Quando la fantasia non ha limiti
Il barone di Münchhausen: simpatico umorista, viaggiatore instancabile, camaleontico creatore di visioni surreali. La sua figura è mitica almeno quanto i suoi racconti. Si tratta di un personaggio storico, è vero. Il nobile di Münchhausen è esistito sul serio. Ma la sua vita si intrecciò in modo così profondo con le sue avventure immaginarie, da avvolgere gli episodi realmente accaduti in una nebbia pervicace e fitta di sogno. Chi era, in verità, il leggendario barone che narrava di essere sfrecciato a volo d’uccello sul campo di battaglia cavalcando una palla di cannone?
Così inizia la narrazione dei suoi viaggi meravigliosi:
“Cominciai il mio viaggio verso la Russia proprio nel colmo dell’inverno (…)Viaggiavo a cavallo, che è il modo più gradevole di viaggiare, purché cavallo e cavaliere siano in perfetta forma.(…) Figuratevi che sofferenze doveva provare in quella cruda stagione e con quel rigido clima il povero vecchio che vidi accucciato sul bordo deserto di una strada. (…) Benché io stesso avessi addosso un freddo da gelare il cuore, gli gettai il mio mantello. Nello stesso istante udii venire dal cielo una voce che mi benediceva per la mia pietà gridando: Che il Diavolo mi porti, figliolo, se non ti ricompenserò per codesta buona azione!(…) Continuai il mio viaggio finché non sopraggiunsero le tenebre notturne. (…) Alla fine, stremato dalle fatiche, scesi di sella e legai il cavallo a una specie di ceppo che spuntava dalla neve.(…) Mi addormentai di un sonno così profondo, che aprii gli occhi soltanto quando fu giorno fatto e quale fu il mio stupore allorché mi ritrovai in un villaggio, nel recinto del cimitero! Del cavallo nessuna traccia, se non che poco dopo lo sentii nitrire, e il suo nitrito pareva venire dall’alto. Allora alzai gli occhi e lo vidi appeso alla banderuola del campanile. Capii all’istante e perfettamente quello che doveva essere accaduto: il villaggio era stato sepolto dalla neve, ma la notte, essendo il tempo mutato all’improvviso, discioltasi la neve, io ero sceso pian piano, nel sonno, finendo nel camposanto, e quel che nel buio avevo creduto un tronco smozzicato affiorante dalla neve – al quale avevo legato il mio destriero – non era altro che la banderuola del campanile.” (Raspe,Bürger “Il barone di Münchhausen – Viaggi straordinari e campagne di Russia”)
E l’impavido barone continua a raccontare aneddoti, uno più incredibile dell’altro, uno più pazzo dell’altro, strappando al lettore un sorriso almeno ogni due pagine, incatenando la sua attenzione con un fantasioso fuoco d’artificio di trovate comiche, osservazioni pungenti e situazioni esagerate.
Come questa:
“Un altro giorno volli saltare attraverso una palude che, a prima vista, non mi era parsa larga come di fatto la trovai quando mi vidi proprio in mezzo ad essa. Allora tornai al punto di partenza, lanciai di nuovo il cavallo al salto, ma presi ancora lo slancio troppo breve, tanto che caddi vicino alla riva opposta, tuffato fino al collo nel fango. E sarei perito senza fallo se, con la forza del braccio, presa la coda della mia capigliatura e sollevatala con energia, non avessi tratto su me e il cavallo, che strinsi forte tra le ginocchia, di mezzo a quel pantano.” (Raspe, Bürger, ibidem)
Insomma, il furbo narratore aveva salvato se stesso e il suo cavallo tirandosi fuori dalle sabbie mobili… per i capelli.
Münchhausen: una vita per l’avventura
Ma il barone di Münchhausen fu davvero l’autore di questi scritti? Il nobile tedesco che visse nel XVIII secolo fruiva veramente di una dose tale di fantasia, umorismo e talento, da poter scrivere racconti del genere? La storia delle sue avventure è un rebus di per sé.
Hieronymus Carl Friedrich von Münchhausen nacque l’11 maggio 1720 nella cittadina di Bodenwerder presso Hameln. Suo padre era colonnello della cavalleria e morì quando Hieronymus aveva appena quattro anni. Nel 1737 il giovane Hieronymus divenne paggio del duca di Braunschweig-Wolfenbüttel e lo seguì nella campagna di Russia, combattendo contro i Turchi. Sempre al suo fianco, prese parte al conflitto fra Russia e Svezia (1741-1743) con il grado di luogotenente.
Proprio quando ormai sembrava che davanti a lui si profilasse una carriera militare di tutto rispetto – tanto più che in Russia alla morte della zarina Anna era salito al trono Ivan VI, figlio di questa e dello stesso duca di Braunschweig-Wolfenbüttel suo protettore –, gli intrighi di palazzo ribaltarono d’improvviso la situazione. Elisabetta, cugina di Anna e figlia dello zar Pietro il Grande, scalzò Ivan dal trono e prese il suo posto. Fine delle glorie del signore di Braunschweig-Wolfenbüttel e anche di quelle del nostro barone.
