L’unione sessuale sacra, le nozze celebrate dagli dei, viene definita “hieros gamos” nei miti greci. In italiano la si chiama ierogamia, oppure anche teogamia. Protagonisti del rito greco erano il dio del cielo Zeus e la dea della terra Hera. La festa ateniese della teogamia prevedeva l’offerta di un maialetto a Zeus Heraios e una serie di banchetti, mentre in un tempio sull’isola di Creta si celebrava annualmente l’accoppiamento di un sacerdote e una sacerdotessa. Onnipresente nelle teogonie di Egitto e Mesopotamia, è proprio in quest’ultima regione che il motivo dell’unione sacra sembra poggiare sulle prime testimonianze scritte più palpabili. Ma per individuare le radici autentiche della ierogamia è necessario retrocedere nel tempo e immaginare una società di tipo totalmente diverso che praticò le nozze sacre per un motivo ben preciso e altrettanto sorprendente.

Amori niloti

Gli amori dell’olimpo faraonico sono rappresentati dall’arte egizia e ruotano intorno alla dea del cielo Nut e il dio della terra Geb, gli equivalenti di Zeus ed Hera ma correlati agli elementi nell’ordine inverso, giacché qui il cielo è femminile e la terra maschile. Le due divinità sono una coppia presente nella teogonia incentrata sui nove dei di Heliopolis, quella generata dal dio creatore Ptah tramite la sua parola e l’abilità di inventore. Ma anche Iside e Osiride, la coppia sacra egizia per antonomasia, sono compagni di letto. Sono anche fratello e sorella. L’incesto. Un elemento intrigante, quest’ultimo, che potrebbe costituire la traccia residua e distorta di un altro tipo di società: un modello matrifocale perduto, non patriarcale come quello egizio dinastico.

Zeus ed Hera. Museo Archeologico di Palermo.

Per quale motivo? Perché in una società matrifocale, vale a dire in cui la donna riveste un ruolo centrale, la famiglia di consanguinei prevale sulla classica famiglia patriarcale composta da padre e madre provenienti da due famiglie diverse. Nella struttura matrifocale il nucleo familiare è costituito dalla madre, i figli di lei e i fratelli e le sorelle della madre stessa, insomma da tutti gli individui dello stesso sangue. In un modello di questo tipo la presenza di un “marito” diviene automaticamente superflua, giacché la donna può avere quanti partner vuole e non è tenuta a legarsi ad un solo individuo. Anzi, il cambiamento frequente del partner incentiva lo stimolo all’unione sessuale e ciò porta ad un maggior numero di nascite e assicura la continuità della specie.

Nella famiglia di consanguinei i compiti spettanti al sesso maschile possono essere effettuati dal fratello della madre (il cosiddetto “avunculus” della cultura latina). In una struttura matrifocale preistorica la coppia fratello/sorella sostituisce perciò quella patrifocale di padre/madre (in cui il padre riveste il ruolo più importante e ha potere decisionale assoluto). Dunque l’unione di Iside e Osiride, che erano anche fratello e sorella, potrebbe indicare l’eco di una presenza ormai perduta, di una tradizione diversa preistorica che, se non veniva più osservata nella vita quotidiana, continuava però ad allungare la sua ombra accanto ai personaggi del mito.

Nut, dea del cielo, sovrasta Tefnut, divinità dell’aria e Geb, divinità della terra. Nut e Geb, protagonisti della ierogamia, sono evidenziati in tono più scuro.

Anche nella ritualità alla corte dei faraoni ne rimase una traccia. Nel momento dell’incoronazione e del matrimonio con la principessa reale, il faraone diventava un essere semidivino. A partire dalla V dinastia (ca. 2500-2350 a.C.), il sovrano egizio era un re del sole, il figlio del dio Ra. Un rilievo del Nuovo Regno (ca. 1500 – 1070 a.C.) mostra l’unione del dio Amun-Ra con la madre del faraone in carica proprio per confermare la sacralità della persona che in quel momento governava le Due Terre. Non sappiamo se anche in Egitto si celebrasse una vera e propria cerimonia religiosa nelle stanze del tempio inscenando le nozze degli dei mediante l’unione di due sacerdoti, come nella Grecia antica.

