L’Ordine del Tempio tra cristianesimo e giovannismo
I Templari e la Cupola della Roccia a Gerusalemme. L’edificio che i monaci-guerrieri chiamavano Templum Domini (la casa del Signore), altro non era che una moschea araba. Tuttavia l’Ordine del Tempio mostrava un interessamento più accentuato per la Cupola della Roccia che per la basilica del Santo Sepolcro. La sua preferenza per un edificio islamico sorprende, soprattutto se pensiamo che la basilica del Santo Sepolcro rappresentava agli occhi della Cristianità la tomba di Gesù.
Nel Medioevo ogni buon cristiano era convinto che la salma del Salvatore fosse stata deposta in quel luogo, prima che il Messia salisse al Cielo. Sarebbe stato dunque logico pensare che l’Ordine del Tempio, la Militia Christi, avesse scelto quale chiesa madre proprio la basilica del Santo Sepolcro e non la Cupola. Infatti, nonostante quest’ultimo edificio racchiudesse la roccia sacra, una reliquia sacra al giudaismo, al cristianesimo e all’islam, rimaneva pur sempre una costruzione islamica ed era considerata monumento pagano.
La costruzione della Cupola della Roccia era iniziata nell’anno 691 per volere del califfo Abb-al-Malik. Il principe mussulmano voleva trasformare Gerusalemme in un luogo importante di pellegrinaggio islamico che potesse concorrere con la Mecca. Decise quindi di innalzare un edificio nel luogo sacro della città, una moschea le cui mura proteggessero la roccia su cui Maometto, messaggero di Allah, s’era fermato a pregare per una notte intera insieme ai suoi precursori Mosè, Abramo, Salomone e Gesù.
Per gli Ebrei, invece, la roccia sacra era da sempre legata al tempio di Gerusalemme e all’Arca dell’Alleanza, enigmatica reliquia che accomunava giudaismo e cristianesimo, giacché anche i cronisti cristiani raccontavano, al tempo delle crociate, che la roccia corrispondeva al Santissimo dell’antico tempio di Gerusalemme, in cui fu custodita l’Arca dell’Alleanza.
E forse è proprio in questa tradizione che ebbe origine il rapporto stretto dell’Ordine del Tempio con la Cupola musulmana. Perché l’Arca dell’Alleanza e il mitico Graal potrebbero essere la stessa cosa. La leggenda potrebbe aver fuso insieme la reliquia più importante dell’Antico Testamento con la reliquia medievale per eccellenza. L’ipotesi scaturisce proprio dalle leggende d’Oltremare. Queste riferiscono che i Templari ponevano il Graal, nel corso di certe cerimonie segrete, nel Templum Domini, sopra la roccia sacra, e lì lo adoravano.
Cerimonie segrete nel tempio di Salomone
Un’azione di certo poco ortodossa, che però ben si accorda con l’accusa di eresia mossa contro l’Ordine del Tempio. Del resto anche gli antichi scritti ebraici del Talmud sembrano confermare il legame antico tra la Roccia e l’Arca dell’Alleanza, ribadendo che la Cupola fu eretta nel luogo in cui s’era innalzato il tempio di Salomone, e che l’Arca dell’Alleanza sarebbe stata posta sulla Roccia sacra. Un indizio – seppure mitologico – che lega i monaci guerrieri all’Arca divina.
Le tradizioni antiche parlano anche di una vera croce che si sarebbe trovata nel Templum Domini. Questo frammento della vera croce del Golgotha, su cui fu crocifisso Gesù, era stato trovato dall’imperatrice Elena madre di Costantino e veniva custodito sotto il vetro di un crocefisso patriarcale. Una reliquia che però, contrariamente a ciò che farebbe pensare il suo nome, possedeva anch’essa un doppio significato e per gli gnostici simbolizzava l’arbor vitae, l’albero della vita, simbolo precristiano e rappresentazione dell’asse dell’universo che univa il microcosmo al macrocosmo.
Oltre alla vera croce pizza bern , il Templum Domini ospitava anche una candela dorata: tale oggetto serviva a contrassegnare il punto preciso in cui la Vergine Maria aveva presentato il figlio Gesù ai sacerdoti del Tempio. E tuttavia anche in questo secondo caso si trattava di una tradizione dal significato doppio che vedeva Maria come erede della Dea Madre Mediterranea: era un chiaro riferimento alla sua luce e alle sue leggende. Prova ne sia, che i Templari usavano festeggiare nel Templum Domini la Madonna Candelora, e questa festa deriva dalla cristianizzazione della più antica cerimonia celtica di Imbolc: la luce, nata dal grembo della Dea Madre, torna ad illuminare il mondo.
