Il tempo dell’Homo erectus fu anche l’epoca mitica dei giganti? Fra questi ominini che popolarono la terra sin dal Pleistocene – vale a dire a partire da circa due milioni di anni fa – e da cui discendono le tre specie più “recenti” Neanderthal, Denisova e Sapiens, c’erano molti individui di statura eccezionalmente alta. In alcuni casi raggiungevano i due metri. Erano creature dalla forza incredibile, con una prestanza fisica che avrebbe superato quella dei nostri atleti di oggi. Furono gli inventori della bifacciale, un utensile litico molto efficace, dato che venne utilizzato per centinaia di migliaia di anni. Il loro cervello poteva raggiungere i 1200 cm cubi ed erano in grado di costruire abitazioni, officine di lavoro all’aria aperta, lance da caccia dalla forma perfetta e, soprattutto, di controllare il fuoco.
Bifacciali: il miracolo della simmetria
Più di una volta, ammirando le splendide bifacciali (o amigdale), quegli oggetti di pietra dalla caratteristica forma a mandorla che dovevano essere una sorta di utensile multiuso, mi sono stupita delle loro dimensioni. Le bifacciali venivano, come dice il nome, lavorate da entrambi i lati e dimostrano una ricerca di simmetrica bellezza che lascia l’osservatore senza parole. In genere erano usate per tagliare la carne animale, lavorare le pelli, spezzare altri materiali. I nostri antenati le impugnavano alla base, le usavano tenendole strette nella mano.
Le più antiche, ritrovate in Africa, datano circa 1,5 milioni di anni e sappiamo che le bifacciali furono utilizzate fino a 200.000 anni fa. Un periodo di tempo lunghissimo che la dice lunga sulla loro efficacia. Evidentemente erano molto apprezzate. Il livello di armonia della forma raggiunto da questi oggetti si può capire confrontandole con gli utensili precedenti, per esempio i cosiddetti chopper, ciottoli tondeggianti scheggiati e taglienti, ed è senz’altro racchiuso nella simmetria. Un fattore che testimonia la ricerca estetica di forme armoniche e che suggerisce il raggiungimento di un elevato livello di pensiero astratto. Non solo. Anche la conoscenza del simbolo.
L’archeologo Jean Marie Le Tensorer fa un ulteriore passo avanti e afferma:
“Il numero d’oro è un esempio di postulato dell’armonia. (…) In Siria un solo giacimento archeologico (…) ci ha lasciato più di 8000 bifacciali. Tenendo conto che questo sito è stato scavato soltanto per una ventina di metri quadrati, si può presupporre che tale orizzonte ospiti in totale da 60.000 a 70.000 bifacciali! Queste bifacciali presentano delle forme di grande purezza. Risalgono a 500.000 anni or sono e indicano una tendenza alla standardizzazione e alla riproduzione di un rapporto preferenziale larghezza/lunghezza. Questo rapporto è in media di 1:4. (N.d.A.: Vicino al numero d’oro). Per me si tratta di un rapporto armonico fondamentale creato dall’Homo erectus. La morfologia simmetrica della bifacciale non evoca forse la forma dell’uomo stesso e della sua mano? (…) In questo caso il corpo umano, emblema dell’armonia, sarebbe all’origine dell’immagine, la bifacciale sarebbe lo specchio armonico dell’uomo.”
Quando fabbricava questi oggetti meravigliosi, l’Homo erectus non badava dunque soltanto alla loro utilità, voleva anche possedere qualcosa di bello. Alcune bifacciali erano per lui talmente preziose, erano state lavorate con tale cura, da non essere nemmeno utilizzate nel quotidiano. Erano riservate esclusivamente all’uso di corredo funerario. L’esemplare forse più famoso in questo senso è la famosa “Excalibur”, un’amigdala di quarzite scoperta nel giacimento spagnolo di Sima de los Huesos insieme a resti ossei umani di 400.000 a.C. La bifacciale non presenta nessuna traccia di utilizzo e quindi doveva rivestire un’importanza prettamente rituale. Forse la prima offerta funeraria di cui siamo a conoscenza attualmente e che conferma la presenza del pensiero astratto in tempi già così remoti.
