Tombe dei Figli del Sole nel Caucaso

 

 

Sui monti del Caucaso ci sono le misteriose città dei morti degli Osseti, gli eredi dei Figli del Sole. Lassù, come nidi d’aquila, si celano gli insediamenti dominati dalle torri ossete, costruzioni che vantano un’esistenza secolare. Dunque la catena del Caucaso vide sorgere le città dei vivi e le necropoli dei morti le une accanto alle altre, in una bizzarra combinazione che rispecchiava il ciclo perenne di vita, morte e rinascita della natura.

Necropoli ossete dove sostano le aquile

In Ossezia, territorio situato per metà in Russia e per metà in Georgia, vivono ancora oggi gli eredi dei Figli del Sole, come definiscono gli Osseti gli eroi della loro tradizione mitologica di matrice indoeuropea. Sulla cima delle impervie montagne dell’Ossezia, al termine di vie faticosamente percorribili, là dove anche gli archeologi hanno difficoltà ad arrivare, vi sono i resti delle città di un tempo. Costruzioni che risalgono a settecento anni fa.

Rovine di torri. Foto-FiagdonAhsartag CC-BY-SA-3.0

Rovine di torri. © FiagdonAhsartag CC-BY-SA-3.0

Su tutto spiccano le torri, in cui abitavano le famiglie più ricche dei clan di cavalieri seminomadi allevatori di bestiame. Potevano raggiungere i quattro piani. Al loro interno erano suddivise in camere da letto, camera per gli ospiti, cucina con focolare, stalla e magazzino per le provviste. L’ultimo piano era destinato alla difesa. Si trattava perciò di torri-fortezza. In caso di attacco nemico, gli abitanti della torre si ritiravano sul piano alto salendo una scala a pioli che poi, una volta giunti a destinazione, rimuovevano e facevano sparire all’interno dell’edificio, dietro una porta che veniva immediatamente sprangata. In questo modo rendevano la stanza inaccessibile e si mettevano in salvo, ben provvisti di vettovaglie che gli permettevano di resistere per settimane a un eventuale assedio.

Ma nelle vicinanze delle torri ci sono anche altri edifici. Delle costruzioni munite di tetto che assomigliano a piccole case abbandonate. In realtà queste non erano abitate. Avevano la funzione di tombe. Una delle più grandi necropoli del Caucaso si trova nei pressi di Dargavs, nell’Ossezia settentrionale. Qui i tetti appuntiti di un centinaio di tombe litiche si stagliano sotto il cielo di piombo. Le aperture d’accesso si aprono come buchi scuri attraversati soltanto dal vento e dalle tempeste. Uno spettacolo che toglie il fiato. Alcune delle costruzioni sono, in parte, ipogee. La città dei morti di Dargavs risale al XIV secolo. I monumenti funebri sono, come sempre, situati su di un’altura e i muri che delimitano le stanze al di sopra del terreno sono provvisti di fori. Questo dettaglio aveva una funzione ben precisa: serviva alla ventilazione delle camere, di modo che le salme deposte al loro interno non fossero soggette a putrefazione ma piuttosto alla mummificazione naturale.

Abitazione con torre sui monti del Caucaso. Foto: Boris Gaydin CC-BY-SA-3.0

Abitazione con torre sui monti del Caucaso. © Boris Gaydin CC-BY-SA-3.0

Prima di essere collocati nei monumenti funerari, i defunti venivano spogliati e talvolta avvolti in stoffe. Quindi erano deposti lungo mensole di legno, insieme con le offerte. Quando tutte le mensole erano colme, si deponevano le salme più “vecchie” in una fossa sottostante, di modo che vi fosse posto per i nuovi arrivati.

Interessante è il particolare misterioso che accompagna alcune tombe di Dargavs: delle piccole imbarcazioni di legno in cui venivano deposte le salme. Non vi sono corsi d’acqua navigabili nei dintorni. Evidentemente queste barche avevano puro valore simbolico. Si credeva che le anime dei defunti, per raggiungere il paradiso, dovessero prima oltrepassare un fiume. Un elemento della tradizione osseta che ricorda senz’altro il mitico Stige degli antichi Greci, pauroso corso d’acqua dell’oltretomba.

I defunti osseti erano accompagnati nell’ultimo viaggio da un corredo funerario di tutto rispetto, composto di oggetti provenienti dai luoghi più diversi, come ceramica della Georgia, vetri fabbricati in Russia, prodotti d’Oriente. Sono proprio tali oggetti ad aver permesso agli archeologi la datazione delle tombe. E se la più antica risale al XVII secolo, la più recente è del 1830.