Vi sono invece indizi importanti che parlano per l’importanza delle sacerdotesse in periodo preistorico e protostorico. Rilievi sulle pareti dei templi mostrano la sacerdotessa che rappresentava la dea Seshat intenta ad annotare gli anni di regno del re sull’albero della vita e non è da escludersi che in epoca più remota questa donna importante avesse addirittura il potere di decretare la morte rituale del re stesso, non appena questi si fosse rivelato troppo anziano o debole per continuare a tenere le redini del regno. Un residuo di tale usanza arcaica potrebbe essere la cerimonia trentennale del Sed, il giubileo che stava a dimostrare concretamente l’integrità della forza fisica del faraone, il quale doveva cimentarsi in una corsa rituale su terreno sacro. Anche questa usanza suggerisce la possibilità dell’esistenza di una società matrifocale preistorica.

Quando Inanna e Dumuzi…

Nel regno di Sumer, in Mesopotamia, troviamo prove concrete che attestano l’esistenza dell’unione sessuale sacra. Risalgono ad un periodo fra il III e il II millennio, si tratta di canti rituali legati alla dinastia di Ur e alla dinastia di Isin che descrivono l’unione sessuale della dea Inanna, signora di Uruk, con il mitico principe Dumuzi. Il ruolo di Dumuzi spettava al re di Ur. Gli scritti parlano di una vera e propria cerimonia cui prendevano parte musici, personale addetto al culto della dea Inanna ed il popolo stesso. Ed ora veniamo ad un punto molto importante: dopo il compimento dell’unione sacra, la dea Inanna decideva il destino del re. Come forse aveva fatto un tempo l’egizia sacerdotessa di Seshat. Anche qui sembra echeggiare un motivo a noi già noto: il potere decisionale avito della madre/sorella/sposa. Colei che dava la vita e poteva pretendere la morte.

Rilievo del tempio di Seti I a Luxor. Iside accanto alla tomba di Osiride. I due sono evidenziati in colore diverso. Sulla parte sinistra Horus, nato dalle nozze sacre delle due divinità.

Un banchetto suggellava l’unione degli dei. I canti cultuali sumeri descrivono un rito ancestrale per mezzo del quale i re delle città-stato mesopotamiche dovevano legittimare il loro potere governativo e, al contempo, la loro sacralità. Il grembo della sacerdotessa/Inanna conferiva a questi bellici signori l’autorità di regnare sul popolo di Ur. Tant’è vero che il re si definiva da quel momento “sposo di Inanna”. Lei, la donna che impersonava la dea e sposa, era probabilmente anche in quel caso una sacerdotessa. I sumeri la chiamavano NU.GIG, una definizione che veniva usata sia per la sacerdotessa di Inanna, che per la dea stessa. Si presume inoltre che il rito dello hieros gamos sumero sia riconducibile a tradizioni predinastiche della città di Uruk, poiché il fondatore della II dinastia di Ur, Ur-Nammu, proveniva proprio da quel luogo.

Vi sono testi sacri che parlano di Dumuzi come un dio che muore e risorge. Anche qui è chiaro il parallelo con l’egizio Osiride, ucciso dal fratello Seth e poi risorto per ingravidare la sorella Iside. Entrambi gli dei, quello sumero e quello egizio, erano strettamente legati alla vegetazione. L’ unione di Dumuzi con Inanna veniva correlata al germogliare della vegetazione in primavera e alla morte del dio con l’avvento della torrida estate che bruciava le piante e l’erba dei campi. Inanna, l’erede delle dee delle origini, divenne poi in seno alle società patriarcali dei sumeri e degli accadi una dea dell’amore e della morte. Inanna/Ishtar, signora del cielo, era anche una spietata guerriera, una prostituta, la sposa del signore. Ma questi sono tutti aspetti che si formarono soltanto in un secondo tempo, allo scopo di plasmare un nuovo personaggio ormai lontano dalla dea originaria portatrice di vita e fertilità e più consono ad una società guerriera.

