L’insostenibile leggerezza di decifrare l’indecifrabile

 

 

Ho avuto la fortuna di vedere più volte la Tavoletta di Narmer da vicino. Al Museo Egizio del Cairo. L’ultima volta era esposta in una vetrinetta della grande sala centrale al pianterreno, illuminata dalla luce naturale di un rovente giorno d’estate che, spandendosi dal lucernario, trasformava il museo in una sauna gigantesca. La paletta cerimoniale è alta circa 60 centimetri, fatta di scisto e risale approssimativamente al 3100 a.C. Su entrambi i lati vi sono splendide raffigurazioni geroglifiche la cui perfezione sbalordisce davvero se pensiamo che fu realizzata all’alba dei re, quando i faraoni ancora non esistevano. Era l’epoca dei Compagni di Horus, i dominatori misteriosi che, partendo dall’Alto Egitto, poco a poco conquistarono le Due Terre. I signori del falco.

Scavando, scavando…

Fu di certo una grande emozione, per gli archeologi James E. Quibell e Frederick W. Green, portare alla luce la tavoletta durante gli scavi effettuati nella favolosa Hierakonpolis alla fine del XIX secolo. Era l’epoca in cui l’archeologia muoveva i primi passi, quando grandi studiosi seri e scrupolosi del calibro di William M. Flinders Petrie e Jacques de Morgan davano il cambio ad avventurieri scriteriati come Émile Amélineau, il terrore degli egittologi, quello che nel corso degli “scavi” di Abido devastò le tombe con una grazia da pazzo furioso e distrusse sistematicamente dei reperti dal valore incommensurabile per avere a disposizione pezzi unici da vendere al migliore offerente.

Enigmi irrisolti della Tavoletta di Narmer

Tomba di re Narmer ad Abido, che consiste di due camere funerarie.

Per fortuna la Tavoletta di Narmer fu trovata dai due inglesi nel corso della campagna organizzata da Flinders Petrie (1897-1898). Giaceva, insieme con la testa di mazza di re Narmer e quella di re Scorpione, nel deposito principale di Hierakonpolis, sotto la pavimentazione di un edificio che doveva essere stato un tempio consacrato al dio Horus. In quello stesso tempio fu rinvenuta anche la splendida testa di falco rivestita in foglia d’oro che si può ammirare oggi al primo piano del Museo Egizio del Cairo e molti altri reperti di grande importanza, tra cui delle statue dei sovrani Pepi I e Khasekhemui. Insomma, un “bottino” di tutto rispetto per il team di studiosi inglesi.

La paletta colpisce particolarmente non solo per l’ottimo stato di conservazione e la bellezza delle raffigurazioni geroglifiche che ci trasmettono intatto un messaggio scolpito più di 5000 anni fa, ma anche perché è il più antico documento egizio in nostro possesso che fu realizzato appositamente per celebrare ufficialmente e fissare nella memoria collettiva un avvenimento della massima importanza: l’unificazione delle Due Terre. Uno stralcio di storia del periodo protostorico fissato in uno storytelling in immagini. Numerosi sono stati i tentativi di decifrare tutti i messaggi trasmessi dal reperto.

Innanzitutto dobbiamo dire che si tratta di una tavoletta cerimoniale, un oggetto votivo che fu creato per essere conservato nel tempio. Tuttavia l’artista si ispirò a utensili di uso comune molto diffusi in Egitto: le palette per il trucco, che vantavano una lunga tradizione nelle Due Terre, essendo già largamente presenti nell’oggettistica della Cultura di Badari (ca.5000-4000 a.C.). Versata nell’incavo sul centro delle palette, la polvere minerale blu oppure nera veniva mischiata all’acqua, allo scopo di produrre una pasta cremosa da applicare facilmente sul contorno degli occhi. Di solito però questi oggetti erano molto più piccoli della paletta in questione e privi di raffigurazioni così pregiate.

Le scene rappresentate sui due lati della Tavoletta di Narmer sono dominate entrambe dal re. Un sovrano sicuramente esistito, una persona in carne ed ossa, ma il cui personaggio è ammantato dalla leggenda. Si confonde con il mitico Menes, citato nella Storia dell’Egitto del sacerdote Manetone di Sebennytos. A lungo si è dibattuto sull’identità di questo Menes. Giacché i re egizi da sempre portavano titoli/nomi differenti, alcuni studiosi identificavano Menes con Horus Narmer, altri con il suo successore Horus Aha. Attualmente si propende per il secondo. Horus Aha (il Combattente) sarebbe stato il personaggio storico alla base della figura di Menes. E tuttavia il passo decisivo all’unificazione delle Due Terre viene attribuito ugualmente a re Horus Narmer, quello della splendida tavoletta. Fu lui a sottomettere il regno del nord, i “ribelli” del Delta.
L’egittologo Walter Emery immaginava l’Egitto protostorico così:

