamento del clan in questione. Le genti che vivevano nelle vicinanze del mare si cibavano abbondantemente di pesce e frutti di mare, mentre quelle che avevano a portata di mano la selvaggina delle steppe preferivano una dieta più carnivora. A ciò si aggiunge, ovviamente, l’elemento climatico. Nei periodi di freddo estremo e nei territori maggiormente interessati da temperature basse, la carne era più adatta a soddisfare il fabbisogno calorico dei grandi cacciatori. In ogni caso anche i vegetali, i legumi, le radici, i funghi, i muschi e i frutti rivestivano un ruolo importante nell’alimentazione della specie. Inoltre i Neanderthal mangiavano cibi cotti, un fattore che secondo la “Expensive Tissue Hypothesis” può aver incrementato l’aumento della massa cerebrale, e conoscevano i benefici delle piante medicinali.

Gorham’s Cave, Gibilterra. I Neanderthal che abitavano in questo territorio si nutrivano abbondantemente di pesce e frutti di mare. © Gibmetal77 CC BY 3.0

Piano piano si cristallizza un “nuovo” uomo di Neanderthal del tutto differente da come l’avevamo immaginato nel passato. E poi le conoscenze più recenti smontano le vecchie teorie, come per esempio quella che riconosceva proprio nell’alimentazione ricca di proteine del Neanderthal l’elemento decisivo che un giorno avrebbe decretato la sua estinzione. L’uomo di Neanderthal, si diceva, era quasi esclusivamente carnivoro e si cibava di grossi animali. Quando questi – sia per cause climatiche che per overkill o altri motivi – si estinsero, venne a mancargli quell’apporto nutrizionale principale di cui aveva sempre fruito per centinaia di migliaia di anni e la sua specie piano piano scomparve. Mors tua vita mea, il problema del Neanderthal sarebbe stato il vantaggio dell’Homo sapiens che, armato della leggera e maneggevole zagaglia, cacciava cavalli selvatici e animali più veloci dalle dimensioni meno imponenti. Selvaggina che si moltiplicava dovunque a vista d’occhio sostituendo i giganti delle steppe.

Ora si vede bene che questa teoria non regge. Nonostante l’uomo di Neanderthal sia stato senz’altro un esperto cacciatore di selvaggina grossa (pensiamo soltanto ai mammut o agli elefanti dalle zanne dritte i cui resti fossili sono stati scoperti in numerosi giacimenti paleolitici neandertaliani), era flessibile e industrioso, sapeva adattarsi alle diverse situazioni geoclimatiche, non temeva modifiche alla sua dieta alimentare e non disdegnava nemmeno i vegetali, anzi li utilizzava per curarsi. E poi ci sono gli ultimi della specie, quelli di cui parlavo più sopra, i Neanderthal sopravvissuti a Gibilterra almeno sino a 30.000-24.000 anni fa (le datazioni divergono) che hanno vissuto per decine di millenni adottando una nutrizione a base di pesce. Di scoperta in scoperta, le differenze fra l’uomo anatomicamente moderno e il suo cugino estinto perdono sempre più d’importanza. Forse un giorno ci riconosceremo in lui, nella calda scintilla di umanità oltre i suoi lineamenti marcati, come in uno specchio.

 

 

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