Come la corona di Mitra divenne l’aureola di Gesù
La luce del sole e la festa di Natale. Di primo acchito sembrerebbero due estremi: lo splendore luminoso del giorno e il chiarore argenteo della luna d’inverno, il trionfo della natura illuminata dai raggi del sole e il silenzio freddo dell’Avvento, quello denso di timore sacro che accompagna la nascita divina. Eppure alle radici del Natale c’è proprio una festa dedicata al sole, al Sol invictus, l’astro invitto e quindi anche invincibile, quello che sempre sconfiggerà la tenebra, la luce della notte per gli iniziati ai misteri sacri. Da festa pagana del Sole a commemorazione della nascita di Gesù.
Il sole affascina l’umanità dall’alba dei tempi, e il motivo è ovvio. Senza il sole, così come senza l’acqua, non ci sarebbe vita sul pianeta. Al suo splendore rosso-dorato è contrapposto il fievole chiarore lunare. Sol e Luna, due elementi di primaria importanza negli scritti alchemici. Giorno e notte. Caldo e freddo. Maschile e femminile, per quanto in altri idiomi il ruolo maschile spetti alla Luna e quello femminile al Sole. Nella lingua tedesca: der Mond (maschile: la luna) e die Sonne (femminile: il sole).
E se la luna, come scriveva il mago Agrippa da Nettesheim nella sua Occulta Philosophia, era lo scrigno di tutti i segreti degli antichi, il sole rappresentava invece il centro dell’universo, la sapienza raggiante, la luce della Conoscenza, lo spirito di tutte le cose. Il mitico Ermete Trismegisto lo identificò con una divinità maschile invisibile ma sempre presente, il Nascosto. Il faraone eretico Akhenaton ne fece il dio per eccellenza, l’incontrastato Aton signore del cielo.
Eppure la divinità accadica maschile Shamash, raffigurata con il disco solare a otto raggi davanti a sé e la fune di misurazione in pugno, originariamente era…una donna. Cambiò sesso in seguito all’incontro con il dio del sole sumero Utu, allorché si fuse con l’immagine di questi e divenne tutt’uno con essa. Così si trasformò in un potente signore barbuto dal copricapo cornuto. Il santuario principale di Shamash era la ziqqurat di Sippar, città del sole per antonomasia, in cui venivano conservate le tre tavole della Conoscenza.
Nel cielo egizio, quale pendant di Shamash, splendeva il dio Ra. Il suo ingresso ufficiale nel pantheon degli dèi risale alla III dinastia, fu allora che le sue immagini giunsero a decorare i templi di re Djoser. Forse il fulgore dei suoi raggi aveva oscurato l’importanza di un culto stellare originario che continuò a esistere, ma asservito al dominio di Ra. Signore guerriero, Ra presenta intriganti paralleli con le divinità protoindoeuropee del cielo sempre pronte alla battaglia. Al suo fianco c’è Horus, il falco, che colpisce i nemici con l’arpione. E come i signori indoeuropei portavano il loro carro di battaglia con sé sin nella tomba, così i faraoni egizi si fecero seppellire accanto alla loto barca, la lignea nave di Ra che attraversava il regno del Duat – l’Oltretomba – durante le ore notturne.
Anche la Roma antica di Romolo e Remo aveva il suo dio del sole. La tradizione vuole il culto della divinità Sol Indiges già presente su suolo latino ai tempi della fondazione, istituito dal leggendario re dei Sabini Tito Tazio. Il Sol Indiges veniva adorato insieme al suo pendant Luna in un tempio proprio, che era situato nel Circo Massimo. La giornata in onore del Sol Indiges e della Luna era il 28 agosto, giorno di fine estate. Ma la popolarità di questa divinità antichissima aumentò nel periodo finale della Repubblica e il Sole finì per divenire la divinità protettrice degli imperatori romani.
Vespasiano fece innalzare in suo onore una statua gigantesca, con Traiano e Adriano l’astro fece la sua apparizione sulle monete d’oro degli imperatori, i solidi. A partire dal regno di Commodus, la denominazione invictus divenne un appellativo degli imperatori romani. Traccia archeologica del passaggio del Sole nelle pratiche cultuali, è l’iscrizione di un altare del 158 d. C. che recita “Soli Invicto Dei”. Ma già nel I secolo d. C. il simbolo del Sole accompagnava il nome del dio Mitra, divinità di origine iraniana le cui radici affondano approssimativamente nel 1400 a. C..