“(…) una monarchia doppia, sicché subito dopo l’unificazione l’individualità dei due stati, quello del nord e quello del sud, era molto più marcata che in epoca più tarda. Sembra che ci siano stati infatti due apparati amministrativi distinti che furono uniti sotto un unico trono. Anche le elaborate cerimonie dell’incoronazione del sovrano, la festa Sed (che celebrava l’anniversario del governo del re) e la cerimonia funebre di questi, venivano ripetute due volte in presenza di insegne differenti, sullo sfondo di architetture diverse e attenendosi ai differenti costumi del Basso e dell’Alto Egitto.” (W. Emery, “Predinastic Egypt”)

Enigmi irrisolti della Tavoletta di Narmer

Unità di peso con il serech (facciata di palazzo) sormontato dal falco Horus che porta, al suo interno, il nome del sovrano. Museo dell’Arte Egizia, Monaco di Baviera.. © Capmondo CC BY SA 3.0 Museum für ägyptische Kunst München

Questo fa pensare all’esistenza di una tradizione ben precisa di casa nei territori del Delta che andava scrupolosamente rispettata. E dove c’è una tradizione del genere, normalmente c’è stata anche una struttura governativa. Non solo. Se l’elemento delle „Due Terre“ (i due regni dell’Alto e Basso Egitto) era così importante e l’idea del „doppio“ rimase sempre pervicacemente radicata nella memoria egizia – era presente alla base dei riti religiosi, della teologia, dell’arte figurativa, della simbolica, ecc.- ciò suggerisce che i due regni abbiano coesistito per un lungo periodo di tempo durante il Predinastico.

Nonostante la successione dei signori predinastici sia ancora materia di discussione, Horus Narmer sembrerebbe essere salito al trono dopo Horus Scorpione. Anche la sua testa di mazza reperita nel deposito del tempio di Hierakonpolis parla della conquista di una parte del Delta e del relativo bottino di guerra: 1.422.000 manzi e capre, 120.000 prigionieri. Cifre esorbitanti, poco importa se corrispondevano o meno alla realtà dei fatti. Il messaggio che si voleva comunicare era la vittoria schiacciante di Horus Narmer, signore dell’Alto Egitto, sui territori del Basso Egitto. Il sovrano fu sepolto ad Abido, nella necropoli di Umm el Qa’ab, in una tomba a due camere.

La Tavoletta dell’Horus vivente: celebrazione di una vittoria

Enigmi irrisolti della Tavoletta di Narmer

Tavoletta di Narmer, lato posteriore. La scena è dominata dal re nell’atto di colpire il nemico con la clava. Museo Egizio del Cairo.

Sulla paletta cerimoniale è Narmer in persona, il “Siluro furioso”, a dominare la scena (con riferimento al pesce siluro, le cui dimensioni possono raggiungere i 2 metri). Sul lato posteriore della tavoletta, il re porta la corona bianca dell’Alto Egitto, afferra il nemico per i capelli e sta per colpirlo con la mazza. Un atteggiamento tipico che diverrà la rappresentazione standard dei faraoni dominatori e resterà tale per tremila anni di storia. Accanto al nemico, un geroglifico: W3š. Dinanzi al re c’è il falco Horus suo protettore, con l’arpione conficcato nel naso di un prigioniero. Offre al sovrano una striscia di terra su cui crescono piante di papiro: il Delta. Dietro il re è rappresentato, più in piccolo, il servitore con l’acqua e i sandali. Quest’ultimo è sovrastato da una rosetta a sei petali sul cui significato molto si è discusso. Secondo alcuni: un simbolo di regalità, in analogia con la rosa mesopotamica a otto petali. Secondo altri: il nome del servitore stesso. A mio avviso, la rosetta è da leggersi insieme con il geroglifico del vaso scolpito immediatamente al di sotto di essa. Forse corrisponde al nome maschile di persona Wn.

Interessante è anche l’elemento della barba del nemico inginocchiato dinanzi al sovrano. Evidenzia la discrepanza da Narmer il quale si mostra rasato e munito della classica barbetta posticcia che diverrà anch’essa un attributo dei faraoni. Sotto il re sono raffigurati altri nemici sconfitti (forse nell’atto di fuggire). Accanto a loro c’è un geroglifico che sta a simboleggiare un centro abitato, una città fortificata. E poi un elemento particolarmente interessante: tutta la scena è sovrastata da due teste di vacca che fiancheggiano la facciata di palazzo (serech) con il nome del re: Nar-mer, il Siluro furioso. La vacca sacra cosmica Bat/Hathor continua dunque ad essere presente. Un puro elemento dal valore apotropaico, oppure la componente femminile regale del Basso Egitto messa a servizio del nuovo sovrano?