In ogni caso gli Osseti di oggi preferiscono evitare la necropoli di Dargav. Secondo un’antica leggenda sempre viva nella popolazione, colui che visita Dargav non fa più ritorno. Forse l’eco di una terribile epidemia che colpì la popolazione nel XVIII secolo è ancora presente in quella regione del Caucaso. Soprattutto perché spesso i malati incurabili se ne andavano a morire proprio lassù, tra le tombe degli avi. Nemmeno gli archeologi locali si azzarderebbero, oggi, a visitare la città dei morti senza aver prima indossato dei guanti protettivi. I secoli trascorsi non hanno emendato Dargav dalla sua nomina di luogo spaventoso, mortifero.

Dalle divinità del sole al culto cristiano

Gli Osseti si considerano eredi delle tradizioni degli Sciti e degli Alani sarmati, la loro è una lingua iranica. Sono l’unico gruppo etnico indoeuropeo che popola il cuore del Caucaso, fra Georgia e Russia. La loro struttura sociale originaria rispecchiava il modello gerarchico indoeuropeo dominato da una classe di nobili guerrieri dediti all’allevamento di bestiame e alle scorrerie armate a cavallo, cui sottostavano i contadini e gli schiavi prigionieri di guerra. I clan familiari potevano contare centinaia di membri. Le usanze pagane degli Osseti, tramandate di padre in figlio, si sono conservate sino ai giorni nostri se pure edulcorate da un cristianesimo ortodosso che ha spazzato via gli dei ancestrali. Del resto dobbiamo pensare che spiriti della natura, radure sacre e offerte rituali continuarono a far parte della vita quotidiana degli Osseti sino al XX secolo. Le loro antiche leggende sono immortalate nel ciclo dei racconti mitologici dei Narti, eroi invincibili che si dicevano Figli del Sole.

Tomba osseta. Foto: Цимити-11-ДриOwn-work CC-BY-SA-3.0

Tomba osseta. © Цимити-11-ДриOwn-work CC-BY-SA-3.0

Il periodo di massimo splendore nella storia osseta fu raggiunto dal 1184 al 1213, durante il regno della regina Tamar. In quell’epoca gli Osseti, impavidi discendenti dei cavalieri seminomadi delle steppe asiatiche, rappresentavano una vera potenza militare nel territorio del Caucaso settentrionale. Ma intorno alla metà del XIII secolo, in seguito alle incursioni delle orde mongole, persero gran parte dei domini e dovettero cercare rifugio fra le montagne. I territori rimasti in loro possesso furono suddivisi fra le diverse tribù, le quali con il passare del tempo si mescolarono alle popolazioni autoctone.

Se nel XVI secolo molti Osseti stanziati nelle regioni occidentali più vicine alla Turchia si convertirono all’islam, nel corso del XVIII e XIX secolo ebbe luogo invece una massiccia adesione al cristianesimo, in seguito all’opera missionaria della Chiesa Ortodossa russa. Oggi possiamo dire che almeno l’80 % della popolazione osseta sia cristiano e il rimanente 20 % musulmano.
Più complicata è invece l’attuale situazione politica. Infatti l’Ossezia settentrionale e meridionale fu annessa alla Russia nel 1774. Quando, nel XIX secolo, le genti delle montagne si ribellarono alla colonizzazione russa sotto il comando degli imam, la maggioranza osseta non si unì alle rivolte. Evidentemente questi discendenti degli Alani non avevano problemi a integrarsi nella Russia zarista. Si mostrarono sempre leali nei confronti degli zar, e più tardi assorbirono pienamente l’ideologia sovietica.

Ma all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso lo scioglimento dell’autonomia dell’Ossezia meridionale, sancito dai movimenti indipendentisti della Georgia e accompagnato da scontri sanguinosi, ha leso gravemente i rapporti fra le popolazioni georgiane e ossete. Attualmente l’Ossezia settentrionale fa parte della Russia e quella meridionale della Georgia. Ma mentre la Georgia vuole mantenere l’Ossezia meridionale sotto la propria giurisdizione, gli Osseti del sud aspirano a unirsi con l’Ossezia settentrionale nel quadro della confederazione russa. Si tratta dunque di un conflitto latente e sempre presente, cementato da sentimenti di vendetta scaturiti dagli scontri passati (l’ultimo conflitto armato ebbe luogo nel 2008), che continua ad avvelenare la coesistenza di queste popolazioni caucasiche.

Alcune splendide immagini di Alex Svirkin scattate nella necropoli di Dargavs, Ossezia settentrionale.

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. Foto: Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. © Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. Foto: Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. © Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. Foto: Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. © Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. Foto: Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. © Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. Foto: Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. © Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. Foto: Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. © Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. Foto: Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

Dargavs. La città dei morti degli Osseti. © Alex Svirkin CC BY-SA 3.0

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