Quest’articolo è dedicato alle scoperte dello studioso Bruno Breveglieri che, ormai da diversi decenni, svolge interessanti e intense ricerche sulle terrazze del fiume Mincio, in Lombardia. Ha raccolto ciottoli antichissimi solcati da enigmatiche incisioni.
Questi segni sono da lui interpretati come raffigurazioni animali e umane, divinità perdute, elementi di vita quotidiana e segni astratti, talvolta anche molto difficili da riconoscere al primo sguardo. Vi identifica dei mitogrammi che raccontano leggende sacre dell’Età della Pietra. E le pietre raccolte e pazientemente esaminate dallo studioso sono davvero tante.
Le incisioni di un ciottolo in particolare sono da lui interpretate come le immagini di una divinità preistorica che Breveglieri definisce Dea Uccello.
Nella valle del Mincio…
Per comprendere meglio il contesto in cui opera Bruno Breveglieri, dobbiamo innanzitutto fornire qualche informazione sul territorio in questione. Si tratta infatti di zona soggetta ai cicli alluvionali del fiume Mincio, laddove durante il Pleistocene (approssimativamente da 2,58 milioni a 9.660 anni fa) si formarono, in seguito ai depositi dei ghiacciai, morene di fondo e vaste aree di vegetazione di tipo steppa. Manufatti in selce e resti umani del Neolitico risalenti a 6.500 anni fa sono venuti alla luce nelle frazioni di Bancole e Sant’Antonio. Ci si muove, quindi, in un’area in cui la preistoria ha lasciato le sue tracce e che può effettivamente fornire allo studioso attento importanti tesori del passato.
Bruno Breveglieri suppone che diversi ciottoli da lui ritrovati vadano ben oltre il Neolitico e possano essere datati in un periodo preistorico che si aggira da 38.000 a 30.000 anni fa, che alcuni utensili litici ancor più antichi siano poi da collocarsi nel passaggio tra il Paleolitico Medio e quello Superiore. Si tratterebbe dunque di immagini riferite a situazioni, storie e miti di un passato davvero remoto che artisti preistorici hanno immortalato sui ciottoli da lui raccolti sulle terrazze del Mincio.
Uno di questi ciottoli sarebbe dedicato alla Dea Uccello, di cui ho parlato più sopra. Attingendo all’opuscolo di Bruno Breveglieri “Nel simbolo della Dea Uccello”, riporto qui le sue parole in proposito:
Le microlitiche raffigurazioni del ciottolo trovano attinenza con alcuni strumenti in selce a forma trapezoidale ottenuti con la tecnica del microbulino e con piccole lamelle a doppio dorso.
Il reperto con la raffigurazione della Dea Uccello ha una forma triangolare arrotondata alla base, osserva Breveglieri, e il triangolo fu associato al sesso femminile sin dal Paleolitico superiore, poiché richiama chiaramente la forma della vulva. Anche un altro segno riconosce lo studioso sul ciottolo della Dea Uccello, una “V” rovesciata che ricorda il simbolo del cosiddetto “chevron” o triangolo aperto, frequentemente presente nelle grotte paleolitiche ibero-francesi e che ritorna poi, in modo massiccio, a caratterizzare le decorazioni del Neolitico. Fu evidenziato anch’esso dalla studiosa Marija Gimbutas nel repertorio dei simboli sacri e strettamente connessi alle dee femminili dell’aria e dell’acqua. Breveglieri scrive:
Nel suo libro “Il linguaggio della Dea” l’archeologa Marija Gimbutas, la più attenta studiosa di civiltà fondate sul culto della Dea Madre in Europa e nel Medio Oriente, scrive: “…il segno grafico a V è il simbolo della Dea Uccello fin dal Paleolitico Superiore e rende, nel modo più diretto, il triangolo pubico, grembo rigeneratore della Dea.”
Per illustrare il ciottolo della Dea Uccello, riporto ancora le parole di Bruno Breveglieri:
(…) l’artista ha usato una roccia proveniente in origine da strati sedimentari, tenerissima, di color grigio leggermente variegato. Ed è il colore vario della pietra che ha cercato e voluto sfruttare per donare alla comunità, a mio parere, uno dei documenti più importanti dell’arte preistorica. Incidendo in piccolo e di fino, sfruttando i chiaro-scuri della roccia, ha composto figure che, ad una prima occhiata sfuggono anche a persone qualificate in materia. Il reperto, alto 11 centimetri e spezzato al vertice, è levigato volutamente sui due lati non incisi: questa cercata preparazione del ciottolo a forma triangolare non è da ritenersi casuale. Tra l’altro un secondo reperto con le stesse caratteristiche ed ugualmente graffito è stato trovato a pochi chilometri di distanza, in un insediamento preistorico nel comune di Roverbella dal Gruppo di Ricerca e di Tutela della Storia Roverbellese.
