In principio era la madre

 

 

Il Lago di Costanza, in Germania, è sfondo di un’eccezionale scoperta: una parete con seni di donna del Neolitico. L’ incredibile reperto è stato realizzato intorno al 3900 a.C. ed è una prova in più per l’importanza della donna nella preistoria. Un altro indizio si aggiunge così ai tanti reperti portati alla luce in decenni di prezioso lavoro che gli archeologi hanno svolto in tutta Europa, in Oriente e nella culla di mamma Africa. La teoria della specialista Marija Gimbutas, che dopo un periodo di entusiastica diffusione è stata osteggiata e denigrata da quell’establishment più tradizionalista e meno aperto al nuovo, oggi torna in primo piano, debitamente onorata da diversi studiosi di fama mondiale.

La parete con i seni di donna

Il luogo di ritrovamento è il sito palafitticolo presso Bodman-Ludwigshafen, sul Lago di Costanza. Qui gli archeologi subacquei hanno scoperto, tra il 1990 e il 1994, più di 2000 frammenti di ceramica sul fondo lacustre. Erano parti di una grande pittura parietale appartenente a un’abitazione neolitica. Datazione: 3867 – 3861 a.C. (Cultura Pfyner). Piano piano, durante il restauro, venivano ricostruite sette figure di donna stilizzate.

Archeologi al lavoro sul fondo lacustre. Foto: Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Archeologi al lavoro sul fondo lacustre. © Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Sono tutte rettangolari, ricoperte di punti bianchi. Guardando con attenzione si vedono spuntare in alto, ai lati dei rettangoli, delle piccola braccia protese. Le teste delle figure sono dipinte come dei soli raggianti e, fra una figura e l’altra, vi sono motivi vegetali, probabilmente alberi. Ma la cosa più impressionante sono i seni di queste rappresentazioni femminili. Ben modellati a grandezza naturale, sono in rilevo, fuoriescono dalla pittura e dominano così l’insieme pittorico. Lunghezza dell’opera: 7 metri. Una scoperta impressionante, un unicum a livello mondiale. L’archeologo Helmut Schlichtherle, che da sempre si occupa del progetto, afferma:

“Ci siamo resi conto sin dall’inizio di essere di fronte a un reperto eccezionale, ma ci è voluto del tempo per ricostruirlo completamente e poterlo quindi spiegare in modo plausibile. Ora è chiaro: abbiamo a che fare con una pittura monumentale di grande importanza per la religione e la forma sociale del Neolitico dell’Europa centrale.”

Interessante è anche il fatto che gli studiosi abbiano rilevato delle connessioni tra la pittura dei seni del Lago di Costanza e le steli e pitture rupestri rinvenute nel territorio alpino, anche se questi ultimi sarebbero di 1000 anni più “giovani”. Dopo un accurato lavoro che è durato anni, la grande pittura parietale è stata completamente ricostruita. Oggi è terminata, pronta in tutto il suo splendore per essere esposta al pubblico la primavera prossima.

Qual è il significato di questa grande opera che decorò la stanza di un edificio del sito palafitticolo? Si trattava di un’abitazione esclusivamente “privata” oppure abbiamo a che fare con un edificio dalla funzione sacra? Perché queste figure di donna sono state riportate in modo così stilizzato? Perché proprio quella forma? La prima impressione degli studiosi è che si tratti della raffigurazione derivata da un culto degli antenati. Le sette figure potrebbero rappresentare le antenate del clan. Ma se questo è vero, abbiamo a che fare con un clan di struttura matrilineare. E se ci troviamo al cospetto di una comunità basata sulla matrilinearità, allora è certo che la donna vi abbia rivestito un ruolo molto importante. Matrilineare significa anche matrifocale.

Restauro della parete. Foto: Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Restauro della parete. © Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Matrifocale non è matriarcale

A questo punto vorrei fare una dovuta precisazione, perché l’uso improprio di termini talvolta può generare una notevole confusione e addirittura compromettere delle teorie di grande importanza. Esaltata dalle esponenti di quella fazione del femminismo più acceso, la Vecchia Europa di Marija Gimbutas è diventata una sorta di matriarcato modello. L’impero delle donne. Questo errore fatale ha distorto l’immagine dell’Europa neolitica ricostruita dalla studiosa, l’ha trasformata in una struttura sociale che, probabilmente, non è mai esistita. Per il semplice fatto che un vero matriarcato andrebbe a cozzare contro un sistema di vita del tutto naturale, non ancora intaccato da gerarchizzazioni, monopolizzazioni e governi di nessun tipo.

