L’Abate Nero e il suo manoscritto diabolico
Johannes Heidenberg, più noto come Tritemio, fu abate benedettino di Sponheim e un grande occultista. La sua opera magica più famosa è la „Steganographia“. In bilico fra misticismo e magia, Tritemio fu di certo uno dei personaggi più misteriosi della storia. Nel 1509 si era ritirato a vivere nella cittadina tedesca di Würzburg, nel convento di St. Jakob. E fu lì che un giorno un giovane viaggiatore bussò alla sua porta. Era il ventitreenne Agrippa di Nettesheim, colui che sarebbe divenuto uno dei maghi più celebri di tutti i tempi. L’allievo si recava dal maestro. Un incontro di grande portata, immortalato negli annali storici dell’occultismo.
Vivere per la conoscenza: il cacciatore di libri
Ormai malato, avvicinandosi alla fine di una laboriosa esistenza, Giovanni Tritemio aveva trovato nel convento di Würzburg l’ultimo rifugio, dopo aver tenuto testa a disagi, calunnie e tempeste della vita. Era nato nel 1462 nel villaggio tedesco di Trittenheim, da cui deriva il nome Tritemio. Era figlio di un viticoltore che morì molto presto lasciando il piccolo da solo con la madre. Il padre adottivo grossolano e freddo non incoraggiò la formazione del bambino. Anzi, l’ostacolò. Basti pensare che all’età di quindici anni Giovanni era analfabeta. Ma la sete di sapere era forte. Il ragazzo studiava durante la notte, di nascosto, a lume di candela.
Aiutato da un abitante del villaggio, imparò a leggere e a scrivere. Non appena ne ebbe la possibilità, si recò a studiare a Treviri, dove probabilmente imparò il latino, e poi in Olanda. Al pari di molti studenti della sua epoca, Giovanni girava per l’Europa guadagnandosi da vivere con lavoretti d’occasione per mantenere gli studi. L’università di Heidelberg rappresentò una tappa importante nella sua vita. Qui il giovane apprese il greco antico e la lingua ebraica. Eruditi celebri come il poeta Konrad Celtis e l’umanista Jakob Wimpfeling contribuirono alla sua formazione. Ma la personalità che più lo ispirò, fu quella di Giovanni Pico della Mirandola. Il grande filosofo e mago italiano era ben noto anche al di là delle Alpi.
Nel 1482, nel monastero di Hunsrück presso Kreuznach, Giovanni indossò l’abito monacale. Appena nove mesi dopo divenne abate del convento St. Martin di Sponheim. Subito Tritemio si mise a caccia di libri. Tutto ciò che trovava e rivestiva un valore culturale o scientifico, finiva tra gli scaffali della biblioteca di Sponheim. In qualità di visitatore dei conventi, l’abate poteva recarsi negli scriptoria dei religiosi ed ispezionarli accuratamente. Il letterato trecentesco Richard de Bury illustrò nell’opera “Philobiblion” come avveniva la sua caccia di tomi:
“Quando giungevamo nelle città in cui i cosiddetti monaci questuanti avevano i loro conventi, non era per noi poca cosa visitare le loro biblioteche e gli altri posti ove essi tenevano i libri; infatti proprio lì, dove la povertà era maggiore, scoprivamo la maggior ricchezza di sapere. Nei loro sacchi e cesti di mendicanti non trovavamo soltanto briciole di pane, come quelle che cadono a terra dalle mense dei signori per i loro cani, bensì i pani azzimi, il pane degli angeli, quello dal sapore più buono, i granai colmi di Giuseppe, tutte le provviste degli Egizi e i sontuosi regali che la regina di Saba donò a re Salomone.”
Tritemio fece incetta di libri nelle biblioteche conventuali di Kreuznach, Colonia, Magonza, Fulda, Treviri, Weißburg e altre città ancora. Comprava scritti di ogni materia: astronomia, matematica, letteratura, teologia, musica, storia. Li comprava, oppure se li faceva prestare per poi copiarli. E la biblioteca di St. Martin aumentava a vista d’occhio. Di pari passo con la biblioteca, cresceva il sapere di Tritemio, il quale dedicava ogni ora di libertà allo studio. L’autore Paul Lehmann scrive:
“(…) amava e leggeva gli scritti antichi dei padri della Chiesa e di autori medievali, però allo stesso tempo era amico e promotore degli studi umanistici, di modo che non scriveva e parlava soltanto latino, ma anche greco, ebraico, bizantino. Inoltre s’interessava a tutte le grandi opere della sua patria. Riconosceva le debolezze della Chiesa occidentale e le combatteva, pur rimanendole fedele.”
L’opera proibita
L’abate non esitò ad oltrepassarne le anguste vedute ecclesiastiche per avventurarsi nell’universo magico. Questo suo amore sviscerato per i libri gli valse presso gli eruditi il pittoresco soprannome di “bibliòfago” (dal greco: divoratore di tomi), e allo stesso tempo rese la sua biblioteca talmente nota, che tutti i letterati, gli studiosi, i grandi signori di Germania e Francia vi si recavano, mossi da curiosità e spinti dal bisogno di conoscenza. Intanto Tritemio componeva sermoni, trattati filosofici e vite di santi. Molti dei suoi scritti furono pubblicati a Strassburgo e Magonza.
