C’è una grande differenza tra vedere un reperto archeologico in fotografia e poterlo ammirare dal vivo. Anche se protetto da una vetrina di vetro blindato. Anche se in un museo frequentato da molti visitatori, da gruppi scolastici che riempiono le sale di voci, risate, rumori. E quale sarebbe, allora, la nostra impressione se potessimo utilizzare una macchina del tempo e tornare indietro in quei paesaggi del Paleolitico Superiore? Se potessimo vedere, per esempio, la Venere di Laussel così com’era originariamente, scolpita su una parete rocciosa della Dordogna? Oggi il bassorilievo si trova nel Museo Archeologico d’Aquitania, a Bordeaux. Un tempo si trovava in aperta campagna, nella valle del fiume Grand Beune.

Una valle costellata di grotte e ripari

La parete rocciosa di calcare che segue il corso del fiume Grand Beune è impressionante. Una lunga falesia morta che s’incurva come una muraglia giallastra e concava interrompendo il paesaggio verde di erba, alberi sottili, cespugli incolti. È piena di anfratti, ripari. Luoghi che conoscono una storia antichissima e nel Medioevo furono abitati dai cosiddetti “trogloditi”, genti che costruivano dinanzi alle caverne naturali strutture in legno. Ci vivevano, si sporgevano dalle fenditure di roccia come da buie finestre mute, abitavano nell’ombra perenne delle grotte. Magari a pochi passi da un castello nobiliare. A volte direttamente al di sotto di esso, come nel caso del vicino maniero di Commarque.

Qui nella Dordogna ogni passo è una favola, ogni pietra racconta incredibili storie perdute nell’oblio del tempo. In questo territorio i siti paleolitici si susseguono come perle di una stessa collana: Laussel, Commarque, Cap Blanc, La Grèze, Les Combarelles. Dappertutto, poco lontano dai corsi d’acqua, i nostri antenati cacciatori-raccoglitori hanno lasciato delle tracce. Per chi intende seguirle è una ricerca senza fine.

La cossiddetta „Carta da gioco“, figura femminile doppia scoperta per prima nel riparo di Laussel, oggi esposta al Museo Archeologico di Aquitania, Bordeaux. ©Reimund Schertzl

A Laussel si cominciò a scavare sin dalla metà del XIX secolo, ma fu soltanto nel 1908 che il dottor Jean-Gaston Lalanne prese in gestione il terreno da un banchiere parigino con l’intenzione di far eseguire degli scavi sotto la direzione di Raymond Peyrille. Alcuni anni dopo (tra il 1911 e il 1912) monsieur Peyrille scoprì su una formazione rocciosa dell’omonimo riparo il bassorilievo della Venere di Laussel. Esistono ancora alcune vecchie fotografie in bianco e nero che mostrano l’eccezionale scultura nel suo stato originario, sulla roccia, poco dopo la scoperta. Il reperto si trovava protetto in uno strato di terreno del Gravettiano superiore (ca. 28.000 anni fa).

Dunque la signora con il corno di Laussel è una delle “Veneri” paleolitiche più antiche in assoluto. Pochi però sanno che non era sola. Il giacimento paleolitico di rivelò la presenza di quattro sue misteriose sorelle. Purtroppo i lavori di scavo di Peyrille furono eseguiti in modo più che trasandato, danneggiando i reperti a colpi di piccone, senza documentare i ritrovamenti, rimovendo i reperti dal sito originario in modo brutale. Insomma, un disastro. La Venere di Laussel fu letteralmente tagliata via dalla roccia in fretta e senza la dovuta cura, Si giunse al punto di rubare. Uno dei reperti più importanti fu fatto sparire subito all’insaputa del dottor Lalanne e venduto al miglior offerente. La storia delle donne di pietra di Laussel ha dell’incredibile.

