Tesori trovati, tesori perduti
L’8 aprile 1945 una divisione di soldati americani scoprì l’oro dei nazisti nascosto nelle miniere di Merkers, Germania. 420 metri sotto terra c’era un deposito enorme di preziosi, lingotti d’oro e di platino, opere d’arte, monete della Reichsbank e valuta straniera. Un tesoro di inestimabile valore celato in un bunker nel cuore della terra. Tonnellate di preziosi sistemati alla buona dentro valigie, casse, scrigni, sacchi, contenitori di tutti i tipi. Fu una vera sorpresa per il generale Patton e i suoi uomini, i quali si affrettarono a confiscare tutto e a far sparire quel ben di Dio il più presto possibile, senza lasciare tracce.
Il tesoro di Merkers
Alla fine della Seconda guerra mondiale, tutti erano alla ricerca dei tesori nazisti. A questo scopo furono affidati progetti speciali ai servizi segreti. Nella Germania orientale si mise in moto la Stasi che concorreva con i colleghi russi e americani. Il KGB (servizio segreto russo) e la CIC (antesignana dell’americana CIA) riuscirono a mettere le mani su ben 1600 depositi. E tuttavia quasi il 50% dell’oro della Reichsbank e altri preziosi non furono mai trovati.
Una delle scoperte più impressionanti (e comunque passata sotto silenzio), fu sicuramente quella di Merkers. Nell’aprile 1945 la località di Merkers, situata nella Turingia, fu occupata dagli alleati americani. Un misterioso informatore riferì al generale George Smith Patton qualcosa d’incredibile: nella vicina miniera di potassa di Kaiseroda giaceva un favoloso tesoro nascosto. Lo sconosciuto non mentiva. Vecchie fotografie d’epoca ritraggono i generali Patton, Bradley e Eisenhower durante l’ispezione del tesoro di Merkers. A suo tempo, il colonnello Charles Codman, aiutante di Patton, parlò di sei tonnellate d’oro, il cui valore si aggirava sui 240 milioni di dollari. L’oro dei nazisti.
Prima di finire lì sotto, il deposito era stato conservato nelle camere blindate della Reichsbank, ma quando si vide che nel febbraio 1945 gli attacchi aerei degli Alleati distrussero il castello di Berlino, la Casa Rossa e la Reichskanzlei, si capì che era necessario mettere in salvo tutto, allontanare subito i beni artistici, culturali e le risorse finanziarie dalla città in fiamme. La soluzione fu un treno merci con 24 vagoni che, il 12 febbraio 1945, lasciò dietro di sé Berlino e si diresse verso la Turingia dopo essere stato riempito con i lingotti, le monete e i preziosi della Reichsbank, nonché con tutte le opere d’arte di raccolte e musei berlinesi. La manovra segreta fu chiamata “Operation Walross”.
Torniamo a Merkers, nella miniera di Kaiseroda. Dopo l’eccezionale scoperta, il generale Dwight Eisenhower ordinò di trasportare il tesoro nazista a Francoforte, dov’era stazionato il comando dell’esercito americano. Secondo il Trattato di Jalta, poiché il territorio di Merkers era sotto il controllo dei russi, gli americani avrebbero dovuto comunicare il ritrovamento ai russi e passare loro in consegna il deposito prezioso. Ma il generale aveva deciso di ignorare le sanzioni di legge. Intendeva trasportare il deposito negli Stati Uniti e servirsene per rinforzare l’economia mondiale del dopoguerra. Almeno questo fece capire Eisenhower ai suoi subalterni, giacché nessuno sa che fine fece in realtà il tesoro di Merkers. Nessuno sa che accadde dopo che fu trasportato a Francoforte, al comando americano. Le sue tracce si perdono in quell’aprile 1945.