Ma dopo il primo stupore provato per la bellezza e perfezione delle amigdale, l’osservatore è sopraffatto da un altro pensiero. Le bifacciali non erano soltanto oggetti dalla chiara efficacia nell’uso quotidiano e dall’indubbio valore estetico, potevano essere anche… molto pesanti. Nel giacimento paleolitico francese Caune de Arago (Tautavel), in un orizzonte di 580.000 anni fa, si è recuperato un esemplare di ben 35 cm di lunghezza. Proviamo ad immaginarne il peso. In effetti, vedendo dal vero alcuni esemplari nelle vetrine dei musei, c’è da restare sbalorditi: che mani dovevano avere i nostri avi del Paleolitico per poterle comodamente impugnare e maneggiare? Ma con il passare del tempo tali utensili divennero sempre più piccoli. Proprio come la statura – e quindi la mano – di chi li confezionava.
I “giganti”
Nel lontano 1948 il team diretto dal paleontologo Richard Leakey ebbe la fortuna di scoprire in Kenya lo scheletro quasi completo del “Turkana Boy” (il ragazzo di Turkana o di Nariokotome). Un ritrovamento eccezionale. Alto e slanciato, questo individuo della specie Homo erectus stupì tutti gli esperti. Nel corso delle analisi ci si rese conto che misurava 160 cm di altezza ed era morto ad appena 7-8 anni d’età. Da adulto, il ragazzino avrebbe probabilmente raggiunto i 185 cm. Il bambino soffriva di malformazioni congenite che ne causarono la morte e tuttavia, sulla base delle analisi scheletriche, si poteva ipotizzare che anche questo giovane individuo, se pur malato, in vita doveva aver posseduto una forza a dir poco atletica.
Altri esemplari di Homo erectus presentavano una statura di tutto rispetto che sfiorava i 2 metri (riscontrata in seguito ad analisi effettuate su resti fossili scoperti primariamente nell’Africa meridionale, vedi ricerche del paleontologo Lee Berger), mentre i Sapiens aurignaziani che popolavano l’Europa 40.000 anni fa potevano pur sempre vantare un’altezza media di 183 cm. Una misura che supera di molto la media attuale europea (175 cm). Tipici esempi in tal senso sono i resti fossili dell’uomo scoperto nel sito francese Abri Cro Magnon, con i suoi 183 cm, e gli individui delle sepolture nel giacimento dei Balzi Rossi, in Italia, alcuni dei quali – Uomo di Grimaldi e Uomo di Mentone – misuravano da 190 a 195 cm di altezza.
E bisogna precisare, per amore di correttezza, che il presunto Uomo di Mentone in realtà era una donna del Gravettiano spirata intorno a 24.000 anni fa all’età di circa 37 anni. Oggi è chiamata “Donna di Caviglione”. La giusta attribuzione sessuale si deve al professor Henry de Lumley. Dunque una donna molto alta, al di fuori dalla norma cui siamo abituati oggi. Se gli europei dell’Aurignaziano (47.000-35.000 a.C.) e del Gravettiano (29.000-20.000 a.C) erano ancora molto prestanti, già gli esponenti del Magdaleniano (17.000-11.000 a.C.) si presentavano più minuti, mentre presso le genti del Neolitico (10.000 a.C.) si è registrata una statura media di 162,5 cm.
Una considerazione a parte merita l’uomo di Neanderthal con la sua altezza media di 160 cm, perché in questo caso abbiamo a che fare con una specie umana che si è evoluta dall’Homo erectus heidelbergensis dopo centinaia di migliaia di anni della permanenza di quest’ultimo in Europa. Dunque la sua fisionomia bassa e tarchiata era il risultato di un adattamento alla situazione climatica dell’Era glaciale. Invece sia l’Homo erectus che l’Homo sapiens appartenevano entrambi a specie di più recenti origini africane, erano individui dalla corporatura alta e slanciata e dalla carnagione scura che meglio potevano sopportare le temperature elevate e le forti radiazioni solari presenti nel Continente nero.