Anche nel regno assiro e babilonese del I millennio a.C. vi sono tracce della ierogamia nelle missive dei regnanti, in testi sacri, in iscrizioni cultuali e nei documenti amministrativi. La festa babilonese del nuovo anno, Akitu, prevedeva l’unione sessuale del dio Marduk con la dea Sarpanitu. Questa si svolgeva in una stanza, lussuosamente allestita per l’occasione, del tempio di Marduk. Ma la decisione rituale sulla durata del governo del re non veniva più presa dalla dea/sacerdotessa, come in Sumer, bensì da un consiglio divino presieduto da Marduk stesso che si riuniva in un edificio situato fuori dalla città. Vediamo quindi che questo aspetto, l’eco del potere decisionale originariamente proprio della divinità femminile, era ormai passato in altre mani.

Raffigurazione di Inanna e Dumuzi, protagonisti della ierogamia sumera.

Ad Assur si celebrava l’unione sessuale della dea Tashmetu con il dio Nabu. Il rito prevedeva l’allestimento della stanza sacra all’interno del tempio e la processione delle statue delle due divinità. Per diversi giorni gli sposi rimanevano chiusi nella camera nuziale, mentre i sacerdoti recavano offerte agli dei. Al quinto giorno aveva luogo il banchetto dei regnanti. Nel decimo giorno della cerimonia, il dio Nabu veniva portato fuori dalla camera nuziale, nei giardini del tempio. Anche questi riti babilonesi e assiri erano strettamente legati al riconoscimento del nuovo sovrano.

L’invenzione del dio maschile: il toro e la sua sposa

Abbiamo quindi a che fare con tradizioni importanti al centro di riti legati alla legittimazione della sovranità del nuovo re. Denominatore comune è l’unione con la dea. Senza di essa, il re non può essere tale. Ma questa dea, che all’inizio era la signora indiscussa, poco a poco diventò una sacerdotessa prostituta del tempio. Il suo potere decisionale originario si trasformò dapprima in una mera rappresentazione, per poi svanire del tutto e lasciar posto ad un consiglio capeggiato dal nuovo sovrano.

Ci troviamo di fronte ad un allargamento progressivo della sfera d’azione del re (o principe) e ad una diminuzione dell’influsso dell’elemento femminile. Questo sviluppo non è che l’ultima tappa di un processo iniziato già molto tempo prima, durante il Neolitico. In un periodo in cui ancora la donna rivestiva un ruolo centrale nelle comunità dei primi allevatori di bestiame e coltivatori dei campi e che tuttavia rappresentava probabilmente un’epoca di transizione, il passaggio dalla struttura matrifocale a quella patrifocale, il quale culminerà nella fondazione delle cosiddette grandi culture. Il matrimonio sacro, hieros gamos, affonda le radici proprio in questa lunga fase preistorica.

La dea egizia Seshat. Una bella raffigurazione dal tempio di Luxor.

Il drammatico cambiamento della struttura sociale cominciò a delinearsi di pari passo con la domesticazione dei bovini, inizialmente degli uri in Anatolia. Gli uomini, che prima erano soprattutto i cacciatori del clan, divennero pastori e allevatori di bestiame, mentre le donne, dapprima soprattutto raccoglitrici, si specializzarono nel lavoro dei campi. Con il sorgere dei primi centri abitati di maggiori dimensioni, si ebbe una specializzazione dei ruoli lavorativi. A ragione l’orientalista Gerhard Bott identifica la rivoluzione neolitica con una rivoluzione sociale e ne individua i primi passi nel centro cittadino anatolico di Çatal Hüyük Già qui, intorno al 7250 a.C., Bott riconosce le tracce di un culto del toro che si aggiunge a quello originario ed esclusivo della Grande madre che a suo avviso veniva praticato dai cacciatori raccoglitori del Paleolitico.

Nonostante ciò, nella società anatolica dell’VIII millennio la struttura sociale era ancora quella matrifocale, lo testimonierebbero le innumerevoli statuine femminili reperite in tale giacimento archeologico che, in un rapporto dell’80% relazionato ad un 20% di raffigurazioni maschili dimostrano, in aggiunta al particolare posizionamento delle sepolture femminili all’interno delle abitazioni e nelle vicinanze del focolare e ad altri elementi ancora, l’importanza del ruolo femminile in seno alla comunità anatolica.