Venere con il copricapo a rete, l’originale si trova al Museo Archeologico di Aquitania, Bordeaux. ©Reimund Schertzl

Donne, donne e ancora donne: un santuario al femminile?

Una volta strappata alla roccia, la signora con il corno fu trasportata nel museo privato del dottor Lalanne, a Bouscat, dove si trovava anche la sua clinica psichiatrica di Castel d’Andorte. Ma nel 1960, alla morte di Lalanne e in occasione della costruzione del Museo Archeologico d’Aquitania a Bordeaux, la famiglia del defunto donò tutti i reperti in suo possesso al museo, tra cui la Venere di Laussel e altri preziosi bassorilievi scoperti nel medesimo giacimento paleolitico. Ho scritto più sopra che la signora con il corno non era sola, che vi erano altre Veneri a Laussel. Qual era il loro aspetto? In che punto del riparo vennero alla luce?

Al secondo interrogativo è difficile dare una risposta. A causa della mancanza di una documentazione appropriata, sappiamo soltanto che la prima scoperta riguardò una rappresentazione femminile bizzarra, una sorta di immagine doppia detta “Carta da gioco” (vedremo più avanti di che si tratta). E, stando alle poche informazioni tratte dagli scritti privati del dottor Lalanne, questo bassorilievo si sarebbe trovato pressappoco nell’area centrale del riparo, in un orizzonte del Solutreano inferiore, ma secondo l’opinione odierna degli esperti – anche sulla base dell’analisi dell’elemento stilistico – sarebbe da collocarsi invece nel Gravettiano (28.000-22.000 anni fa).

Dopo la “Carta da gioco” ebbe luogo la scoperta della “Venere di Laussel”, la signora con il corno. Poco più tardi emerse un altro bassorilievo femminile detto “Venere con il copricapo a rete” a causa delle incisioni che presenta sul capo (forse una sorta di retina, ma potrebbe essere anche una pettinatura). Fu scoperta a circa 2 metri di distanza dalla signora con il corno, sempre in un orizzonte del Gravettiano. A quattro metri di distanza dalla “Venere con il copricapo a rete”, venne alla luce un altro blocco litico con la sagoma di una figura umana dal sesso indefinito che in primo momento fu denominata il “Cacciatore”, mentre oggi si tende a pensare che rappresenti anch’essa una figura femminile. Infine emerse dalla terra di Laussel una quinta ed ultima donna, la cosiddetta “Venere di Berlino”. Insomma, mi pare più che evidente che abbiamo a che fare con un riparo del Gravettiano in cui prevale l’importanza dell’elemento femminile.

La quarta immagine femminile scoperta nel riparo di Laussel e detta erroneamente „Il cacciatore“. Originale esposto oggi al Museo Archeologico di Aquitania, Bordeaux. ©Reimund Schertzl

Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che si trattasse di una sorta di santuario anti litteram dedicato a divinità femminili. Altri propendono per un luogo d’iniziazione riservato alle giovani donne. Idee accattivanti, soprattutto perché nello strato più profondo dell’Aurignaziano fu trovato un blocco litico con incisioni di vulve. Questo sembrerebbe indicare che il giacimento di Laussel fu, per millenni, un luogo consacrato all’elemento femminile. Inoltre bisogna evidenziare che poco lontano da Laussel si trova la Grotta di Commarque, sulla cui parete nel Magdaleniano, accanto a una splendida testa di cavallo, fu incisa una vulva simbolo del femminino sacro.

Il giacimento di Laussel è un luogo eccezionale per la sequenza stratigrafica del Paleolitico medio e superiore che va dal Musteriano (ca 200.000-40.000 a.C.) all’Aurignaziano (ca. 40.000-28.000 a.C.), al Gravettiano (ca. 28.000-22.000 a.C.), al Solutreano (ca. 22.000-18.000 a.C.), al Magdaleniano (ca. 18.000-12.000 a.C.). Ciò dimostra che il riparo fu frequentato per decine di millenni! Tra un orizzonte e l’altro si trova uno strato di detriti sterile che corrisponde ad un periodo di abbandono del luogo, ossia un periodo in cui il sito non fu abitato da esseri umani. Ma incredibile è anche la storia dei suoi reperti, di uno in particolare: la Venere di Berlino.

