Il termine egizio che definiva la divinità: ma qual era il suo significato originario?
Netjer. In un nome il mistero delle origini. L’immagine che gli antichi Egizi avevano delle sacre figure alla base della loro religione politeistica, la concezione egizia del divino di per sé e del rapporto profondo che intercorreva tra il sovrannaturale e l’essere umano, rimane per noi un libro con sette sigilli.
Impossibile da decifrare. Possiamo solo formulare ipotesi. Eppure è vero che nei miti si nasconde sempre un nucleo di verità. Miti e simboli: riuscendo a interpretarli nel modo più appropriato, si può tentare di far luce su avvenimenti storici legati a un’epoca lontana, da cui non ci sono pervenuti documenti scritti esaustivi.
È possibile invece che dietro questi Netjeru (plurale di Netjer) delle origini si nascondano figure di esseri umani particolarmente potenti, di capi carismatici, di sovrani predinastici. Perché più tardi, nel Regno Antico e soprattutto nella terza dinastia, l’appellativo di Netjer costituiva parte integrante del nome del sovrano. Netjeri-chet era uno dei nomi di re Djoser, il costruttore della piramide a gradoni di Saqqara.
Netjeru, gli dei zoomorfi delle origini e il culto dell’albero Tjeret
Per capire chi furono i primi Netjeru, dobbiamo analizzare le tracce giunte sino a noi. Altro, per il momento, non possiamo fare. Perché tra gli antichi Egizi, protagonisti di un passato remoto con oltre tremila anni di storia avanti Cristo, e noi, approdati da più di un decennio nel 2000 dopo Cristo, ci sono barriere per il momento insormontabili: il tempo, la lingua, la particolare collocazione geografica.
La storia dell’Egitto, così come l’apprendiamo dai libri, è “tradotta” nella nostra lingua, adattata al nostro modo di intendere l’ambiente che ci circonda. Eppure basta occuparsi un po’ più a fondo della lingua dei faraoni – soprattutto del complesso sistema geroglifico – per capire che siamo di fronte a un altro modo di interpretare il mondo. Figuriamoci poi il sovrannaturale.
Se già l’Egitto dell’Antico Regno è difficilmente comprensibile, ancor più lo è quello pre- e protodinastico. Qui si va tentoni nel buio. Però torniamo al termine di partenza, Netjer. Che significava in origine la parola? Vale a dire: qual era la prima rappresentazione geroglifica del dio? Un bastone avvolto da lembi di stoffa che, sulla sua cima, sembrano sventolare come una bandiera. Così era rappresentato, nei geroglifici più antichi, il Netjer. Una sorta di feticcio.
Da questo simbolo alcuni egittologi vedono svilupparsi gli alti piloni con bandiere che affiancano i maestosi portali dei templi egizi. Ed è interessante, a questo proposito, che già in epoca preistorica due piloni con bandiere di ergessero dinanzi al tempio della dea Neith, signora del Delta. Come vediamo anche sulla tavoletta di re Horus-Aha. Quasi a suggerire che tale feticcio (o simbolo) sacro rimase per sempre una parte importante dei luoghi di culto delle Due Terre.
L’elemento della stoffa avvolta intorno a un bastone con dei lembi sventolanti sulla cima ricorre anche sugli stendardi dei nomi (distretti) egizi che venivano portati in processione, e spesso in concomitanza con il misterioso feticcio del pilastro djed (o zed) connesso a Osiride. E poi vi sono altri due lembi di stoffa che rimasero, anch’essi, durante tutte le epoche della storia egizia un elemento fisso dell’iconografia regale: i nastri che scendono dalla parte posteriore delle corone dei faraoni.
Seguendo la rappresentazione geroglifica del Netjer, alcuni studiosi hanno creduto di riconoscere quattro fasi di un processo in quest’ordine cronologico: feticismo, zoolatria, antropomorfismo. Vale a dire che il Netjer sarebbe stato rappresentato prima con un’asta a bandiera, poi per mezzo di divinità zoomorfe, e infine con sembianze umane.