C’è poi da aggiungere che non mancano esempi a riprova dell’adattamento fisico dell’uomo di Neanderthal sia al freddo ambiente glaciale che a quello caldo del Medio Oriente. Ci sono esemplari extra europei che presentano altezze superiori, come per esempio il Neanderthal i cui resti fossili sono stati scoperti nella grotta di Amud, in Israele, che misurava 180 cm di altezza. Anche il Neanderthal rinvenuto nella grotta israeliana di Kebara non si può definire di statura bassa con i suoi 170 cm. E in Israele vigevano altre condizioni climatiche, ben lontane dalle temperature europee dell’Era glaciale.
La statura e il problema della dieta
Ma perché, nel corso dei secoli e millenni, l’uomo è divenuto sempre più piccolo? Quali sono i fattori che possono portare ad una diminuzione oppure ad un aumento di statura? Solo il freddo o il caldo? No. Non solo i cambiamenti climatici globali, anche quelli nutrizionali. Perché ovviamente gli individui più piccoli hanno un fabbisogno energetico minore, dunque maggiori probabilità di sopravvivere in presenza della carenza di cibo. E perché allora ci fu una forte diminuzione di statura nel Neolitico, proprio quando il clima in Europa era diventato più mite e il cibo era presente in modo continuato?
Si potrebbe pensare che con la “rivoluzione” neolitica ci siano state maggiori possibilità di nutrire un numero più elevato di persone in modo regolare, ossia usufruendo a piene mani delle risorse agricole e di quelle fornite dall’allevamento del bestiame, due fonti più sicure della caccia che poteva presentare dei problemi in determinati periodi dell’anno oppure in seguito a particolari eventi naturali. Le genti sedentarie del Neolitico avevano poi, al contrario dei cacciatori raccoglitori nomadi (o seminomadi) del Paleolitico, la possibilità di immagazzinare le loro provviste. D’altra parte però, l’antropologo Jean-Luc Voisin fa un’osservazione molto interessante:
“Certo, la diminuzione della statura potrebbe essere dovuta ad un nuovo regime alimentare, ma nel Neolitico la nutrizione doveva essere meno ristretta che nel Paleolitico. In effetti l’agricoltura e l’allevamento permettevano di avere del cibo in modo continuato e dunque i periodi di carenza erano più rari. Tuttavia questo nuovo metodo di vita necessitava di un lavoro di tutte le braccia. Anche i bambini partecipavano al lavoro sin dalla più tenera età intraprendendo delle attività che, come si è dimostrato, bloccano il processo della crescita.”
A tali considerazioni si aggiunge poi l’affermazione dello studioso Francois Marchal:
“In effetti se le condizioni di vita migliorano, la statura aumenta rapidamente come durante l’Impero romano, oppure come oggi. Invece se le condizioni peggiorano, anche la statura diminuisce, ciò che accadde alla caduta dell’Impero romano.”
La dieta dei cacciatori raccoglitori, più ricca di carne fresca, pesce, vegetali selvatici e meno ricca di farinacei, avrebbe favorito una crescita sana. Inoltre un cacciatore “lavora” meno ore al giorno di un agricoltore o di un allevatore di bestiame. Si è calcolato che in media bastassero tre, quattro ore giornaliere per la caccia (lo stesso vale per la raccolta di vegetali, radici, funghi ecc.) Il resto della giornata i cacciatori potevano dedicarsi ad altre occupazioni più o meno piacevoli. Chi mangia meglio e lavora meno diventa più grande?
Evoluzione o adattamento?