Tale processo sincretistico appare abbastanza logico, poiché il Mitra iranico veniva da sempre associato al cielo, alla luce e al calore e, di conseguenza, anche alla crescita e alla fertilità. Anche Mitra, come Sol, era dispensatore di vita e al contempo un dio guerriero. Dalla Persia (antico Iran) il culto di Mitra si diffuse in tutta l’Asia Minore e la Mesopotamia, poi anche nell’impero romano. Nelle raffigurazioni dell’Urbe, Mitra si presentava come giovane eroe immortalato nell’atto di sgozzare un toro. Sul suo capo posava il tipico berretto frigio, attributo che svelava il transfer di tradizione avvenuto attraverso l’Asia Minore.
Il misterioso culto di Mitra
Il culto di Mitra era una religione misterica di iniziazione. Poco sappiamo, dunque, sulle pratiche riservate ai soli iniziati e tenute segrete. In ogni caso i seguaci del mitraismo si riunivano nel cosiddetto mitreum, un luogo sotterraneo, una caverna, una cripta. Indicativo del mitreum erano il vestibolo e la caverna vera e propria, stanza rettangolare con altare, munita di panche alle pareti e detta spelunca. Le panche rivestivano un’importanza particolare nel santuario, perché i riti in onore di Mitra prevedevano dei pasti sacri che venivano consumati in gruppo dai fedeli. Una vicina sorgente d’acqua caratterizzava il mitreum. Diversi simboli che fanno parte dell’iconografia dell’eroe Mitra, richiamano alla memoria i segni zodiacali. Secondo alcuni studiosi l’uccisione del toro rappresentava un fase del ciclo solare, l’equinozio di primavera; secondo altri stava a indicare l’era astrologica del toro.
Il culto di Mitra aveva cominciato a diffondersi a Roma nel I secolo d. C., soprattutto come culto guerresco praticato dai legionari. I più antichi santuari del dio risalgono al II secolo. Però già nel III secolo d. C., e proprio in seguito alla fusione di Mitra con il simbolo del Sol Invictus, il mitraismo stesso iniziò a impallidire, sopraffatto dal più potente culto solare. Soprattutto durante il regno di Aureliano, dopo che la madre dell’imperatore, ardente seguace del Sol invictus, fece costruire un tempio al Sole e fondò una casta sacerdotale allo scopo di attribuire maggiore ufficialità al culto dell’astro dispensatore di vita.
Tuttavia l’importanza del mitraismo nel mondo romano fu talmente grande, che alcuni studiosi lo considerano il primo concorrente del cristianesimo e altri suo precursore. Sta di fatto che il culto di Mitra era aperto esclusivamente a un pubblico maschile, mentre il cristianesimo accolse anche le donne. Ma i paralleli fra il personaggio Mitra e la figura di Gesù sono tanti. Anche Mitra, come Gesù, era stato mandato sulla terra dal padre per combattere contro il Male; anche Mitra era attorniato da dodici seguaci; anche Mitra celebrò con essi l’ultima cena prima di morire; anche Mitra resuscitò dal regno dei morti; anche Mitra, in qualità di Sol invictus, ha il capo circondato da un’aureola (di raggi solari); anche il culto di Mitra parlava di inferno e cielo, di giudizio universale; anche il giorno dedicato a Mitra era la domenica; anche il gran sacerdote del culto di Mitra veniva chiamato papa e portava il copricapo frigio di colore rosso, un mantello rosso, un anello e un bastone pastorale; anche gli iniziati al mitraismo praticavano un rito di consumazione di pane, vino e acqua.
Poiché il culto di Mitra è molto più antico del cristianesimo, ovviamente sono stati i cristiani a inserire nella propria religioni elementi propri al mitraismo, e non viceversa. Comunque fu dal sincretismo del culto di Mitra e del culto del Sol invictus che si sviluppò la festività del 25 dicembre, originariamente come ricorrenza della nascita di Mitra. Era il Dies solis invicti. Nel periodo più buio dell’anno, alla fine del giorno più breve dell’anno, si festeggiava la festa della luce. Un gesto dal sapore atavico e propiziatorio, che ricorda senz’altro il calendario celtico: la festa di Yule (21 dicembre), notte in cui la dea della fertilità partorisce nel ventre della terra colui che, nel corso del ciclo annuale, sarebbe diventato il dio della luce e suo nuovo compagno.