Le scene raffigurate sul lato anteriore della tavoletta, sono più complesse. Sotto le due teste di vacca e il serech con il nome del sovrano, vediamo una processione. Il trionfo del re dopo la vittoria. Qui Narmer porta la corona rossa del Basso Egitto. Dietro di lui marcia il solito servitore con i sandali e l’acqua, davanti a lui c’è una persona importante con capelli lunghi (forse una parrucca) e una pelliccia di pantera. Interessante sono le grandi dimensioni di questa figura, seconde soltanto a quelle del re. Poi si vedono i dignitari che reggono gli stendardi dei diversi distretti delle Due Terre.

File di morti decapitati sono raffigurate davanti alla processione, così come la barca di Horus sovrastata dal falco. Sotto questa scena di vittoria, due uomini tengono al guinzaglio animali fiabeschi, leopardi dal lungo collo, che ricordano senza dubbio gli animali dei sigilli sumeri. L’ovale formato dai loro colli rappresenta il tipico incavo delle palette per il trucco. Infine, nell’ultimo registro inferiore, c’è un possente toro che incorna il nemico accanto alle mura di una città fortificata. Un’allegoria della forza di Horus Narmer, il vittorioso.

Questa una spiegazione sintetica. In realtà, la Tavoletta di Narmer nasconde ancora diversi segreti. L’egittologo tedesco Michael Höveler-Müller, ad esempio, azzarda una sua interpretazione personale, affermando che l’oggetto è una carta geografica dell’Egitto antico. E scrive:

“Non soltanto le sue raffigurazioni trasmettono un messaggio, anche la sua forma è un’evidente affermazione. (…) Questa forma ricorda molto quella del Delta e fu adoperata, a mio avviso, per rappresentare in essa la battaglia finale in un territorio che si trovava ormai sotto la dominazione delle genti di Naqada. (…) Le vacche rappresentano le due aree del Basso Egitto, l’arpione sopra il nemico di Narmer è un territorio del Delta orientale, mentre la città fortificata, rappresentata sull’estremità inferiore della tavoletta, è forse il territorio menfita.” (M. Höveler-Müller “Am Anfang war Ägypten”)

Un’ipotesi originale. L’archeologo Hermann Schlögl evidenzia invece, nella scena della processione sul lato anteriore della tavoletta, un geroglifico scolpito alle spalle del re e del portatore di sandali: una sorta di triangolo in cui Flinders Petrie leggeva il termine: deb, e che lo stesso Schlögl interpreta come “sacrestia”, mentre l’egittologa francese Béatrix Midant-Reynes crede di riconoscervi un “terreno agricolo”. In ogni caso, Narmer ha lasciato alle sue spalle questo luogo dal significato misterioso e non meglio identificato, e si sta recando alla “grande porta di Horus con l’arpione”, rappresentata dai geroglifici scolpiti sopra le file dei nemici decapitati. E questa “grande porta” viene interpretata da Hermann Schlögl come la “città tempio di Buto”. Da questa breve analisi di un simbolo, si vede come il terreno della decifrazione sia sdrucciolevole e pieno di ostacoli.

Quello che si dice e quello che non si dice

Enigmi irrisolti della Tavoletta di Narmer

Tavoletta di Narmer, lato anteriore. Nel registro superiore, sotto le teste di vacca, è raffigurato il corteo reale. Il trionfo dopo la vittoria. Museo Egizio del Cairo.

E chi regnava nella città tempio di Buto? Ancora non lo sappiamo. Ma di certo ci fu, a Buto, un edificio labirintico portato alla luce alcuni anni fa dall’egittologo Thomas von der Way. E di certo i nemici di Narmer, barbuti e capelluti, non erano un tipico modello egizio. Ricordano piuttosto il tipo asiatico che appare anche in altri reperti cerimoniali egizi protostorici, sempre associato a nemici sconfitti del Basso Egitto. Basti pensare alla tavoletta degli avvoltoi (British Museum, Londra), a quella dei tori (Museo del Louvre, Parigi), oppure anche alla testa di mazza di re Scorpione (Ashmolean Museum, Oxford). Abbiamo insomma a che fare con simboli ricorrenti della massima importanza, che delineano un processo di conquista già in corso con re Scorpione. Questo processo, probabilmente, con Narmer giunse al trionfo finale.