Odissea di una Venere di pietra

La Venere di Berlino fu l’ultimo bassorilievo portato alla luce durante gli scavi diretti da monsieur Peyrille. Ebbene, la scoperta non venne nemmeno segnalata al dottor Lalanne. Nonostante la manovra di Peyrille fosse osservata da ben quattro testimoni, questi tenne la Venere per sé con l’intento di venderla e farne profitto. L’offrì ad un professore di Bonn appassionato di archeologia, Max Verworn, per 25.000 franchi (all’epoca una somma molto elevata). Il francese aveva già concluso diversi “affari” dubbiosi con quest’uomo, vendendogli altri reperti sottratti nascostamente dal sito di Laussel. Fallito il tentativo con Verworn, Peyrille propose il reperto al Museo Geologico dell’Università di Bonn che però non riuscì a racimolare la somma da lui richiesta. La Venere finì quindi per essere acquistata dal Museo Etnologico di Berlino.

Quando, alcuni mesi dopo, il dottor Lalanne venne a sapere dell’appropriazione indebita di Peyrille e della vendita del reperto al museo berlinese, si recò subito nella città tedesca. La Venere era esposta nello studio del professore Carl Schuchhardt, conservatore del museo. Dinanzi alle proteste di Lalanne, lo studioso si difese dicendo di non essere al corrente del furto e di aver sempre creduto che Peyrille fosse il legittimo proprietario dell’opera, così come di altri artefatti, e di aver acquistato la Venere in buona fede.

La „Venere di Berlino“. L’originale è purtroppo perduto, un calco si trova oggi al Museo Archeologico di Aquitania, Bordeaux. ©Reimund Schertzl

A questo punto al dottor Lalanne non restava altro che denunciare Raymond Peyrille, in quale fu arrestato e condannato a sei mesi di prigione. Tuttavia non gli fu possibile ottenere la restituzione del reperto, perché acquistato dal professore tedesco in buona fede. Ma evidentemente il destino non voleva che la Venere di Berlino riposasse in pace e il bassorilievo andò perduto durante la Seconda guerra in seguito ai bombardamenti del 1945 che distrussero il museo berlinese. Di questa quinta signora di pietra rimangono solo una fotografia in bianco e nero e qualche calco.

Le cinque signore di Laussel

Osserviamo ora da vicino le cinque signore di Laussel che, oltre ad essere bassorilievi estremamente affascinanti di per sé, sono eccezionali per essere state scoperte tutte insieme in un unico giacimento paleolitico. In un orizzonte di 28.000 anni fa. La signora con il corno è sicuramente la più famosa, tant’è vero che è lei ad essere nota in tutto il mondo come Venere di Laussel. Con i suoi 47 cm di altezza su un blocco di calcare di 54 cm, è una figura umana dalle dimensioni eccezionalmente grandi nel panorama del Paleolitico.

Una donna dalle forme abbondanti, come molte altre Veneri dell’Età della Pietra, come la famosa statuetta austriaca di Willendorf. Forse raffigura una donna incinta. Una mano scolpita con cura poggia sul ventre, quasi a voler evidenziare il suo stato di donna gravida, l’altra regge un corno dal significato enigmatico, probabilmente un simbolo di abbondanza e fertilità. In ogni caso il corno è solcato da tredici incisioni verticali che potrebbero simboleggiare le fasi lunari. Non è da escludersi che si tratti di un oggetto cerimoniale, oppure anche di uno strumento musicale, come suggerisce l’etnomusicologo D. Huyge.