Ma l’egittologo Erik Hornung contesta tale chiave di lettura, evidenziando che già in epoca predinastica vi erano due modi di raffigurare il dio nelle iscrizioni geroglifiche: oltre al bastone con lembi a bandiera, il Netjer era rappresentato anche dall’immagine di un falco appollaiato su di uno stendardo. Basti osservare la “Paletta delle città” (o Paletta Tehenu) di re Scorpione.
Si trattava forse di Horus? “Colui che viene da lontano”? Era a lui che si riferiva originariamente il termine Netjer? Inquietante è, a questo proposito, la somiglianza fra il termine Netjer (letto: Necer o Nacir) e il termine sumero Dingir che traduce anch’esso la parola “dio”. Ancora un collegamento fra i primi Signori egizi e i Signori mesopotamici?
Esiste però anche un’altra teoria, quella dell’egittologa Margaret Murray. Facendo riferimento al termine geroglifico Tjeret che significa “salice”, Murray ipotizzava all’origine di Netjer la parola ni-tjeret, vale a dire: “colui /colei che appartiene al salice”. E il salice era importante oggetto di culto, così come altri alberi delle Due Terre.
L’egittologo Hans Bonnet racconta che a Menfi si trovava un salice sacro, il cui innalzamento avveniva in una cappella ad esso consacrata. Questa cerimonia, che non può non ricordare l’innalzamento del pilastro djed raffigurata in splendidi geroglifici policromi in una sala del tempio di Sethos I, avveniva in occasione della festa trentennale del re e serviva ad assicurare al monarca ulteriori anni di regno propizi e gloriosi.
Neith, la signora del Delta
Ma al centro dei culti arborei vi erano quasi sempre divinità femminili. Isched veniva chiamato l’albero della vita. Sulle sue foglie la dea Seshat annotava meticolosamente gli anni di regno del faraone. Compito che fu assunto dalle sacerdotesse di Seshat ed era importantissimo. Alcuni studiosi affermano che forse questa cerimonia originariamente sanciva addirittura la fine del regno di un sovrano e la sua morte rituale per sacrificio. La dea Hathor, altra antichissima divinità nilota dalla testa di vacca, era la signora del sicomoro.
Abbiamo visto più sopra che all’alba dei re dinanzi al tempio della dea Neith s’innalzavano due piloni ornati da bandiere: il simbolo geroglifico di Netjer. Ebbene bisogna dire che questa divinità femminile godeva di grande popolarità nel Predinastico, tant’è vero che sulle steli delle prime tombe reali di Abido il suo nome ricorre con grande frequenza accanto a quello del falco Horus. Le regine delle primissime dinastie lo portano.
Il suo simbolo è, sin dai tempi più antichi, quello dell’arco e delle frecce. Il suo nome è stato tradotto come “la terribile”. Neith era Signora della guerra, afferma l’egittologo Bonnet. Ma Neith era anche una cacciatrice e inoltre era la dea del mare e del Nilo, dunque dei corsi d’acqua, come le dee più antiche della Vecchia Europa.
Anche durante il Nuovo Regno il suo ruolo importante degli inizi non fu mai dimenticato. La chiamavano “la prima madre degli dèi”. È possibile che i simboli arcaici di Netjer, l’asta con bandiera e il falco appollaiato, si riferissero rispettivamente a Neith e Horus? Alle regine del Delta e agli invasori giunti da lontano? Fu il falco celeste a impadronirsi poco a poco del pilone con bandiera? E fu così che i re, compagni di Horus, divennero per sempre i rappresentati terreni dei Netjeru?
Per approfondire il tema dell’Egitto predinastico e protodinastico, rimando al mio saggio „Prima di Cheope“ edito da Nexus Edizioni, 2013.
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Ottimo articolo. Mi permetto di segnalare, al riguardo, questi scritti:
http://nuovaprovincia.blogspot.it/2010/10/considerazioni-ed-ipotesi-intorno-ad.html
http://www.adonebrandalise.info/trickster/doku.php?id=lingue_future:veronesi_monogenesi
Domande ammiccanti che stimolano il lettore.
Brava Sabina! Come sempre .