Petroglifi impressionanti. Transfer culturale dall’Europa all’Africa?
Uno studioso belga scoprì i petroglifi all’inizio del XX secolo a Qurta, nell’Alto Egitto, a circa 30 km a sud della città di Edfu, sulla riva orientale del Nilo. Siamo a una distanza di 3,5 km dal fiume e ai margini nord della pianura alluvionale di Kom Ombo. Si tratta di raffigurazioni di animali e sagome femminili incise nella roccia che risalgono a 19.000 – 17.000 anni fa. Paleolitico superiore. Trovare importanti reperti archeologici in Egitto non stupisce più di tanto, la Terra dei faraoni è celebre in tutto il mondo per l’antichità della sua storia e la varietà dei suoi reperti. Ma le raffigurazioni di Qurta sono qualcosa di unico soprattutto per un motivo ben preciso: assomigliano in modo impressionante all’arte paleolitica… iberica e francese.
Una teoria provocatoria
Successivamente furono scoperti altri petroglifi più a sud, nell’area del Wadi Abu Subeira, tra Kom Ombo e Assuan. Contrariamente a quelle ibero-francesi, le raffigurazioni rupestri di Qurta e Abu Subeira non si trovano nascoste in anfratti o nel cuore delle grotte ma sono all’aperto, alla luce del sole, distribuite sulla superficie di 180 rocce. In quell’area che, molti millenni dopo, sarebbe entrata nel raggio d’azione dei re predinastici d’Egitto, i signori di Horus. Invece, nell’epoca delle raffigurazioni di Qurta, questo territorio era interessato dalla cosiddetta Cultura „Ballanian-Silsilian“, formata da gruppi di cacciatori-pescatori con un tipo di economia mista, perfettamente adattata alle zone fluviali e a quelle desertiche. La datazione è stata effettuata con la tecnica della termoluminescenza OSL (optical stimulated luminescence). Lo studioso norvegese Per Storemyr, il quale ha effettuato una mappatura del sito nel 2011insieme con il team di Dirk Huyge dell’Università di Bruxelles, ha spiegato che alcune superfici rocciose interessate dalle incisioni erano ricoperte da uno strato di sabbia e quindi rimasero per lungo tempo al riparo dal sole. Con l’analisi OSL si è potuto vedere in che epoca i petroglifi furono esposti al sole per l’ultima volta. Circa 17.000 anni fa.
I fattori decisivi che differenziano questi petroglifi di Qurta e Abu Subeira da altre raffigurazioni rupestri predinastiche egizie risalenti al V millennio a. C., sono la loro antichità (Si tratta dei petroglifi più antichi che siano mai stati scoperti in Egitto e nell’Africa settentrionale); il piglio naturalistico e deciso; la raffinatezza delle linee; la mancanza di un contesto narrativo e/o descrittivo; le dimensioni straordinariamente grandi delle immagini (una di esse raggiunge la misura di 1,80 m, contro il mezzo metro delle maggiori incisioni più tarde). I petroglifi rappresentano animali ed esseri antropomorfi, anche profili di donne. Tra gli animali predominano gli uri (bos primigenius) seguiti dagli uccelli, poi gli ippopotami, le gazzelle e i pesci. Le figure sono disposte l’una di fronte all’altra, l’una accanto all’altra senza un ordine apparente, come ho detto più sopra, sembrano essere avulse dal contesto narrativo. Nessuno degli animali presenta segni tipici di addomesticazione. Raffigurazioni eseguite con il tratto sicuro di mani da maestro, completamente differenti dalle incisioni più tarde che risalgono al V millennio a.C. Proprio come le troviamo (in versione dipinta) in numerose caverne francesi e spagnole nonché le incisioni rupestri portoghesi di Val do Coa.