Nondimeno l’errata accezione della teoria della studiosa lituana ha incoraggiato i ricercatori più tradizionalisti a insorgere contro di lei, denigrandola – talvolta in modo indecoroso – e riducendo i risultati dei suoi studi alla semplice proclamazione di un matriarcato che in realtà non c’è mai stato e di cui Gimbutas non ha mai parlato. Non le sarebbe mai venuto in mente di definire in un modo talmente inadeguato la struttura sociale della Vecchia Europa. Perché?

Perché il termine matriarcato è formato dal vocabolo latino mater, madre, e da quello greco archein, essere a capo, governare. Insomma, sarebbe una sorta di “governo della madre” che andrebbe a opporsi al patriarcato “governo del padre”. E tuttavia, mentre il patriarcato è una struttura ben reale e presente nella nostra storia perché alla base di tutte le cosiddette grandi culture – basti pensare a quella romana capeggiata dal pater familias -, invece l’esistenza di una società fondata sul vero matriarcato, vale a dire una struttura gerarchica organizzata con potere centralizzato e monopolio di risorse dipendente da un governo di donne, fino a questo momento non è mai stata riscontrata.

Ricostruzione della parete completa. Stette immagini stilizzate di donna, alberi e probabilmente abitazioni (triangoli sotto gli alberi). Foto: Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Ricostruzione della parete completa. Stette immagini stilizzate di donna, alberi e probabilmente abitazioni (triangoli sotto gli alberi). © Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Quando Gimbutas parla delle comunità matrifocali della Vecchia Europa, si riferisce perciò a una struttura che non è né gerarchica, né a potere centralizzato e in cui non esiste nessuna classe dirigente che reclami per sé il monopolio delle risorse naturali. Le comunità della Vecchia Europa (detta anche Cultura del Danubio) erano, per quanto ne sappiamo, società ecumeniche ed egalitarie. Una differenza fondamentale. Nessuno comandava, non esisteva nessun governo, né del padre, né della madre.

Il ruolo importante della donna nel Neolitico derivava probabilmente da un modello preistorico ancor più antico e dipendente dal semplice fatto che la donna poteva partorire e l’uomo no. La donna era donatrice di vita, il sangue mestruale era sacro, poiché proveniva dalla vulva e la vulva dava la vita. Il sangue si considerava quindi parte integrante del miracolo della nascita. Diversi indizi fanno pensare che esistesse in epoca preistorica anche un culto del sangue, strettamente legato a questo aspetto e che avrebbe trovato la sua espressione più frequente nella colorazione delle ossa dei defunti con ocra rossa.

Dunque la donna godeva di una certa autorità e sicuramente anche di grandi libertà che, con l’avvento delle società patriarcali e della conseguente perdita di importanza del ruolo femminile, le furono poi sottratte. Il “focus” era puntato sulla donna. Matrifocale. Questo però non significa che l’uomo non avesse nessun ruolo e nessuna voce in capitolo.

Matrilineare e patrilineare

Per rendercene conto, dobbiamo innanzitutto capire come funzionava il sistema della matrilinearità, la struttura che si presume alla base del modello preistorico della Vecchia Europa e che riguarda esclusivamente i legami di parentela. Questo modello è stato ampiamente studiato su schemi comportamentali riscontrati presso alcune popolazioni tribali ancora esistenti ed altre estinte. La donna, in quanto madre, è solitamente libera di prendere il partner che desidera e per sua natura “poligama”, giacché può sempre disporre di un nuovo partner sessualmente più attivo o, per qualche altro motivo, da lei preferito in quel momento. Un fattore importante, che incrementa il numero delle nascite.