La Dea Uccello: mitemi, animali e divinità zoomorfe
Ma che cosa raffigura questo ciottolo? Breveglieri racconta:
È un cervo maschio dall’aspetto solenne: troneggia sul suo capo la grande impalcatura ossea, simbolo di piena maturità sessuale. L’artista lo sorprende in fuga, mentre salta e gira la testa verso chi lo sta ferendo al ventre con una zagaglia lanciata da un propulsore. L’animale viene colpito anche alla schiena da bastone ricurvo. Il graffito di appena 13 millimetri offre la visione di sole due zampe ed ha, nel movimento e nei particolari interni, un realismo quasi fotografico. Gli occhi e la parte del muso sono resi dal chiaro-scurale della roccia. Dall’occhio destro scende, con un rigolo, il secreto odorifero delle ghiandole lacrimali con cui i cervidi, nel periodo degli amori (settembre-ottobre) impregnano i rami al loro passaggio.
E poi lo studioso riconosce l’elemento principe del ciottolo: la Dea Uccello:
La Dea alata, protettrice dei morti e di tutte le cose, è raffigurata in sovrapposizione parziale con altre dee uccello rapaci. (…) Di profilo, la Dea è in posizione preminente, Di dimensioni imponenti rispetto alle altre figure, ha la parte superiore del corpo leggermente inclinata in avanti nella tipica posizione degli uccelli.
Alcune sagome umane molto schematiche, appena riconoscibili, fanno parte di questa raffigurazione del ciottolo. Breveglieri vi riconosce degli oranti, minuscoli per dimensioni in confronto alle Dee Uccello.
Il ciottolo, osserva Breveglieri, è inciso su entrambi i lati. Due potrebbero essere i mitogrammi su di esso rappresentati. E anche il secondo lato è dominato dalla divinità alata dal grande becco realizzata in posizione preminente. Qui però lo studioso vede anche una figura umana più naturalistica, una persona semisdraiata dal sesso indefinito. Più facilmente individuabile è poi un animale che il ricercatore interpreta come un cavallo (si intravede una zampa anteriore), e altre figure zoomorfe che lo accompagnano.
Breveglieri osserva:
La Dea è incisa nella medesima posizione di quella del primo mitogramma. La sua immagine, però, non è nitida come la prima perché composta, quasi esclusivamente, dal chiaro-scurale della pietra, né altrettanto realistica in quanto è per metà Dea Uccello rapace e per metà animale favoloso con un’enorme coda. Analoghi ritrovamenti di dipinti e incisioni rappresentati animali favolosi sono tipici delle opere d’arte paleolitiche delle grotte francesi e spagnole; il più noto di questi è il cosiddetto “uomo-bisonte” che suona l’arco, strumento ancora in uso in popolazioni primitive di cacciatori, rinvenuto nella grotta francese di Les Trois Frères. Sempre sulla stessa faccia del ciottolo, accanto alla Dea Uccello ma a lei subordinata e di dimensioni inferiori, è incisa una figura umana semisdraiata.
Il dilemma del riconoscimento
Osservando le immagini dei reperti, il dilemma da essi sollevato appare chiaro. La difficoltà maggiore è quella di poter riconoscere se si tratti realmente di intervento umano su oggetti derivati dalla natura oppure se i segni incisi siano l’effetto di agenti naturali che ne hanno modellato le superfici nel corso del tempo. In poche parole: sono opere prodotte dalla mano dell’uomo o bizzarri prodotti della natura? Per quanto riguarda il ciottolo della Dea Uccello, Bruno Breveglieri scrive con grande onestà:
Il reperto graffito di cui stiamo parlando è stato visionato anche dal Dipartimento di Scienze geologiche e paleontologiche dell’Università di Ferrara che ne prelevò le impronte per osservarle al microscopio e giunse alla conclusione che le incisioni sul reperto non sono da attribuirsi ad atto intenzionale dell’uomo. Sotto mia richiesta il ciottolo mobiliare mi è stato riconsegnato, ma non più integro come prima: per prelevarne le impronte è stato lavato con un solvente e poi ricoperto con due prodotti della Bayer uniti insieme (il Provil-L Base e il Provil-Catalyst). Questo trattamento ha lasciato il reperto, di sua natura grigio e variegato, unto ed annerito, per cui le figure incise sono leggibili al 70% circa. Per fortuna avevo effettuato molte fotografie prima della consegna, diverse delle quali illustrano codesto opuscolo.