Nel 1491 cominciò a compilare una cronaca di Sponheim. Un progetto imponente che esigeva un’ampia ricerca documentale e gli valse molti anni di lavoro. Questa l’iniziativa ispirò all’abate una nuova tecnica: quella del falso storico. Infatti, trovatosi di fronte all’impossibilità di reperire alcuni scritti antichi, il flessibile Tritemio li inventò di sana pianta. Sotto la sua penna, videro la luce atti e aneddoti fasulli creati da un’abile fantasia. Ma se l’abate non fu uno storico modello, la sua perizia di mago divenne invece proverbiale, sino a fargli raggiungere vette insperate tra gli occultisti contemporanei. In ambiente religioso l’abilità magica gli apportò un secondo, evocativo soprannome: “Abate nero”.
Nel 1499, l’anno che vide pubblicato a Venezia nella tipografia di Aldo Manuzio il noto libro a stampa “Hypnerotomachia Poliphili”, Tritemio redigeva a Sponheim la sua corrispondenza. Fu così che rispose fin troppo innocentemente alla lettera di un amico, l’abate Arnold Bosch di Gent. Questi gli aveva domandato che stesse scrivendo al momento, e Tritemio raccontò del suo nuovo progetto, la “Steganographia”. Non poteva certo sapere che tale rivelazione gli sarebbe stata fatale.
Il destino volle che il buon Arnold Bosch morisse prima di ricevere la missiva dell’amico. La lettera che parlava della “Steganographia” arrivò invece tra le mani del priore del convento. E questi doveva essere abbastanza curioso, poiché non si fece scrupolo di aprire il messaggio e prenderne visione. Scioccato da ciò che veniva ad apprendere, il priore di Gent inviò copie della missiva a prìncipi ed eruditi di mezza Europa, denunciando le pratiche non ortodosse dell’abate di Sponheim. Magia nera. Un’ondata di curiosità e profonda inquietudine scosse gli animi dei destinatari. Subito Tritemio fu sommerso da lettere, interrogato da messaggeri che gli si presentavano dinanzi da parte dei loro signori per conoscere il vero su ciò che si mormorava.
Ma che c’era scritto in quest’opera? Tritemio era da molto tempo alla ricerca di un sapere e di una lingua universali. Per far questo, sperimentava servendosi anche della magia. La “Steganographia” (il termine significa: scrittura in codice, crittografia), si presentava dapprima come un manuale che insegnava ad usare i sistemi più disparati di scritture criptiche. Ma nella terza parte dell’opera, quella di cui oggi si possiedono soltanto frammenti, veniva trattata a fondo la relazione tra lettere, numeri, segni e i nomi occulti di intelligenze cosmiche, la pratica d’evocazioni magiche. I temi che affioravano in questi passi del testo avevano a che fare con la demonologia, ed erano scienza proibita. Ma lasciamo la parola a Tritemio:
“Il primo libro contiene più di cento tipi di scritture in codice, cosicché si può comunicare per via postale la propria intenzione segreta senza destare sospetto e senza dover nemmeno spostare, nella missiva, le lettere dell’alfabeto.(…)Ancor più meraviglioso è il secondo libro, in cui si parla dell’arte di comunicare i propri pensieri di lontano, fosse pure a cento miglia di distanza e oltre, senza parole, scritti o segni; di modo che, qualora il messaggero da noi inviato venisse fatto prigioniero e fosse sottoposto a tortura, egli non potrebbe rivelare nulla del nostro messaggio, il cui significato gli rimarrebbe oscuro e non potrebbe esser decifrato da nessuna persona sulla terra.(…) Il terzo libro, poi, deve insegnare l’arte di far apprendere ad una persona che capisca soltanto la propria lingua madre il latino scritto e orale, in meno di due ore, ed in modo perfetto. (…) Infine il quarto libro contiene molti esperimenti incredibili e del tutto naturali, come per esempio l’arte di comunicare ad un’altra persona la propria volontà, mentre questa mangia o siede in compagnia di altri, senza dover ricorrere a parole o segnali. “
La “Steganographia” illustrava anche alcuni procedimenti di telepatia, ipnosi, evocazione, e insomma tecniche paranormali in senso lato. Tecniche che, all’epoca di Tritemio, erano considerate magia nera e venivano condannate in toto perché trascendevano le leggi della natura e il potere dell’uomo e di conseguenza non potevano che avvenire con l’aiuto dei demoni. La “Steganographia” trasformò il solerte studioso dal giorno alla notte nell’Abate Nero. L’abate del diavolo.