Bisogna poi distinguere, osserva Marchal, fra evoluzione e adattamento. Quando l’Homo sapiens giunse dall’Africa 40.000 anni fa, la sua statura era ancora alta. Poi, circa due decine di millenni dopo, la sua statura è diminuita. In questo caso abbiamo a che fare con un fenomeno evolutivo avvenuto in un lunghissimo arco di tempo. Al contrario, l’aumento di statura che è stato registrato in Europa da circa un secolo ad oggi non è evoluzione bensì adattamento, dovuto semplicemente ad un altro tipo di vita, ad un regime alimentare migliore. Il primo fenomeno, quello evolutivo, non è reversibile; il secondo, quello adattativo, sì.
Ma aumento e diminuzione di statura sono anche legati all’aumento e alla diminuzione delle dimensioni del cervello. Il cervello di una donna è, in media, più piccolo di quello di un uomo. Un elemento che non ha nulla a che fare con l’intelligenza di una persona e che è strettamente connesso alle dimensioni corporee. Per logica, quindi, le dimensioni cerebrali variano di pari passo con quelle morfologiche. 100.000 anni fa il cervello dell’Homo sapiens misurava da 1500 a 1600 cm cubi. 12.000 anni dopo comportava 1450 cm cubi ed oggi ha un volume medio di 1350 cm cubi. Il volume del cranio dipende dalla morfologia globale dell’individuo.
Comunque i nostri progenitori della specie Sapiens non avevano soltanto un cervello più grande del nostro. Gli aurignaziani non erano soltanto più alti di noi, ma anche più atletici. Ed è probabile che non conoscessero l’obesità. Per nutrirsi, dovevano esercitare un’elevata attività fisica regolare. Il paleoantropologo Jean Jacques Hublin afferma:
“(…) per metabolizzare le proteine della carne e derivarne una quantità sufficiente di calorie, i cacciatori raccoglitori del Paleolitico dovevano aggiungervi dei grassi e del midollo, come testimonia la rottura sistematica delle ossa animali nella maggior parte dei siti paleolitici. Trovare della carne era importante, trovare della carne grassa ancor più. Ingrassare in alcune stagioni per vivere poi delle proprie riserve di grasso, era per i nostri antenati un vantaggio adattativo evidente.”
A questo punto si potrebbe obiettare: sarà pur così, d’altra parte però la loro vita non era lunga e superava raramente i 35 anni d’età. Sì, e tuttavia sembra che, in linea di massima, le popolazioni di cacciatori raccoglitori abbiano vissuto più a lungo e meglio di quelle sedentarie. Sicuramente queste ultime erano più esposte a malattie legate al lavoro della terra, al contatto continuo e molto ravvicinato con gli animali domestici, ad eventuali epidemie e alla nutrizione a base di farine che provocava maggiori problemi di natura dentaria.
Inoltre dobbiamo pensare che anche nel XIX secolo la durata media della vita umana era… di 35 anni. Sembra incredibile? Eppure non lo è. Risultati di studi internazionali dicono che soltanto nel 1990 si è arrivati a raggiungere una durata media della vita di 64 anni che, a detta degli esperti, si estenderà nel 2020 (nei Paesi occidentali) a 72 anni d’età.
Vediamo dunque che le cose sono cambiate in modo decisivo soltanto di recente. Appena 200 anni fa eravamo allo stesso livello dei nostri lontani parenti del Paleolitico. E allo stesso tempo possiamo renderci conto del motivo per cui questo eterno fantasma della morte abbia da sempre tormentato l’animo umano dando luogo, talvolta, a creazioni di somma poesia come l’Epopea di Gilgamesh, l’eroe sumero che partì alla ricerca dell’immortalità.
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E ora aggiornale l’articolo sulla grotta di Mandrin…..
Gentile Dottoressa Marineo,
L’articolo di cui sopra è contenuto in anche suo libro?
Ringraziando,
Giuseppe
… Mi scusi per l’errore di scrittura,“in qualche suo libro“ volevo dire.Grazie ancors
Gentile Giuseppe, lo sarà in una prossima pubblicazione sull’uomo di Neanderthal.
Cordiali saluti.
Scusa Giuseppe non credo di essere piu bravo di te però visto la correzione del primo errore volevo correggere „*ancora „