Del resto il problema del “riconoscimento” di tali oggetti si pone spesso. La pietra non è databile, il graffito inganna. Molto è lasciato all’immaginazione dell’osservatore e non di rado ci vuole anche una grande esperienza in materia per identificare la lavorazione intenzionale. Vorrei citare a tale proposito alcuni reperti tuttora molto discussi come il Makapansgat Pebble, la “Venere” di Tan-Tan o quella di Berekhat Ram. Sono tutti minuscoli ciottoli in cui alcuni studiosi riconoscono l’intervento umano, altri invece sono convinti che si tratti di effetti provocati da agenti naturali. La discussione rimane aperta. Soprattutto adesso, dopo l’analisi al microscopio cui è stata sottoposta la Venere di Berekhat Ram dagli esperti April Nowell e Francesco d’Errico. I due studiosi hanno individuato sul reperto di 230.000 anni fa delle incisioni praticate dalla mano dell’uomo mediante un utensile litico. Si deve poi aggiungere che le interpretazioni delle raffigurazioni riportate su arte mobile e rupestre del Paleolitico lasciano grande spazio all’immaginazione, molto spesso non trovano un consenso unanime e vengono, di tempo in tempo, rimesse in questione.
Un profilo d’ominide, una mappa e altri piccoli reperti
Tanti sono i reperti portati alla luce dallo studioso in questi lunghi decenni di ricerca sul campo. Sulla superficie di un ciottolo di calcare di 5 x 4 x 06 cm si distinguono dei segni incisi con grande decisione che si incrociano formando strane figure geometriche.
Meno visibile eppur presente accanto ad essi, Breveglieri evidenzia un profilo di ominide. Nella relativa immagine possiamo vedere il disegno dello studioso che ha cercato di ricostruirlo il più fedelmente possibile. Le linee astratte, osserva Breveglieri, ricordano l’incisione parietale recentemente scoperta a Gibilterra nella Gorham Cave, quella attribuita all’uomo di Neanderthal. Potrebbe questo strano profilo, si chiede lo studioso, riferirsi al nostro cugino scomparso?
In un altro reperto, una piastrina di 7,5 x 6,5 x 09 cm forse in argilla bruciata scoperta sulla terrazza fluviale del Mincio, il ricercatore ipotizza la mappa di un villaggio dell’Aurignaziano. Vi distingue un bisonte, un mammut, un totem, delle capanne e anche delle figure umane. Altri ciottoli da lui trovati potrebbero rappresentare una vulva ed un fallo, un altro ancora una figurina di donna. E poi un bisonte in galoppo.
Breveglieri sottolinea la grande antichità dei ciottoli accompagnati da ritrovamenti di utensili litici degli artisti rinvenuti sulle terrazze del Mincio come punte a cran, punte gravettiane, bulini e manufatti castelperroniani.
Lo stile adottato dagli artefici di questi piccoli capolavori sarebbe, secondo lo studioso, quello tipico di quest’epoca remota:
Le figure zoomorfe sono incise rigorosamente di lato e con solo due zampe, quelle antropomorfe mancano delle braccia e le gambe terminano a punta, senza il piede. Questo è lo stile primo di 30-38.000 anni fa.
Leggo nei suoi scritti che alcuni pezzi si trovano da tempo alla Soprintendenza Archeologica di Mantova e sembra non siano stati nemmeno esaminati.
Dunque mi pare doveroso presentare qui, in questo articolo, almeno alcuni dei tanti reperti che Bruno Breveglieri ha trovato durante le sue ricerche in situ affinché non vadano perduti. Le fotografie dei ciottoli da lui gentilmente messe a disposizione per l’articolo sono accompagnate dai suoi disegni che servono ad evidenziare le linee difficili da individuare ad occhio nudo.
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