L’autore spagnolo Rafael Alarcon informa che i Templari avevano contrassegnato i punti più importanti del Templum Domini come le tappe di un percorso mistico circolare che attorniava la roccia sacra. In questo modo i pellegrini avevano la possibilità di seguire una via iniziatica mentre leggevano i versi seguenti:
“Hic fuit oblatus rex regum virgine natus
quo locus ornatur, quo sanctus iure vocatur”
Chi era il re dei re di cui si parla in questi versi e che veniva mostrato in quel luogo? Di certo ufficialmente Gesù, ma non è da escludere che tali parole celassero un secondo significato occulto.
Gesù o Giovanni Battista?
E questo viene alla luce dopo un attento esame del luogo, dopo la lettura delle notizie di viaggio del pellegrino tedesco Albert von Aachen, che risalgono all’inizio del XII secolo. Von Aachen scrive che sotto la Roccia si trovavano una grotta e una piccola porta, dietro la quale:
“…venivano e vengono custodite alcune delle reliquie più sante fino ad oggi”
(“Historia Hierosolymitanae expeditionis”, Albert von Aachen)
Reliquie? E di che reliquie si trattava? Ecco che riappare una nostra vecchia conoscenza: Giovanni il Battista. Infatti la grotta, che si trova effettivamente sotto la Roccia, viene da sempre legata all’annunciazione della nascita di… Giovanni Battista. Era forse lui in realtà il rex regum ? Il re dei re, di cui parlano i versi dei Templari? Era dovuta a tale tradizione la grande venerazione dell’Ordine del Tempio per la Cupola della Roccia? A mio avviso, sicuramente sì.
Ed è dalla Cupola che deriva la predilezione architettonica dell’Ordine per la pianta ottagonale. Le cappelle templari erano spesso (soprattutto quelle costruite nella Penisola Iberica) di forma ottagonale o centrale. Queste due figure geometriche, che ricorrono nella descrizione della cittadella del Graal di Albrecht von Scharfenberg, corrispondono alla pianta degli edifici sacri orientali, come la Cupola della Roccia. Nel suo libro Der Felsendom und die Wallfahrt nach Jerusalem il professor Werner Caskel scrive che la Cupola della Roccia fu replicata dall’Ordine del Tempio in alcune miniature, una delle quali si trova a Cambridge.
Inoltre l’importanza della Roccia potrebbe anche essere collegata, come ipotizza il professor Caskel, a un antico culto della pietra che corrisponderebbe all’adorazione della Kaaba, la pietra nera della Mecca. Lo studioso tedesco pensa che alcune pietre di origine meteoritica fossero considerate alla stregua di doni del Cielo, di oggetti divini. E il Graal di Wolfram von Eschenbach non è forse una pietra caduta dal cielo? L’enigmatica lapsit exillis? Sotto la Roccia sacra di Gerusalemme, che misura 17 metri e 94 centimetri di lunghezza per 13 metri e 19 centimetri di larghezza, si trova effettivamente la grotta di cui parlava Albert von Aachen, alla quale si accede per mezzo di una piccola scala. La grotta – circa 6 metri per 7 – è molto piccola. Sul pavimento si apre un pozzo che conduce a un canale sotterraneo ed è chiuso da una lastra di marmo. Viene detto il pozzo delle anime.
Sul monte Moria, accanto alla Cupola della Roccia, s’innalza poi la moschea Al-Aqsa che fu per decenni la sede gerosolimitana dell’Ordine del Tempio. I Templari chiamavano la moschea Templum Salomonis per distinguerla dal Templum Domini che era, appunto, la Cupola della Roccia. Poiché i primi nove Cavalieri dell’Ordine abitavano l’area del Templum Salomonis, vennero denominati Templarii. I monaci guerrieri restaurarono la moschea di Al-Aqsa ed effettuarono degli scavi sul monte Moria. Il vescovo Otto von Freising, stimato storico del Medioevo, ci informa della presenza di un cimitero templare nelle vicinanze della Cupola della Roccia. E questi primi anni gerosolimitani che videro la nascita dell’Ordine del Tempio, restano avvolti nel mistero.
Per approfondire il tema Graal e Templari, rimando alla lettura del mio saggio „L’Eresia
templare“ edito da Venexia Edizioni, 2008.
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