Nel 1504 Tritemio ricevette la visita del famoso filosofo francese Charles de Bouelles. Questi, avendo udito le storie che si raccontavano intorno al monaco e al suo libro magico, voleva sincerarsene di persona. Accolto con estrema cortesia dall’abate di Sponheim, de Bouelles consultò per ben due ore, con grande interesse, la “Steganographia”. Cinque anni dopo avrebbe scritto in una lettera:
“…dopo appena due ore che tenevo il libro tra le mani, l’ho gettato via, poiché mi sopraffecero orrore e spavento a causa di certi rituali magici…”
E de Bouelles iniziò una campagna denigratrice contro l’abate.
L’incontro che non ci fu. L’Abate Nero e il dottor Faustus
L’anno 1504 portò con sé le guerre di successione bavaresi. Soldatesche e briganti saccheggiavano le campagne, assaltavano e mettevano a fuoco i conventi. Dappertutto bruciavano alte le fiamme della distruzione e anche il monastero di Sponheim non rimase indenne. Con energia, il dinamico Tritemio si rimboccò le maniche, adoperandosi per ridurre al minimo i danni subiti. Ma a questo disastro si unirono i rancori dei monaci del convento, i quali accusavano l’abate di essere stato egli stesso causa della rovina, in quanto sostenitore del partito politico avversario, quello perdente del conte Filippo von der Pfalz.
Come se non bastasse, appena Tritemio lasciò Sponheim per incontrare il conte palatino Filippo ad Heidelberg e chiedergli aiuto per rimettere in sesto il convento, gli animosi monaci di St. Martin decisero la sua destituzione: l’Abate nero doveva andarsene per sempre. Gli avversari politici non persero tempo. Soldati giunsero al monastero di Sponheim, presero in consegna i libri, frugarono tra gli effetti personali dell’abate. Tritemio, profondamente amareggiato, si ammalò.
Sostò per un certo periodo a Speyer, con la speranza che le acque si calmassero. Dopodiché iniziò un periodo di peregrinazioni. Da Berlino, dove incontrò il principe di Brandenburgo, si recò a Bonn per essere ricevuto dal principe Joachim. Insieme, i due studiosi partirono per Colonia. Qui si unirono alla compagnia erudita di altri sapienti e furono addirittura ricevuti dall’imperatore Massimiliano I d’Austria. Università tedesche e potenti signori interessati alla magia si contendevano il sapiente Tritemio. Tutti lo convocavano, tutti volevano conoscere i suoi segreti.
Una lettera di Tritemio rivela che nel 1507, a Gelnhausen, l’Abate Nero avrebbe dovuto incontrare un altro mago celebre del suo tempo: il dottor Faustus. Ma, poco prima dell’arrivo del collega, il millantatore Faustus se la diede a gambe, per paura di trovarsi al cospetto di chi ne sapeva più di lui. Tritemio non sarebbe più tornato a Sponheim. Alla fine dei suoi viaggi, fu accolto nel convento St. Jakob, a Würzburg, dove nel 1509 gli fece visita il giovane Agrippa. E fu là che il 13 dicembre 1516 Giovanni Tritemio spirò, con la penna tra le dita.
Molti dei suoi scritti rimasero alla biblioteca del convento di Würzburg, ma i manoscritti segreti, tra cui la famosa “Steganographia”, andarono all’allievo Agrippa di Nettesheim. L’eredità essenziale di un grande mago passò nelle mani di un altro mago dalla fama imperitura. Ed entrambi sapevano che il segreto andava tutelato.
“Riconosco in tutta franchezza il mio amore smisurato per lo studio e per i libri, da cui non mi separerò mai. Né mi sento ancora abbastanza appagato da non dovermi piegare al forte desiderio di sapere. Sapere tutto ciò che è possibile apprendere a questo mondo. E il mio desiderio più grande fu da sempre quello di poter leggere e possedere tutti i libri che vedevo o di cui sentivo parlare, tutti i libri che venivano messi a stampa.”
Scrisse Tritemio, l’irriducibile bibliòfago.
Nel 1563 il matematico inglese John Dee riuscì a scovare ad Anversa uno dei rarissimi esemplari della “Steganographia”. Era un manoscritto, copia dell’unico originale che si era trovato nelle mani di Agrippa. Il prezzo esorbitante gliene impedì l’acquisto, ma Dee potè almeno riprodurne alcuni passaggi. Anche lui era mago, nonché crittografo di corte della regina Elisabetta d’Inghilterra.
Si racconta però che vi fu un’altra personalità celebre e cronologicamente molto più vicina a noi che ebbe tra le mani una “Steganographia” manoscritta: il multitalento cinematografico Orson Welles. Nel 1966, sul set del film “A Man for All Seasons”, Welles offrì il tomo al regista e produttore Zinnemann, per la cifra di 5000 dollari. Zinnemann rifiutò: non sapeva che farsene di un manoscritto in latino, che non poteva leggere e il cui autore gli era sconosciuto. Ma Welles, geniale artista affascinato dalla magia, conosceva bene il valore dell’opera e in quel periodo aveva urgente bisogno di denaro. A chi l’avrà venduta, dopo aver incassato il rifiuto del produttore?
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