Dettaglio di raffigurazione femminile. Da notare: la testa a forma di sole raggiante. Foto: Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Dettaglio di raffigurazione femminile. Da notare: la testa a forma di sole raggiante. © Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

È ovvio che i suoi figli non saranno riconosciuti come figli suoi e di un uomo in particolare, e dunque il concetto di “padre” viene a rivelarsi del tutto superfluo, inutile. Come dicevano i Latini, “mater semper certa, pater numquam” (la madre è sempre certa, il padre no). I figli della madre sono di fatto soltanto suoi. Di conseguenza si rivela superfluo anche il classico nucleo familiare così come lo conosciamo oggi: padre, madre e figli. Si presume che al centro dei clan preistorici vi fossero la madre, i figli della madre e la famiglia materna della madre. L’uomo che sosteneva la donna nella vita quotidiana non era il padre dei suoi figli, il quale apparteneva a un’altra famiglia di sangue con cui viveva. Il compagno della donna era suo fratello (o i suoi fratelli). Questi deteneva, accanto alla donna, il ruolo di capoclan. Si trattava perciò di clan strettamente fondati sul legame di sangue (sacro) e sul concetto naturale della maternità.

L’elemento maschile si concretizza, sullo sfondo del Neolitico, nell’immagine del toro. Un animale forte, impressionante, che simboleggia la fertilità perché feconda la vacca. Un animale strettamente legato agli uomini allevatori di bestiame che, insieme alle donne raccoglitrici e lavoratrici dei campi, comincia a delineare un nuovo modello di struttura sociale. Per ironia della sorte, sarà proprio questo periodo della preistoria che precede l’avvento delle grandi culture ad essere fatale alla donna. Non subito, ovviamente. All’inizio la donna continua a detenere il suo ruolo primigenio, prova ne sia la pittura del Lago di Costanza. Ma più tardi la situazione cambia. Come può accadere? È interessante, a tale riguardo, la teoria dello studioso Gerhard Bott.

Dettaglio dei seni di donna. Foto: Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Dettaglio dei seni di donna. © Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

La riporto qui in sintesi. Verso la fine del Neolitico, l’importanza della madre raccoglitrice e lavoratrice dei campi impallidisce sempre più, di mano in mano che si afferma l’importanza dell’uomo allevatore di bestiame. Dobbiamo pensare che nel Paleolitico l’alimentazione dell’Homo sapiens derivava in gran parte dal raccolto delle donne, più che dalla selvaggina – così Bott. Ebbene, nel corso del Neolitico questo rapporto si inverte. La carne del bestiame assume un ruolo sempre più importante. Gli allevatori pure. Il bestiame è la ricchezza del clan.

Con l’arrivo dell’aratro, l’uomo prende definitivamente piede sul campo coltivato. È lui il signore dell’aratro, della mandria e delle greggi. Mentre la donna finisce per essere confinata ai soli lavori domestici. I suoi fratelli diventano ben presto più importanti di lei. Il loro raggio d’azione corrisponde alla ricchezza del loro patrimonio. Se un uomo dispone di un patrimonio, ha anche una certa autorità, ha qualcosa di suo da lasciare ai posteri e di conseguenza può essere interessato a fondare una propria discendenza, vale a dire una discendenza generata da se stesso e da una donna.

A questo punto, i figli non sono più soltanto figli della madre, ma anche del padre. S’instaura una bilinearità. Si definisce così un nuovo modello di famiglia e conseguentemente di società. Una struttura che plasma la fine del Neolitico e sfocia nella patrilinearità con l’arrivo degli Indoeuropei, dei cavalli e dei loro carri da guerra. Gli episodi isolati di violenza (non guerra!) che avevano offuscato la pace del Neolitico diventano ora più frequenti, sistematici, più massicci. Diventano azioni guerresche. I centri abitati si cingono di mura robuste, imponenti, per proteggersi dagli attacchi nemici. Il padre ora domina la scena. La dea madre dell’acqua e della terra lascia il posto al dio del cielo.
Ma tutto ciò avviene più tardi. La parete con i seni di donna del Lago di Costanza racconta un’altra storia.

Dettaglio di albero. Da notare: sotto l'albero ci sono simboli di forma triangolare che potrebbero rappresentare le abitazioni a palafitta. Foto: Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Dettaglio di albero. Da notare: sotto l’albero ci sono simboli di forma triangolare che potrebbero rappresentare le abitazioni a palafitta. © Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Uno dei reperti del Lago di Costanza, uno splendido vaso con evidenti attributi femminili. Foto: Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

Uno dei reperti del Lago di Costanza, uno splendido vaso con evidenti attributi femminili. © Landesamt für Denkmalpflege im Regierungspräsidium Stuttgart

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