La teoria provocatoria sui petroglifi di Qurta giunge da uno storico dell’arte francese, Emmanuel Guy. Questi ha notato, dopo lo studio e il raffronto accurato delle pitture ibero-spagnole con le incisioni egizie, diverse affinità importanti che potrebbero far pensare a un vero e proprio transfer culturale dall’Europa all’Egitto durante il picco dell’ultima glaciazione. Artisti “europei” sarebbero migrati dal Continente prigioniero dei ghiacci verso il sud, probabilmente inconsapevoli di far ritorno, in qualche modo, alla culla dell’umanità, dove era nato l’Homo sapiens. Giunsero portando con sé ispirazioni nuove, una tradizione artistica ben definita che si era manifestata in un clima ostile, alla luce delle fiaccole o delle lampade al grasso.
Ovviamente l’establishment va molto cauto, rifiuta ancora di prendere in considerazione questa tesi di Guy. Per il momento si preferisce pensare che le manifestazioni artistiche europee ed africane si siano sviluppate indipendentemente le une dalle altre. Le strane somiglianze sarebbero dovute, così l’opinione ufficiale, alla predisposizione innata dell’essere umano di rappresentare l’ambiente che lo circonda in modo analogo, indipendentemente dalla cultura a cui esso appartiene. Una coincidenza. Ma lo storico Emmanuel Guy scuote la testa:
“Speriamo di riuscire a dimostrare, quanto le somiglianze fra le incisioni di Qurta e l’arte paleolitica europea siano talmente specifiche e numerose, da contrastare la teoria della coincidenza. Inoltre non crediamo nel determinismo stilistico di una cosiddetta anima universale condivisa da ogni essere umano, cacciatori-raccoglitori o chi altro. La distanza che separa queste opere può far nascere un certo scetticismo, ma d’altra parte le affinità nelle loro concezioni stilistiche possono essere spiegate soltanto da un’origine culturale comune.”
Guy è convinto che sia esistita una tradizione artistica “gravetto-solutreana” (così chiamata in riferimento alle tecniche di lavorazione degli oggetti litici di quel periodo preistorico), vale a dire esistente da 20.000 a 18.000 anni fa. Le caratteristiche peculiari di questo stile hanno subito una trasformazione nel corso dei millenni. Partendo da raffigurazioni con tratti schematici ed essenziali, giunsero all’impressionante livello di naturalismo che possiamo ammirare nelle pitture delle grotte francesi come Niaux o Lascaux. Ora Guy afferma che le opere di Qurta rappresentano lo stadio intermedio di questo processo.
Animali e donne
In un suo studio, lo storico sottolinea i parallelismi stilistici più evidenti nel modo di rappresentare i soggetti. Ad esempio, gli uri. Questi animali, così Guy, occupano approssimativamente il 70% delle pitture iberico-francesi e anche delle incisioni di Qurta e Abu Subeira. E questo è già un primo, interessante parallelismo. Poi c’è lo stile dell’espressione artistica. Tipico dettaglio, uno dei tanti, la posizione delle zampe di questi animali: non sono mai rappresentate incrociate ma sempre parallele, oppure l’una sparisce dietro l’altra. Anche il modo di riprodurre l’idea del movimento degli animali, è lo stesso. La medesima posizione delle zampe, una sorta di posizione “standard”, quasi fosse richiesta da una precisa tradizione artistica. Un canone, diremmo oggi.
Altro elemento impressionante che accomuna le incisioni di Qurta all’arte paleolitica europea, sono le figurine femminili. Questi corpi di donna, rappresentati con pochi, decisi tratti essenziali, raggiungono un alto livello di astrazione e assomigliano in modo sorprendente alle incisioni di Gönnersdorf, figurine incise su lastre di scisto. E Gönnersdorf è un giacimento paleolitico della Germania che risale a 15.500 anni fa. Ma lo stile di Gönnersdorf non è un fenomeno isolato nel panorama europeo. Guy scrive:
“Esempi morfologicamente simili al modello di Lalinde-Gönnersdorf sono stati scoperti in Villars (Dordogna), e la loro data è contemporanea a quella delle pitture di Lascaux (N.d.A.: 17.500 anni fa). Altri sono stati scoperti recentemente nel livello solutreano della Grotta di Rochefort (Mayenne) e nei dintorni della Grotta di Margot (Mayenne). Sono stati trovati anche nella Spagna meridionale ad Ardales (Andalusia) e su diversi pannelli incisi a Parpalò, uno dei quali risale al Solutreano Medio, mentre gli altri risalgono al primo Magdaleniano. L’esistenza di queste figure, generalmente astratte e antropomorfe, costituisce uno degli argomenti più convincenti in favore dell’influenza europea sulle incisioni di Qurta.”
