Quando il Vaticano taceva ed eseguiva
Operazione Odessa e Vaticano. Una patata bollente. Tra le anime recuperate dalla Chiesa e aiutate ad espatriare all’insaputa dei governi c’era anche Adolf Eichmann, l’uomo responsabile dell’organizzazione internazionale per la deportazione degli ebrei dalla Germania e dai territori occupati e per la morte di sei milioni di persone. Dapprima internato in un campo di prigionia americano, Eichmann riuscì a scappare e visse per un certo periodo ad Altensalzkoth, un paesino tedesco in cui si guadagnava la vita come taglialegna.
Qui visse sotto falso nome. Si chiamava Otto Henninger. Poi, con l’aiuto del parroco di Sterzing, Eichmann trovò rifugio in un convento di Bolzano. La Croce Rossa gli procurò un documento falso in cui figurava come Ricardo Klement. Infine nel 1950, per mezzo di un’efficiente ratline, aiutato dal vescovo Alois Hudal e dall’arcivescovo Siri, s’imbarcò a Genova, abbandonò l’Europa e raggiunse l’Argentina.
Hudal fu un personaggio chiave nell’Odessa. Era il rettore dell’Istituto Pontificio di Santa Maria dell’Anima, a Roma. Altro personaggio chiave fu l’arcivescovo Giuseppe Siri, attivo a Genova, che coordinava le azioni di imbarco dei fuggiaschi.
Quattro anni dopo, sia il governo tedesco che la CIA erano al corrente della fuga di Eichmann, del suo nuovo domicilio, del suo nuovo nome falso. Eppure non fecero nulla per arrestarlo. Probabilmente si voleva evitare uno scandalo internazionale, giacché Adolf Eichmann e il celebre giurista Hans Globke avevano avuto dei contatti durante il periodo del Terzo Reich. Globke aveva partecipato attivamente con il regime nazista alla compilazione di leggi e decreti che interessavano il “problema della razza ebraica”. Nonostante ciò durante gli anni Cinquanta Globke fu nominato segretario del cancelliere di Stato Konrad Adenauer. Se fosse trapelata la verità sulla sua collaborazione con Eichmann e il Terzo Reich, ci sarebbe stato uno scandalo di grande portata.
Dunque si preferì chiudere un occhio sulla fuga di Eichmann e lasciarlo sparire in Sudamerica. Laggiù non poteva nuocere. E lì rimase fino al 1960, quando fu arrestato sotto casa da alcuni agenti del Mossad. Era stato Simon Wiesenthal a scovarlo. Eichmann fu condotto in Israele, sottoposto a processo e condannato a morte. Anche Globke non poté sottrarsi al suo destino. Il giornalista tedesco Albert Norden, acceso comunista, dimostrò la collaborazione di Globke con i nazisti e il solerte collaboratore fu condannato all’ergastolo.
Politica vaticana: meglio il Terzo Reich che il comunismo
Altro celebre nazista fuggito grazie alle ratlines fu Josef Mengele, il medico dei campi di concentramento detto “angelo della morte”, un uomo dai gelidi occhi azzurri che conduceva terribili esperimenti sui prigionieri ebrei e sugli zingari detenuti ad Auschwitz. Mengele raggiunse nel 1949 Buenos Aires con il nome falso di Helmut Gregor. Poi si trasferì in Paraguay e più tardi in Brasile dove morì, nel 1979, stroncato da un malore mentre faceva il bagno.
Accanto ai collaboratori ecclesiastici dell’Odessa, come Hudal e Siri, non bisogna dimenticare il prete Draganovic che aiutò a fuggire i fascisti ustascia, permettemdogli così di lavarsi delle loro colpe e ricominciare una nuova vita all’estero.
E poi non dobbiamo dimenticare il Vaticano stesso, centro di potere. Il giornalista argentino Uki Goni afferma a tale proposito: “Per il Vaticano e i servizi segreti degli alleati il salvataggio di collaboratori nazisti e criminali SS era parte di un comune programma anticomunista.(…) Cardinali come Montini – il futuro papa Paolo VI – erano il cervello dell’organizzazione di espatrio. Vescovi e arcivescovi come Hudal, Siri e Barrere spianavano la via ai procedimenti burocratici. Sacerdoti come Draganovic, Heinemann e Dömöter firmavano le richieste di lasciapassare. Di fronte a queste prove inconfutabili, c’è da chiedersi se papa Pio XII fosse al corrente di tali manovre.”
Anche il Papa, infatti, non fece nulla per metter fine a questo scandalo. Il suo interesse primario era quello di combattere il comunismo e, per farlo, tutti i mezzi erano buoni. Del resto questo era chiaro sin dal 1939, quando, durante un incontro con dei cardinali tedeschi, il Papa ribadì la propria aderenza al Concordato stipulato con il Reich. Una dittatura di tale fatta non disturbava affatto il pontefice,“dato che la Chiesa non era tenuta a scegliere tra un sistema politico e un altro.”
Dunque Pio XII scelse il silenzio. Il Vaticano scelse il silenzio. E qualche volta il silenzio pesa molto più di un’ammissione di colpa.
Il tema del nazismo e delle sue impicazioni con le società segrete viene trattato in un capitolo del mio saggio Trappola Globale, in cui parlo del governo ombra delle banche e delle multinazionali, dei pericoli della globalizzazione.
Hinterlasse einen Kommentar