Blocco di calcare con vulve recuperato nel riparo di Laussel. Originale al Museo Archeologico di Aquitania, Bordeaux.©Reimund Schertzl

Altro dato interessante che concerne questo misterioso oggetto è la lettura fatta da alcun studiosi che vi riconoscono un corno di bisonte. L’associazione donna/bisonte è un tema ricorrente nell’arte del Paleolitico francese. Pensiamo soltanto alla pittura rupestre della Grotta di Chauvet, a Vallon Pont D’Arc, che raffigura un pube di donna sul corpo di un bisonte. E teniamo presente che le pitture di quest’ultima caverna sono tra le più antiche del mondo, risalgono ad almeno 35.000 anni fa (Un’altra associazione frequente è: donna/mammut).

Il volto della signora con il corno è privo di lineamenti e sembra che così sia stato voluto sin dall’inizio dallo scultore sconosciuto. Del resto anche questa è una delle caratteristiche tipiche delle Veneri paleolitiche che, per la maggior parte, sono donne senza volto. I lineamenti non avevano importanza. Non si trattava di ritratti di persone conosciute, bensì di raffigurazioni sacre, fuori dalla realtà, idealizzate, dal valore universale.

Altro particolare misterioso: sul fianco destro della Venere di Laussel è incisa una “Y” di 2,5 cm di lunghezza. Ancora un tipico attributo femminile che richiama la vulva. Originariamente la scultura era colorata con ocra rossa, ancora si vedono le tracce del pigmento. Un colore che connette, proprio come un fil rouge, manufatti, utensili, pitture parietali di tutto il Paleolitico ed è, probabilmente, un riferimento al sangue mestruale della donna portatrice di vita.

L’altra sorella, la Venere con il copricapo (blocco di calcare di 54 cm, 38 cm di larghezza e 10 cm di spessore, figura di 47 cm di altezza) presenta seni esageratamente grandi, pesanti. Ben evidente è il ventre con l’ombelico marcato, mentre la parte inferiore del corpo si perde nella roccia. La testa, asimmetrica, porta un’acconciatura oppure un copricapo a rete, un elemento che ricorre anch’esso in diverse raffigurazioni di Veneri del Gravettiano. Il braccio alzato sembra aver tenuto un oggetto: forse un altro corno? O qualcos’altro? Anche tale figura, originariamente, era dipinta di ocra rossa.

Unica immagine itifallica trovata a Laussel, il cosiddetto „Priapo“. Potrebbe essere un simbolo di fertilità. Museo Archeologico di Aquitania, Bordeaux. ©Reimund Schertzl

Dopo queste donne si trovò il cosiddetto Cacciatore (blocco di calcare, 47 cm di altezza e 8 cm di spessore). Una rappresentazione del tutto differente, una figura umana in piedi, scolpita di tre quarti, slanciata, vestita con un gonnellino, una cintura, e visibilmente in movimento. Manca il volto che forse avrebbe potuto rivelarci qualcosa sul suo sesso. E tuttavia se in un primo tempo il reperto, per l’apparente mancanza di seni, fu battezzato il Cacciatore, oggi è stato sottoposto a nuova lettura e si propende per la rappresentazione di una giovane donna. Un’altra figura originariamente dipinta di rosso.

Veniamo al reperto dal destino infausto: la Venere di Berlino. Si tratta di una chiara rappresentazione femminile dai grossi seni e i fianchi abbondanti. Anche questa donna reggeva qualcosa nella mano, un oggetto curvo che potrebbe essere stato davvero un corno. Rapportando tale figura alla Venere con il copricapo, mi sembra che quest’ultima rappresenti una donna in età matura e che la Venere di Berlino sia, invece, un aspetto giovanile della signora della fertilità.