In hoc signo? La vittoria del cristianesimo
Senza la scelta fatidica dell’imperatore Costantino (ca. 280-337 d. C.), il quale privilegiò il culto cristiano – altresì garantendo per mezzo dell’ Editto di Milano del 313 la libertà di religione in tutto l’impero -, forse il cristianesimo non avrebbe mai raggiunto la popolarità e diffusione che riscontrò in tutto il mondo. Altro fattore decisivo allo sviluppo del cristianesimo è stata l’organizzazione ben funzionante della Chiesa Cattolica, che già alla fine del I secolo d. C. aveva assunto la sua struttura portante ed era in grado di effettuare un’efficiente missione di apostolato. Quando poi l’imperatore Teodosio (ca. 347-395 d. C.) innalzò di fatto il cristianesimo a religione di Stato, la vittoria dell’astro Gesù era ormai suggellata. Con somma sfortuna per i seguaci dei tanti altri culti esistenti nell’impero, che si videro da un momento all’altro accusati di paganesimo ed eresia, e quindi sottoposti a crudeli persecuzioni. Dunque Costantino spianò la via a Teodosio, il luminoso percorso che portò alla vittoria del cristianesimo. Lo storico Hartwig Brandt osserva:
“Il passo dal Sol invictus a Gesù Cristo era breve, e il suo superamento da parte di Costantino fu di certo il risultato di una decisione pragmatica.” (B. Seewald, “Kaiser Konstantin, der brutale Machtpolitiker” da: Die Welt online del 02.12.2014)
Nessuna visione divina sul campo di battaglia, quindi. Nessun “In hoc signo vinces”. Come qualsiasi capo di Stato, Costantino era in primis un freddo calcolatore. E può essere che, proprio per un’ironia del destino, quella nuova religione privilegiata dall’imperatore per appoggiare i propri giochi di potere, un giorno abbia contribuito al disfacimento dell’impero stesso. Brandt aggiunge:
“I cristiani non furono di certo i becchini dell’impero. Ma una cosa è chiara: l’impero romano affondava le sue radici in un rapporto di fiducia fra culti e religione. Questa lealtà fu gravemente lesa e distrutta in gran parte proprio dall’intolleranza militante del cristianesimo.” (ibidem)
Ora, dalla penombra della cripta cristiana che tanto ricorda il misterioso mitreum, saliamo i gradini ed entriamo nella chiesa inondata di luce del giorno. Poi abbandoniamo anche l’edificio sacro, le superstizioni del passato. Lasciamo le guerre di religione alle nostre spalle e con esse il colorato universo degli dèi, la lungimiranza politica della pax romana, l’intransigenza dei primi padri della Chiesa e i tanti martiri, pagani o cristiani che fossero.
Nel buio di un inverno come tanti altri e che sempre si ripeterà, cerchiamo la luce dentro noi stessi. Il divino ci circonda nell’aria che respiriamo, nella bellezza della natura e di tutte le meraviglie intorno a noi. Adesso possiamo festeggiare il Natale senza pregiudizi, come si festeggia la notte che precede il ritorno della luce.
[…] took place between 17 and 23 December in honor of the god Saturn and preceded the day of the Sol Invictus (feast of the winter solstice “Dies Natalis Solis Invicti“or “Day of birth of the Sun […]
[…] che si svolgevano tra il 17 e il 23 dicembre in onore del dio Saturno e precedevano il giorno del Sol Invictus (festa del solstizio invernale “Dies Natalis Solis Invicti” ovvero “Giorno di nascita del […]
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Un articolo ben scritto che rivela competenza e approfondimento culturale. Congratulazioni!
Grandiosa Sabina!
Condivido totalmente le tue considerazioni filosofiche generali sul divino e le tue idee in merito all’ascesa del Cristianesimo, che quasi nulla ha inventato.
Le parole di Brandt è come se fossero le mie:
„I cristiani non furono di certo i becchini dell’impero. Ma una cosa è chiara: l’impero romano affondava le sue radici in un rapporto di fiducia fra culti e religione. Questa lealtà fu gravemente lesa e distrutta in gran parte proprio dall’intolleranza militante del cristianesimo.“
E ripensando a Ipazia d’Alessandria, mi vengono i brividi.
Condivido sempre i Suoi comunicati. Sono un vecchio (91 anni) anarchico e ateo dall’età di 14 anni. Bravo e auguri per l’anno nuovo
È un onore e un piacere. Tanti auguri anche a Lei.