Età della pietra e profumo di donna
Le Veneri del Paleolitico sono famose in tutto il mondo per l’impressionante antichità degli artefatti, la scarna semplicità delle linee scultoree, l’abbondanza delle loro forme e quell’aura di sacralità ancestrale che le circonda. La loro bellezza è distante anni luce dall’ideale femminile che oggi domina qualsiasi ambito della nostra società. In politica come nello show business e nella vita quotidiana, la donna di oggi deve essere magra, scattante, flessibile. Il resto è lasciato ai ritocchi di chirurgia estetica.
Le Veneri del Paleolitico sono il contrario di tutto ciò. Le straripanti donnine esibiscono la loro cellulite con fierezza e talvolta la glorificano, decorando con tatuaggi il ventre rotondo. Evidenziano i seni pesanti adornandoli con collane o altri raffinati accessori. Erano le signore di un universo popolato da cacciatori-raccoglitori. Non conoscevano ancora i limiti dei villaggi agricoli. Il loro spazio era la natura nella sua interezza con le tundre infinite, le montagne impervie coperte da vasti ghiacciai, i fiumi gelidi, i ruscelli irrequieti, le caverne naturali scavate nel cuore della terra. E poi gli animali preistorici: mammut dalle zanne gigantesche, rinoceronti primordiali, ippopotami, cervi, bisonti e leoni delle caverne, orsi dalla statura imponente.
Un mondo ormai scomparso da decine di migliaia di anni, per noi difficile da immaginare. Un mondo senza palazzi e senza re. Solo capanne, grotte, anfratti, rifugi a contatto con madre terra. E proprio questo era lei, la donnina del Paleolitico: Madre Terra. Forse la prima divinità in assoluto che l’essere umano abbia mai concepito, quella più reale e vicina a lui. Non un dio minaccioso che scendeva dal cielo fra tuoni e fulmini in una carrozza di fuoco pronto a incenerire chi non ubbidisse ai suoi ordini. L’adorazione di una tale divinità imperiosa non è naturale, si tratta di un prodotto sviluppatosi molto più tardi in seno a delle culture guerriere.
Madre Terra rappresentava la natura in tutti i suoi aspetti, senza bisogno di artifici tecnici, senza trombe e fanfare. La realtà quotidiana. E non soltanto il tuono del temporale o il vento implacabile della tempesta, ma anche colei che abbracciava l’essere umano ogni giorno regalandogli il calore dei raggi di sole, l’acqua dei fiumi, la selvaggina, le piante, i figli. Colei che lo cullava ogni notte, illuminando l’oscurità più profonda con una cupola di stelle e la bellezza eterna della luna.
Doveva pur essere una donna, quella divinità evidente. Perché solo nel ventre della donna prendeva forma il miracolo della vita. Era la custode della stirpe futura e la raccoglitrice instancabile di piante, noci e radici. Perché quella che in qualche modo conosceva tutti i segreti più nascosti, dalla nascita di un essere umano alla crescita di un germoglio, era la donna.
Dunque la feconda e visibile Madre Terra, la cui eco si rispecchiava nelle azioni quotidiane di tutte le femmine del clan, non poteva che essere rappresentata in quel modo: una donna formosa, esuberante, nuda. E siccome la benedizione di Madre Terra doveva essere sempre presente dovunque il cacciatore andasse, era necessario portarla con sé sotto forma di amuleto, appesa al collo oppure infilata in una tasca, in un sacco da viaggio o anche in una borsa insieme con gli utensili da caccia. Perché la potenza della Madre era grande e non aveva bisogno di sacerdoti. Si palesava costantemente in ogni piccola cosa, nel microcosmo della vita quotidiana e nel macrocosmo del creato.