Estremamente enigmatica è poi la cosiddetta Carta da gioco (blocco di calcare di 45 cm di altezza e 6 cm di spessore, figura di 22 cm di altezza), una figura doppia, due personaggi l’uno di fronte all’altro, di cui uno sicuramente femminile. Ma non è questo l’unico “doppio” nella vasta produzione artistica del Paleolitico che sembra inaugurare quella tradizione continuata poi nel Mesolitico (vedi arte sacra di Göbekli Tepe) e nel Neolitico (arte della Cultura danubiana o della Vecchia Europa) delle figure speculari, scolpite l’una attaccata all’altra.

Il significato di questi “doppi” preistorici ancora ci sfugge. In ogni caso qui l’artista ha voluto collegare il doppio all’elemento femminile, proprio come avverrà nell’oggettistica della Cultura danubiana. Altro famoso “doppio” del Paleolitico è una scultura trovata nel giacimento di Sunghir, in Russia, laddove la posizione delle due figure contrapposte è differente: nella scultura russa sono le teste dei personaggi a toccarsi, mentre nel caso di Laussel il punto di collegamento fra le due donne è il busto. Ma si tratta di due donne, oppure la figura inferiore rappresenta altra cosa? Un’interpretazione del “doppio” di Laussel è che riporti una scena di parto. Per ciò che mi riguarda, tendo a pensare che si tratti di un’immagine speculare che rappresenta due donne.

Sia come sia, ci troviamo di fronte a ben cinque figure femminili in uno stesso riparo, nello stesso luogo in cui, migliaia di anni prima, fu collocato un blocco litico con incisioni di vulve. Già questo mi pare un fatto eccezionalmente unico. Nella località situata di fronte a Laussel, sulla riva opposta del fiume Beune, si trova la grotta di Commarque, in cui gli artisti del Paleolitico incisero un’altra vulva, chiaro simbolo di donna. A questo punto penso anch’io che non sia troppo azzardato parlare di un luogo di culto al femminile.

Venere di Laussel, la seconda scultura scoperta nel riparo di Laussel e la più importante. Originariamente questo altorilievo era scolpito su una parete di roccia. L’originale è oggi esposto al Museo Archeologico di Aquitania, Bordeaux. ©Reimund Schertzl

La storica Claudine Cohen ipotizza un sito dedicato alle cerimonie d’iniziazione, le cui sculture potrebbero simbolizzare cinque stazioni nella vita della donna: il Cacciatore sarebbe la fanciulla adolescente, la Venere di Berlino la giovane donna, la Venere con il corno la donna incinta, la Carta da gioco la donna doppia o la partoriente (questo per ora resta un enigma) e la Venere dalla testa con il copricapo a rete la donna nell’età matura. In ogni caso, osserva Cohen, le figure di donna sembrano aver tenuto tutte in mano un oggetto. Forse, osserva la storica, se avessimo avuto la possibilità di conoscere l’ubicazione esatta dei reperti, la situazione precisa del giacimento al momento della loro scoperta, avremmo potuto svelare almeno in parte il loro mistero. Ma, come abbiamo visto, la documentazione non esiste.

Del resto il tema della donna è una costante dell’arte preistorica dall’ovest all’est del Continente eurasiatico, dalla Francia sino alla Russia, sino alle pianure siberiane. Statuette, sculture e raffigurazioni femminili che oggi chiamiamo “Veneri” e che appaiono già 40.000 anni fa (Venere di Hohlefels, Germania) nelle nebbie dell’Aurignaziano per poi continuare a mostrarsi sempre più palesi, sempre più insistenti nel Gravettiano e a popolare l’arte del Magdaleniano seguendo schemi più astratti (vedi Veneri di Gönnersdorf, Germania o di Monruz, Svizzera). Profili a volte talmente moderni, da poter ingannare l’osservatore ignaro. È possibile che il Paleolitico, o perlomeno alcuni periodi del Paleolitico, fossero epoche all’insegna della donna? Di quella Natura abbondante, infinita e libera, così come si presentava ai cacciatori-raccoglitori di un paradiso perduto?

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