Il Delta. Il Basso Egitto. Potrebbe trattarsi di quel regno leggendario cui accennano alcuni studiosi fra le righe e a cui forse facevano capo delle regine? Il femminile, sulla Tavoletta di Narmer, non è rappresentato soltanto dalle vacche cosmiche che sovrastano la battaglia e vigliano sul trionfo di Narmer. C’è un altro personaggio che potrebbe essere una donna. Nella scena della processione, davanti al re, cammina quella persona dai capelli lunghi, vestita con una pelliccia di leopardo. Sopra di lei, un geroglifico che ne rivela il nome. Ed è un nome dalla tipica desinenza femminile: Tjet. Una sacerdotessa? Una scriba? In ogni caso un personaggio che, salvo poche eccezioni, viene definito dall’egittologia ufficiale al maschile, come “un sacerdote” oppure “uno scriba”, e poi ignorato del tutto.

Soltanto l’egittologo Henri Naville evidenziò, a suo tempo, che questo scriba doveva essere una donna. Ma Tjet era davvero una scriba? Gli utensili che porta in spalla servivano veramente alla scrittura? Oppure, come ha osservato qualche studioso, si trattava di funghi allucinogeni, adoperati nel corso di cerimonie sacre? In questo caso Tjet sarebbe stata primariamente una sacerdotessa. Sia come sia, la sua posizione sulla tavoletta, le sue dimensioni seconde soltanto a quelle del re, la preziosa pelliccia di leopardo che fa da contrappunto alla coda di toro appesa alla cintura di Horus Narmer, tutto ciò mi fa pensare che questa figura nasconda una chiave di lettura ben più importante.

A ciò si aggiungono i diversi elementi che suggeriscono l’esistenza di un regno del Basso Egitto in cui il ruolo delle donne non doveva essere da poco. Sappiamo, ad esempio, che la sposa di Narmer era Neith-Hotep. Già il nome di questa principessa porta in sé il forte richiamo alla dea Neith, signora della battaglia venerata nel Delta e simboleggiata da arco e frecce. E poi, come osservò l’egittologo Walter Emery, la tomba di questa regina scoperta a Naqada è molto più imponente di quella dello stesso Narmer suo consorte. Come si spiega questo fatto? Un elemento di primo piano, insieme con la raffigurazione sulla testa di mazza di Narmer che, secondo Emery, rappresentava l’unione ufficiale fra Narmer e Neith-Hotep e che portò l’egittologo a ipotizzare un “matrimonio” strategico del potente signore del sud con una principessa del nord, allo scopo di legittimare il suo dominio sui territori del Delta.

Tutte queste considerazioni evidenziano il ruolo chiave dei reperti predinastici, in particolare quello della Tavoletta di Narmer. Si tratta di documenti essenziali per poter ricostruire gli eventi del passato. Il re, raffigurato in dimensioni sovrumane, un gigante fra i comuni mortali, intende affermare la sua potenza, il suo profondo legame con la divinità di Horus, il cui nome precede quello del sovrano stesso. La sua missione è una missione di sangue. Quella che viene chiamata “unificazione” delle Due Terre, fu in realtà una storia di battaglie, saccheggi, rapimenti, devastazioni.

Con la Tavoletta di Narmer, la regalità diventa istituzione. Il sovrano è “quello con la mazza” oppure “quello con l’arpione”. Ai suoi piedi ci sono nemici in fuga, uomini inginocchiati, cadaveri decapitati. È la premessa alle tombe della prima dinastia, circondate da centinaia di vittime sacrificali. Il preludio all’instaurazione definitiva di una cultura dominata da una classe guerriera, quella dei Compagni di Horus, signori del sole e intermediari esclusivi fra il popolo e gli dei. La Tavoletta di Narmer segna l’inizio di una nuova era. Scrive Midant-Reynes:

“La cosa impressionante è, durante il passaggio dal 3200 e al 2700 avanti Cristo, il prodigioso sviluppo monumentale delle tombe parallelamente all’abbandono delle forme più antiche di prestigio: tavolette, coltelli, ceramiche dipinte…e l’irruzione del tema della violenza nell’iconografia. (…) Il controllo passa nelle mani di un piccolo numero di individui che esercitano il loro potere non soltanto sulle terre e sui loro beni, ma ugualmente e soprattutto sulle persone, delle cui vite sembrano disporre.” (B- Midant-Reynes, “Aux Origines de L’Égypte”)

Questa minoranza di potenti instaurò una sorta di “culto della monarchia”, come suggerisce l’egittologo Toby Wilkinson. Alla classe dominante dei pat si contrapponeva la massa dei rechyt, simbolizzati da poveri uccelli impiccati e penzolanti dagli stendardi dei distretti delle Due Terre. Era l’instaurazione del potere assoluto per diritto divino.

Per approfondire il tema dell’Egitto predinastico e protodinastico, rimando al mio saggio “Prima di Cheope” edito da Nexus Edizioni, 2013.

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