Pur lasciando spazio al beneficio del dubbio, penso sia nata così l’esigenza di creare le prime immagini di quelle che oggi sono chiamate Veneri. Un nome che potrebbe trarre in inganno, perché la nostra cultura latina associa subito a Venere l’attributo dell’amore erotico, mentre la Dea paleolitica con l’erotismo aveva a che fare solo in parte. Le sue competenze abbracciavano uno spettro molto più vasto, come abbiamo già avuto modo di vedere.
Il rispetto per il femminino sacro equivaleva al riconoscimento consapevole dell’importanza dell’elemento femminile e della sua complementarità con l’elemento maschile nella struttura dei clans di allora. Una premessa indispensabile al mantenimento di un equilibrio pacifico nella comunità e alla salvaguardia dell’esistenza futura del clan nell’osservanza delle leggi naturali.
Tanto piccole, da stare nel palmo di una mano
Per motivi di praticità, le statuette delle Veneri del Paleolitico sono quasi sempre di dimensioni molto piccole (approssimativamente dai 5 ai 14 cm). Alcune di loro – come la famosa Venere di Hohle Fels – al posto della testa hanno un occhiello, per poterle appendere al collo e indossarle come un amuleto.
L’esemplare più antico di Venere paleolitica è, al momento, proprio la statuetta di Hohle Fels, scoperta nella Achtal. Ci sono altri due manufatti ancor più arcaici che eventualmente potrebbero già rappresentare delle Veneri, ma le loro caratteristiche non emergono in modo così evidente come nella figurina di Hohle Fels e restano quindi, per ora, puro oggetto di speculazione. La Venere tedesca risale a 40.000 – 35.000 anni fa. È fatta di avorio di mammut, misura 6 centimetri d’altezza e fu scoperta appunto nella grotta di Hohle Fels, regione di Baden-Württemberg, in Germania. Non lontano da questo sito si trova l’importante complesso di caverne della Lonetal, dove fu scoperta la bellissima scultura dell’uomo-leone.
35.000 anni d’età conta la Venere di Galgenberg, che fu trovata nel 1988 nel giacimento omonimo presso Stratzing, in Austria. Fatta di serpentino, la figurina è da una parte in rilievo e dall’altra piatta. Affascina per il colore lucente, per le sue forme semplici. È alta 7, 2 cm e pesa appena 10 grammi. Sembra rappresentare una donna che danza. Quindi l’originalità della sua posizione – un braccio alzato e una gamba leggermente piegata in avanti – è davvero unica.
Poco più giovane è la sua conterranea Venere di Willendorf – da 28.000 a 25.000 anni fa -. Questa statuetta è stata ricavata da un pezzo di calcare e misura 11 cm di altezza. Le forme molto abbondanti ricordano senz’altro quelle della Venere di Hohle Fels, ma la donnina di Willendorf al posto dell’occhiello ha una testa. Interessante è proprio la sua pettinatura, con un taglio a caschetto o forse anche un copricapo ( o retina) alla moda che ritroviamo presso le Veneri ceche di Dolni Vestonice. È un elemento che accomuna queste ultime e la statuetta di Willendorf, probabilmente dovuto ad una medesima radice culturale, quella di Pavlov.
Ma non solo questo. Caratteristiche comuni tra le diverse statuette femminili del Paleolitico riscontrate nei siti dell’Europa centrale, occidentale e orientale suggeriscono che vi sia stato un transfer religioso-culturale da una regione all’altra. Le Veneri sono state prodotte con l’uso di materiali diversi (avorio, serpentino, osso, terracotta, corno, pietra di calcare, argilla, gaietto), sono tutte donnine dalle forme pronunciate e prive di volto. Chiaro indizio di una funzione simbolica. Anzi, le Veneri di terracotta del sito archeologico ceco di Dolni Vestonice sembrano essere state prodotte… in serie.
