Fata Morgana o realtà?

 

 

Dal 1885 la leggenda della città perduta del Kalahari affascina gli avventurieri alla scoperta dell’Africa. Alcuni pensano che il sito misterioso si trovi in una zona sud-ovest del vasto semideserto namibiano, nel letto prosciugato di un fiume, laddove pochi azzardano un viaggio a causa dell’inospitabilità del territorio. Non lontano dal Nossob Riviers. Altre tradizioni parlano invece di un luogo situato da qualche parte nel nord del Kalahari. Fata Morgana o realtà?

Il Gran Farini. Da funambolo a scopritore

Fu un viaggiatore canadese che si faceva chiamare Guillermo Antonio Farini, ma il cui vero nome era William Leonard Hunt, a raccontare per primo dell’esistenza di questa città del deserto. Lo stesso Hunt è un personaggio da romanzo. Nacque nel 1838 a Lockport, in Niagara County, ma già nel 1843 la sua famiglia si trasferì in Canada. Leonard, che sin da piccolo dimostrò di avere un carattere avventuroso e indomabile, si unì un giorno a un circo di passaggio e iniziò la carriera di funambolo. Una volta sicuro del proprio talento, tentò di fondare un circo proprio. L’impresa finì male, con sommo disappunto dei suoi parenti che avevano contribuito finanziariamente.

Farini con dei pigmei nel Royal Aquarium di Londra. Dominio pubblico

Farini con dei pigmei nel Royal Aquarium di Londra. Dominio pubblico

L’insuccesso, però, non scoraggiò il giovane acrobata, che inscenò la sua prima performance sul Ganaraska River nell’ottobre del 1859, presentandosi come “signor Farini”. E questa volta ebbe successo. Il suo numero più famoso rimase l’esibizione di funambolismo sulle Cascate del Niagara, nel 1860. Hunt camminava sulla corda tesa sull’abisso delle cascate tuonanti, talvolta anche con un uomo oppure con un sacco sulle spalle, facendo acrobazie di tutti i tipi. Una volta si esibì davanti al Principe del Galles. Dall’America si recò in tournée a Londra. Fu subito sulla bocca di tutti. Ormai era diventato “the Great Farini”, il Gran Farini.

Nel 1869, Hunt mise fine all’attività spericolata di funambolo per timore di incorrere in un incidente mortale o, perlomeno, dalle conseguenze fatali. Tuttavia rimase nello show-business del circo, lavorando come allenatore per acrobati, manager, inventore di macchine da teatro, sia per coto proprio che in società con il noto impresario americano Phineas Taylor Barnum. Questa sua attività circense durò sino al 1885, l’anno in cui decise di andare in Africa. Anche qui era spinto dalle sue velleità esibizionistiche. Intendeva fare la traversata del Kalahari a piedi. Un’impresa incredibile, all’epoca, che però ebbe buon esito. Così il Grande Farini fu il primo uomo bianco a essere sopravvissuto a una traversata del deserto. E non solo. Al suo ritorno, Hunt raccontò di aver scoperto la città perduta del Kalahari. Quest’uomo eccezionale dall’inesauribile fantasia continuò a inventare macchine sino a un freddo gennaio del 1929, quando si ammalò d’influenza e morì a Port Hope, in Ontario.

Il viaggio di Clement e le strane rocce di Rietfontein

Altri tempi, altre avventure. Ma Hunt/Farini, al suo ritorno dal viaggio africano, pubblicò un libro in cui narrava in modo dettagliato le proprie esperienze nel Kalahari e la scoperta di resti litici misteriosi. La documentazione del viaggio era stata da lui depositata alla Royal Geographical Society. Nel suo libro, l’avventuriero scrisse di aver visto delle rovine di un edificio per metà sepolto, una gigantesca nave di pietra in un sito abbandonato tra le rocce. Vi era anche una sorta di santuario – o una tomba – con ossa umane divorate dal tempo. Inoltre vide dei blocchi di arenaria rossa scolpiti e altre pietre non ancora completamente lavorate.