Tuttavia l’elemento del toro appare sulla scena a celebrazione della fertilità, della potenza sessuale maschile e di quella patrilinearità che giungerà più tardi a cambiare del tutto il modello sociale. La nuova cultura dei bovidi è caratterizzata e dominata dalla figura del pastore, colui che porta il bastone. E proprio questo bastone troveremo, infatti, all’alba delle grandi culture di Sumer ed Egitto. Sarà lo scettro dei re.

Verso il 4500 a.C. giungono in Europa i pastori nomadi protoindoeuropei dalle steppe eurasiatiche, coloro che iniziano la “colonizzazione” del Continente. La struttura sociale introdotta da questi nuovi arrivati non è più quella ecumenica della pristina cultura anatolica e danubiana. Inizia una lenta gerarchizzazione, un’organizzazione in classi sociali specializzate, e questo tipo di comunità – così Bott – è sempre legato ad una visione patrifocale che vede un re-pastore a capo del popolo, accompagnato da una regina.

Il progresso di una cultura di questo tipo che crea un modello di vita basato sull’allevamento del bestiame, sul lavoro dei campi e sull’accumulo di beni materiali, implica la sedentarietà. A questo punto la famiglia di sangue (donna/fratello/figli) perde d’importanza, perché il capo pastore vuole per sé degli eredi che possano essere i depositari dei suoi beni e ha bisogno, quindi, di una sposa. Viene a crearsi così la famiglia patrifocale composta da padre, madre e figli come la conosciamo oggi, in cui il fratello della madre/avunculus non ha che un ruolo marginale.

Ierogamia come sacralizzazione della paternità

Un nucleo familiare di questo tipo porta a una struttura sociale capeggiata da un re pastore e da una classe elitaria formata da allevatori e possidenti di bestiame. Questi individui hanno tutto l’interesse a mantenere ed espandere i propri beni, a privatizzare quelle che prima erano state le risorse comuni e a consolidare, a scapito della famiglia di consanguinei (madre-fratello), la famiglia fondata sull’unione della coppia (padre-madre) di cui egli assume il controllo esclusivo. Ed ecco che entra quindi in gioco il matrimonio sacro, il quale ha la funzione di ufficializzare dinanzi alla comunità e di legittimare coram populo la nuova situazione. In una struttura sociale simile il ruolo della donna si ridusse, poco a poco, a quello di madre completamente dipendente dallo sposo (Bott definisce tale situazione come “infantilizzazione della donna”), allevatrice dei figli e custode del focolare.

Teste di toro, fantastici reperti dal sito anatolico di Catal Hüyük e simboli della divinità maschile.

Il matrimonio sacro è forse l’espressione più forte di sacralizzazione della sessualità e, al contempo, di sacralizzazione della paternità: un aspetto che prima, nella società ecumenica matrifocale di cacciatori raccoglitori paleolitici non aveva nessun ruolo predominante. È l’apoteosi delle culture patriarcali. Secondo Bott, il culto dell’unione sacra avrebbe avuto tre funzioni: sacralizzazione della fertilità, sacralizzazione e legittimazione del re e sacralizzazione del potenziale erede al trono. È ovvio che ci troviamo di fronte a un radicale cambiamento di pensiero. Se la “sacralità” della donna era stata uno sviluppo naturale strettamente legato alla maternità e quindi alla fisicità della donna stessa, l’invenzione della sacralità dell’uomo fu una costruzione artificiosa, una conseguenza e conditio sine qua non del nuovo tipo di società patriarcale che senza di essa non sarebbe potuto esistere.

Questa evoluzione portò ad un fenomeno unico e particolare che avrebbe introdotto l’emergenza dello stato e accompagnato la fondazione di tutte le grandi culture: l’invenzione di divinità maschili.

Scrive Bott:

“L’invenzione degli dei maschili inizia con il dio della fertilità che in quanto sposo nel rito del matrimonio sacro è il primo dio maschile in assoluto e da lui si sviluppano poi tutti gli altri dei di sesso maschile: poiché la teologicizzazione mitografica di un pantheon di dei uomini serve alla teologia politica e ha lo scopo di creare delle origini divine per un governo terreno esistente. Se non si comprende il fondamento culturale e storico da cui ha avuto origine questo culto, vale a dire senza capire l’homo sapiens del Paleolitico dal punto di vista antropologico e sociologico, non è possibile comprendere l’importanza culturale e la rivoluzione culturale provocata dal rito delle nozze sacre.”

 

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