Risalgono a 29.000 – 25.000 anni fa e sono fatte di ceramica. Proprio così, si tratta di un’industria ampiamente diffusa nei giacimenti paleolitici della Repubblica Ceca, i cui insediamenti erano provvisti di fornaci che permettevano un’ottima cottura del materiale. Sono le più antiche ceramiche del mondo, molte delle quali sembrano essere state prodotte in serie. Generalmente le statuette di Dolni Vestonice presentano un’altezza di ca. 11 cm. I lavori archeologici in questo territorio sono iniziati nel 1924 sotto la direzione del professor Karel Absolon e, accanto alle Veneri che venivano raffigurate per intero, sono state trovate anche delle testine femminili con i capelli raccolti sulla nuca. Anche le testine rivelano le tipiche caratteristiche di manufatti in serie.
Alla medesima cultura sembra appartenere la Venere di Kostenki, scoperta in Russia, in una regione bagnata dal fiume Don. Un giacimento paleolitico molto importante e ricco di reperti. La Venere di Kostenki, un tuttotondo di pietra, risale a 25.000 – 21.000 anni fa e presenta lo stesso tipo di curve abbondanti e pettinatura a caschetto (oppure copricapo o retina) che caratterizza la Venere di Willendorf e la Venere di Dolni Vestonice. Sicché si può ipotizzare una sorta di canone artistico che, dall’Europa centrale, ha raggiunto la Russia.
La Venere di Galgenberg non è la sola statuetta di serpentino. Dello stesso materiale è anche la Venere di Savignano, bellissima figurina che risale a 25.000 – 15.000 anni fa. Misura circa 22 cm, è quindi eccezionalmente grande, e le sue braccia sono incrociate sul petto. È venuta alla luce nel 1925 a Savignano sul Punaro, presso Modena. La statuetta era seppellita nel deposito alluviale di un sito archeologico.
Le Veneri dell’Età della pietra: astrazione all’alba dei tempi
Il processo di astrazione delle figurine, iniziato con la Venere di Galgenberg, continua con le Veneri di Nebra (14.000 – 13.000 anni fa) e indubbiamente ne costituisce la sconcertante modernità. Un ulteriore esempio in questo senso è la Venere di Neuchâtel (o Monruz), fatta di gaietto, che risale a 14.900 anni fa. Uno splendido pendente di quasi 2 cm di altezza, di colore scuro, perfettamente levigato e pronto per essere infilato in una cordicella e portato al collo.
Di sorprendente modernità sono le figure di Veneri incise sulle lastre di scisto e scolpite nel corno e nell’osso che sono state scoperte nel sito paleolitico di Gönnersdorf. Contano 15.000 anni di età. Recentemente l’archeologa Alexandra Güth ha scoperto, durante delle analisi eseguite con scannerizzazione tridimensionale, che gli artisti paleolitici di Gönnersdorf facevano uso della sezione aurea ed erano dei professionisti. Appartenevano a una tradizione artistica, una sorta di scuola che aveva fissato i suoi canoni di proporzione. Una scoperta sbalorditiva. Ancor più sorprendente è poi il fatto che figurine di questo tipo siano state trovate anche in altri siti paleolitici come Abri Murat e Gare de Couze in Francia, Wilczyce in Polonia e Pekarna nella Repubblica Ceca. Una scuola artistica attiva a livello europeo?
Mi si perdoni il paragone, ma al loro confronto le statue sumere molto più recenti (ca. 3000 a. C.) appaiono quasi naif. Non intendo, con questo, discreditare gli artisti sumeri, beninteso. Vorrei piuttosto evidenziare un fatto innegabile e davvero sorprendente: l’artista che scolpì le statuette di Gönnersdorf così come l’artista della Venere di Monruz, avevano già raggiunto un livello di astrazione talmente elevato e perfetto, che né i Sumeri né gli antichi Egizi hanno mai eguagliato. Com’è possibile? Dobbiamo forse riscrivere la storia? Non è da escludersi. Lo dirà il tempo.
[…] vediamo, queste figurine femminili del Paleolitico erano di piccole dimensioni, un leitmotiv che interesserà quasi tutti questi artefatti anche di […]
Arte astratta di alto livello.
Brava Sabina.