Insomma dei resti di una città scomparsa forse distrutta da un terremoto, così Hunt. Realtà? Fantasia? Il suo racconto fece grande impressione. Del resto l’inventore non era il primo avventuriero del show-business a trovare delle antichità in un luogo semidesertico. Anche l’italiano Giovanni Battista Belzoni (1778 – 1823), ingegnere che si guadagnò da vivere nel circo, aveva scoperto – quasi cent’anni prima – imponenti templi nascosti fra le sabbie dell’Alto Egitto. E le scoperte di Belzoni erano autentiche.

Su una pista solitaria del Kalahari durante il periodo delle piogge. In questo tempo il semideserto cambia faccia e diventa verde. Foto: Sabina Marineo

Su una pista solitaria del Kalahari durante il periodo delle piogge. In questo tempo il semideserto cambia faccia e diventa verde. © Reimund Schertzl

In ogni caso, lo scrittore Alan Paton fu impressionato dal racconto di Hunt e organizzò nel 1959 una spedizione alla ricerca della città perduta del Kalahari. Al contrario di Hunt, però, non lo gridò ai quattro venti. La sua spedizione rimase segreta fino al 1988, quando Paton morì. Soltanto nel 2005 l’Università di QwaZulu-Natal pubblicò il suo libro “Lost City of the Kalahari”. Niente di fatto. Paton… non aveva trovato nulla. Ma il Kalahari è immenso, le possibilità sono tante, si pensava, e il tema affascinava sempre. Le spedizioni non finirono lì, ne partirono costantemente di nuove.

Oggi le immagini satellitari del semideserto sudafricano non sembrerebbero rivelare, per quanto ne sappiamo, dei resti di mura di pietra da nessuna parte. Ma non si può escludere che la città perduta dorma ancora completamente ricoperta da un manto naturale. Oppure che si nasconda fra le bizzarre formazioni rocciose viste da numerosi viaggiatori, a metà fra prodigi del vento e opere della mano dell’uomo.

Il punto rosso sulla mappa, al confine tra Namibia e Sudafrica, indica la presunta ubicazione delle formazioni rocciose di Clement. Il punto blu indica la pista che vedete nella foto sopra, da me percorsa. Carta Sabina Marineo

Il punto rosso sulla mappa, al confine tra Namibia e Sudafrica, indica la presunta ubicazione delle formazioni rocciose di Clement. Il punto blu indica la pista che vedete nella foto sopra, da me percorsa. © Reimund Schertzl

Una spedizione del 1964, diretta dal giornalista e fotografo A. J. Clement, ebbe modo di documentare una strana formazione di dolerite che gli abitanti della zona chiamavano Eggshell Hill e si trova nel territori circostanti Rietfontein, nella Namibia meridionale al confine con il Sudafrica. Clement la descrisse “con la forma inconfondibile di un grande anfiteatro ovale che misurava forse 500 metri di lunghezza”. Inoltre vi erano in molti luoghi apparenti resti di mura costruiti con grandi massi rocciosi luccicanti. Di certo vedendo queste formazioni di roccia, concluse Clement, si poteva pensare di trovarsi al cospetto di una città perduta. Ma un attento esame, così il giornalista, avrebbe rivelato un’altra realtà.

Clement dedicò al tema un libro corredato di fotografie in bianco e nero. A suo avviso, si trattava di formazioni rocciose naturali, il risultato del lavoro di agenti atmosferici durante centinaia di migliaia di anni. Tuttavia, guardando quelle immagini, non si può non essere colti dal dubbio. Soprattutto alcuni dei massi si presentano perfettamente squadrati, differenziandosi dalle tipiche rocce erose della regione di Rietfontein. Allora? Tutto un abbaglio? Una fata Morgana? Oppure sono davvero i resti di una città scomparsa?

Il Kalahari: 850.000 chilometri quadrati. Un territorio immenso, pressoché disabitato, in estate arido e soggetto a temperature così alte, da essere invivibile. E le antiche leggende di Boscimani e Ottentotti raccontano davvero di un’antica città del Kalahari che non sarebbe stata costruita da gente delle loro etnie, bensì da una popolazione misteriosa e sconosciuta. Lo dirà il tempo.

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