Passando dalle incisioni rupestri e dalle pitture nelle grotte all’oggettistica d’arte ma sempre restando nell’ambito di raffigurazioni femminili, vorrei ricordare a questo proposito anche le statuette femminili di Nebra, in Germania, anch’esse risalenti a 15.000 anni fa come le incisioni di Gönnersdorf. Anch’esse somigliano in modo impressionante ai petroglifi egizi di Qurta. Un canone artistico con cui veniva raffigurata la donna nell’Età della Pietra. E allora? Ci sta forse sfuggendo l’immagine di un pianeta molto più popoloso di quanto si pensi, molto più evoluto di quanto si creda, e attraversato da una rete di comunicazione dal nord al sud, dall’Europa all’Africa e dall’ovest all’est sino alla Siberia, in cui si muovevano clan di cacciatori-raccoglitori accomunati da culture, credenze e simboliche a noi sconosciute?
Perché no? Ponti fra i continenti
Il fatto è che si accetta ancora a fatica l’idea di grandi movimenti intrapresi da queste genti del Paleolitico. Si tende a immaginarle meno intraprendenti, definitvamente legate a un certo territorio, quasi timorose di sporgersi al di fuori del loro ambiente, della regione in cui sono nate. Niente di più sbagliato. Di certo anche i gruppi di cacciatori-raccoglitori paleolitici, così come le genti degli orizzonti molto più tardi del Mesolitico e del Neolitico, non temevano le grandi distanze. Basti pensare alla ragazza di Egtved, la giovanissima donna che, 3400 anni fa, si recò più volte nel giro di due anni avanti e indietro dalla Germania meridionale al nord della Danimarca.
Inoltre dobbiamo tener in considerazione il fatto che tra 20.000 e 18.000 anni fa la terra raggiunse il picco di raffreddamento dell’ultima Era glaciale. La cappa polare era giunta alla massima estensione ricoprendo il settentrione delle Isole Britanniche, e la zona fredda si spingeva sino alla Francia. È quindi comprensibile che i cacciatori-raccoglitori stanziati nei territori della Francia meridionale e della Spagna siano migrati in direzione sud, alla ricerca di luoghi più caldi in cui stabilirsi. In un’epoca in cui il livello dei mari era molto più basso di quello odierno (una differenza di ben 120 metri!), diversi ponti di terra si allungavano fra i continenti. Tra Europa e Africa c’era il passaggio di Gibraltar, il cui stretto misurava appena 7 km di ampiezza. E poi c’era il passaggio fra le isole della Sicilia e la Tunisia.
Guy osserva che proprio intorno a 22.000 – 10.000 anni fa una nuova cultura lasciò le sue tracce nella lavorazione degli oggetti litici recuperati nella fascia nord del Continente africano, a partire dal Marocco sino all’Egitto, lungo tutta la costa. Questa cultura (ibero-mauritana), che viene a interrompere quella africana precedente (ateriana), presenta evidenti parallelismi con la cultura europea della stessa epoca. E poi ci sono, appunto, le incisioni di Qurta e Abu Subeira che sembrano echeggiare anch’esse lo spirito dei cacciatori dell’Europa glaciale. In un territorio lontano dalla costa nordafricana, nell’Alto Egitto. Un territorio da sempre molto fertile grazie alla piena del Nilo, ricco di selvaggina, pesci e uccelli. Una lingua di terra verdeggiante che potrebbe aver trasformato, gradualmente e nel corso dei millenni, la vita nomade dei cacciatori in quella seminomade cui appartenevano i primi clan all’alba della cultura faraonica.
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