A rimozione ultimata, i generali americani chiusero l’accesso alla miniera. Mentre i soldati riempivano i camion con il prezioso carico, non fu permesso a testimoni estranei di assistere all’operazione e tanto meno di documentarla per iscritto. Una disposizione che causò grandi perplessità e molte speculazioni. Perché si volle fare tutto in segreto? Si è ipotizzato che il tesoro sia stato trasportato in un sommergibile sino all’Argentina. Inoltre si disse che il generale Eisenhower avesse “intascato” diversi oggetti d’arte. Per fugare gli ultimi sospetti, nel 1997 una commissione di storici americani stilò un rapporto con un elenco dettagliato dei pezzi del tesoro di Merkers. Ma la validità di un rapporto scritto più di 50 anni dopo l’accaduto, è, ovviamente, oltremodo discutibile.
Il treno d’oro di Walbrzych
In particolare i “treni d’oro” dei nazisti continuano a far parlare di sé. Vagoni che trasportavano depositi preziosi in luoghi sconosciuti, per metterli al sicuro durante l’ultima fase della guerra. Come l’ombra di un fantasma ricorrente, uno di questi convogli è tornato un paio di mesi fa a condire di mistero i banali fatti di cronaca. Nell’agosto scorso. Attualmente la località incriminata non è più la tedesca Merkers, bensì la polacca Walbrzych (in tedesco Waldenburg).
Il sito in questione: Polonia sud-occidentale, una scarpata situata presso i binari della linea ferroviaria Breslavia – Walbrzych, là dove il terreno è franato. In quel punto si ipotizza l’entrata a un tunnel sotterraneo che a suo tempo fu abbandonato e murato, e in cui si troverebbe ancora un treno blindato dei nazisti. A 70 metri di profondità. Ovviamente non è stato indicato il punto esatto nelle cronache, per evitare sovraffollamenti di curiosi con la conseguenza di possibili incidenti anche gravi.
Tuttavia i cercatori del tesoro si sono ugualmente mobilitati nella zona, attirati dai titoli invitanti dei giornali, soprattutto dopo che il viceministro della Cultura Piotr Zuchowski e il vicesindaco della città Zygmunt Nowaczyk hanno confermato la presenza in loco dei mitici vagoni. Nel frattempo uomini della Polizia hanno sbarrato provvidenzialmente l’accesso, anche perché non si sa che cosa realmente si trovi all’interno del convoglio. Potrebbe trattarsi di un carico prezioso, come ipotizzano alcuni storici, ma anche di armi, magari addirittura di ordigni esplosivi.
D’altra parte è risaputo che diverse aree del territorio polacco sono attraversate da una fitta rete di gallerie sotterranee, come nel caso del castello di Ksiaz (in tedesco: Fürstenstein). Bunker dei nazisti. Sotto l’imponente maniero del XIII secolo si snoda un complicato sistema di tunnel che, durante la Seconda guerra, servivano da possibile nascondiglio e fabbrica di armi di Hitler. La rete sotterranea dei nazisti aveva anche un nome: “Riese Komplex”, il Complesso gigante. Le leggende del dopoguerra narravano che proprio in quel labirinto di tunnel scavati nel sottosuolo polacco Hitler volesse fabbricare il missile che gli avrebbe assicurato la vittoria finale, la “Endsieg”.
In effetti è ancora visibile una parte del sistema sotterraneo, vi sono delle sale gigantesche ed enormi laghi artificiali, costruiti all’interno di una montagna presso Walbrzych. Un sito visitato ogni anno da gruppi di turisti. Si tratta però soltanto di una piccola parte dell’intera rete di gallerie sotterranee, il resto fu distrutto dai nazisti con cariche di esplosivo, all’avanzata dell’esercito russo. I piani di costruzioni non ci sono più, furono previdentemente eliminati. E il treno d’oro di Walbrzych? Anche questo è realmente esistito. In ambiente storico è risaputo che un treno blindato della Wehrmacht in viaggio nel territorio polacco scomparve alla fine della guerra. Non è quindi da escludersi che ora i vagoni si trovino proprio lì, sotto terra, prigionieri del “Riese Komplex”. Magari proprio sotto il castello di Ksiaz.
Lo splendore del sole in una camera d‘ambra
Ma che cosa contengono i vagoni di Walbrzych? Più che oro e gioielli in generale, alcuni ricercatori hanno in mente un tesoro ben preciso: la famosa “camera d’ambra”. Una stanza dalle pareti interamente rivestite di ambra, la resina preziosa del Mare del Nord. L’oro giallo tanto ambito nell’antichità. Questa camera, la cui riproduzione si può ammirare oggi nel Palazzo di Caterina a Tsarskoye Selo, in Russia, a 25 km da Pietroburgo, era qualcosa di eccezionale. Cinquantacinque metri quadrati con pareti e mobili interamente ricoperti di pannelli d’ambra, specchi, preziosi stucchi e foglia d’oro. Sei tonnellate d’ambra ci sono volute per realizzare questo lusso senza eguali. Insomma, un capolavoro dell’arte barocca che, di certo, valeva una fortuna. Chi l’aveva visto, disse che la camera d’ambra aveva imprigionato lo splendore del sole.
La “Bernsteinzimmer” (questo il nome tedesco della stanza) era stata progettata da un architetto tedesco per andare ad arricchire il palazzo berlinese di Charlottenburg, ma fu donata, nel 1716, dal re prussiano Federico Guglielmo I all’imperioso Pietro il Grande, zar di Russia. Per quasi due secoli la stanza rimase a Tsarskoye Selo. Poi, nel 1942, fu trasferita dai nazisti nel castello di Königsberg. Ma dalla fine della Seconda guerra mondiale è scomparsa. Scomparso è anche il castello di Königsberg. Dopo aver subito gravi danni nel 1945, fu demolito per ordine di Leonid Breznev che intendeva far costruire in quella zona la casa dei Soviet, un progetto mai realizzato. Intanto, però, della camera d’ambra non vi era più traccia. Si pensò che fosse stata bruciata, ma non esistono prove né indizi a riguardo. Si pensò che fosse stata di nuovo smontata pezzo per pezzo, e poi nascosta nei sotterranei del maniero di Königsberg, gallerie sotterranee che raggiungono il Duomo della cittadina tedesca ma sono, al momento, inaccessibili.
Eppure un ricercatore di Monaco di Baviera, Bernd Esser, non crede che la preziosa camera dorma nei vagoni celati in un tunnel polacco e nemmeno nelle gallerie sotterranee di Königsberg. La sua idea è un’altra, si basa su un documento ben preciso e ipotizza la stessa meta raggiunta dal tesoro di Merkers: gli Stati Uniti d’America. Esser è convinto che la camera, dopo essere stata rimossa dal castello di Königsberg, sia stata trasportata nella Turingia, poi nel Museo di Weimar, quindi a Ratisbona, e infine in America.
Il documento chiave in possesso di Esser, è un telex. Lo scritto si trovava in una cassa che apparteneva a Heinrich Himmler, appassionato di antichità e Reichsführer delle SS. Era una delle undici casse che contenevano i documenti del capo delle SS e oggi viene custodita all’Istituto di Storia Moderna di Monaco di Baviera. Nel telex si parla di “metalli preziosi” che furono trasportati dalla città di Weimar insieme con macchine e attrezzi. I due ufficiali incaricati del trasporto erano stati stazionati nella Prussia orientale, quindi non lontano dal castello di Königsberg, dove si trovava la camera d’ambra. Secondo il ricercatore monacense, la camera giunse fino a Ratisbona, dov’era una filiale della Reichsbank che avrebbe dovuto prenderla in consegna. Invece gli americani requisirono tutto. Anche questa volta il tesoro nazista sarebbe finito negli USA.
“Bernsteinzimmer Report”
Ma se la definizione riportata nel telex “metalli preziosi” può avere molti significati e non riferirsi per forza alla camera d’ambra, esiste un altro indizio che collega la sparizione del capolavoro barocco a un’azione segreta delle SS: un messaggio che il signor Rudolf Wyst disse di aver scoperto nella ventiquattrore di suo padre Gustav, un ufficiale delle SS di Königsberg. Lo scrisse nel 1986 un ex agente segreto della Stasi (servizi segreti della Germania orientale). Il suo nome era Paul Enke e il suo cavallo di battaglia il saggio “Bernsteinzimmer Report”.
Per anni Enke seguì le tracce della camera d’ambra su ordine della Stasi e finalmente, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, s’imbatté nel signor Rudolf Wyst. Questi gli raccontò del messaggio trovato nella valigetta del padre che recitava: “Azione camera d’ambra terminata. Deposito in B III. Esplosione avvenuta.” Una storia che il signor Wyst aveva già dichiarato niente di meno che al KGB, nell’anno 1959. Laddove il “B III” si riferiva al Bunker numero 3, situato presso la sassaia di Königsberg, Prussia orientale.
Purtroppo il biglietto incriminato fu dato alle fiamme dallo stesso Rudolf Wyst poco dopo il ritrovamento, un po’ per ignoranza – a quell’epoca Rudolf aveva appena 11 anni – un po’ per paura delle conseguenze. La scoperta ebbe luogo nel 1947, quando la famiglia Wyst viveva in un territorio occupato dai russi che sarebbero stati ben felici di conoscere il segreto della camera d’ambra. Fu soprattutto la madre di Rudolf a convincere il ragazzino a sbarazzarsi al più presto sia del messaggio, sia della ventiquattrore che lo conteneva. Ma nemmeno questo accorgimento poté evitare la strana morte del padre.
Gustav Wyst spirò il 14 ottobre 1947 nell’ospedale in cui era stato ricoverato per malattia. All’improvviso, proprio quando la sua salute era visibilmente migliorata, “dopo la visita di due vecchi compagni d’armi”, disse alla famiglia Wyst l’infermiera di turno. E il segreto della camera d’ambra morì con lui. Ma le stranezze non erano ancora finite. Qualcuno voleva essere sicuro di eliminare ogni traccia. Pochi mesi dopo, durante la notte di San Silvestro, perse la vita anche il fratellastro di Gustav Wyst. Fu trovato morto in aperta campagna, il suo cadavere mezzo svestito e abbandonato in un campo. Era stato avvelenato.
Nel 2012 un altro grande tesoro artistico ha fatto parlare di sé. È stato trovato nell’abitazione di Cornelius Gurlitt, un collezionista d’arte tedesco. Nella sua abitazione a Monaco di Baviera, le forze dell’ordine hanno scoperto una raccolta di 1500 opere d’arte dal valore inestimabile. Era appartenuta a suo padre Hildebrand, direttore di museo e storico dell’arte all’epoca del Terzo Reich. Maestri del calibro di Dürer, Picasso, Renoir: una collezione favolosa dalle origini oscure che giaceva nascosta nelle stanze buie dell’abitazione monacense, deposta lì disordinatamente come in un magazzino, lontana dagli sguardi di tutti. La raccolta derivava, probabilmente, dalle ruberie dei nazisti. Ma alle obiezioni delle autorità tedesche Cornelius Gurlitt si oppose con veemenza, sostenendo che le opere erano state acquistate regolarmente da suo padre nel corso degli anni, e non si riuscì a dimostrare il contrario.
Nel maggio 2014, il mal di cuore stroncò Cornelius Gurlitt e la preziosa collezione lasciò la Germania per essere trasferita in Svizzera, nel Museo dell’Arte di Berna (Kunstmuseum Bern), secondo le disposizioni testamentarie del defunto. Ma già mesi prima, sulla scia del clamore mediatico che aveva accompagnato il ritrovamento della raccolta, il cugino di Cronelius provocò un secondo éclat. Questo stravagante fotografo sessantenne, attualmente residente a Barcellona, raccontò ai giornalisti che Gurlitt sapeva benissimo dove si trovava la camera d’ambra. Verità? Menzogna? Interpellato dai giornalisti sulla cosa, Cornelius Gurlitt rispose: „Lo dirò soltanto prima di morire“. Invece nessuna rivelazione è arrivata. Come tutti quelli scomparsi prima di lui, anche Gurlitt ci ha lasciati a bocca asciutta.
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