Hieronymus abbandonò il campo di battaglia. Continuò la sua vita di alfiere dei cavalleggeri principalmente accudendo ai cavalli del reggimento nella città di Riga. Là fu stazionato fino al 1750, periodo in cui ottenne il grado di capitano. Poi fece ritorno nella città natale, Bodenwerder. Felicemente sposato ma senza figli, trascorse con la moglie Jacobine 40 anni di serenità nel suo podere di Bodenwerder andando a caccia, incontrando amici, raccontando loro le incredibili avventure di viaggi e guerra che lo avrebbero reso immortale.
Si dice che proprio le narrazioni divertenti del barone richiamassero l’attenzione dei viaggiatori di passaggio. Ma si sa com’è spesso la gente. Ascoltava, rideva, poi gli girava le spalle e… criticava. Lo chiamavano il Lügenbaron, il barone fanfarone. Fra gli studiosi, invece, ci furono quelli che capirono il potenziale delle sue storie e decisero di scriverle. Per due motivi: affinché non andassero perdute e per trarne profitto.
Mille storie da vendere: il barone di Münchhausen conquista l’Europa
Uno dei primi ascoltatori illustri che misero i racconti di Münchhausen su carta, fu il conte Rochus Friedrich zu Lynar. Suo fratello era stato un tempo l’amante della moglie di quel duca che fu il protettore di Hieronymus a Pietroburgo, il signore di Braunschweig-Wolfenbüttel. Nel 1761 Rochus Friedrich zu Lynar pubblicò il volume Münchhausiaden che sarebbe stato riedito nel 1781 da anonimo.
Seguì il direttore del Museo di Antichità di Kassel, geologo e matematico Rudolf Erich Raspe, il quale probabilmente era stato anch’egli ospite del barone a Bodenwerder. Questi aveva rubato delle antichità dalla collezione del Museo di Kassel per pagare alcuni debiti. Una volta scoperto, se ne fuggì a Londra e qui, per fare un po’ di soldi, pubblicò nel 1785 il libro Baron Munchhausens Narrative of His Marvellous Travels und Campaigns in Russia. L’opera divenne un best seller, tant’è vero che seguirono ben quattro riedizioni rivedute e ampliate. Nonostante ciò, Raspe non riuscì mai a fare fortuna. Inseguito dai debitori e da chi l’aveva denunciato per piccoli furti, il geologo narratore finì la sua esistenza passando da una prigione all’altra. Peccato davvero, perché probabilmente fu merito suo se il barone di Münchhausen divenne famoso in tutto il mondo. Non sappiamo, inoltre, quanto del materiale alla base dei racconti pubblicati fosse giunto dalla bocca del barone e quanto fosse invece un prodotto della fantasia di Raspe.
In ogni caso, queste prime raccolte inglesi furono tradotte in lingua tedesca nel 1786 dal teologo Gottfried August Bürger che, a sua volta, aggiunse nuove avventure alla serie. Il terzo autore noto che si servì delle storie di Münchhausen per arricchire le proprie trame fantastiche, fu il giurista Karl Lebrecht Immermann. Questi, autore di altre opere poetiche e drammaturgiche, pubblicò nel 1838-1839 un romanzo in quattro volumi dal titolo Münchhausen che raccontava la vita di un immaginario discendente del barone e che fu il suo capolavoro in assoluto. Molti altri autori dell’Ottocento e del Novecento attinsero al patrimonio narrativo di Münchhausen e pubblicarono opere comiche ispirate all’umorismo del nobile: Ludwig von Alvensleben, Fritz Pfudels, Paul Scheerbarts, Carl Haensel.
Questi libri contribuirono a rendere il barone famoso in tutta Europa e anche oltreoceano ma, per ironia della sorte, i primi volumi pubblicati da Raspe e Bürger gli resero la vita impossibile. Fecero sì che quel titolo dispregiativo di barone fanfarone gli rimanesse incollato addosso per sempre, lo perseguitasse come un marchio d’infamia, ridicolizzando e discreditando definitivamente la sua persona agli occhi delle autorità e della buona società di Bodenwerder. Questo effetto collaterale poco piacevole e poi il secondo matrimonio del settantenne – ormai vedovo – con la diciassettenne Bernhardine von Brunn, adombrarono gli ultimi anni della vita di Münchhausen.
Così avvenne che proprio lui, l’allegro ufficiale di un tempo sopravvissuto a tante battaglie, il narratore infaticabile che per anni aveva divertito amici e conoscenti con le sue avventure e contribuito senza nemmeno saperlo alla ricchezza di chi le aveva pubblicate, morì a settantasette anni deriso da tutti, amareggiato e impoverito. Da barone fanfarone.
Invece per i lettori dei secoli seguenti Münchhausen non è mai morto. Chi arriva fin sulla Luna arrampicandosi su una pianta di fagiolo e poi fa ritorno appeso a una corda di limitata lunghezza che snoda e riannoda fin ad arrivare sulla Terra… be‘, uno così non può morire. La sua è una storia infinita che ha ispirato teatro e cinema. Il primo film fu realizzato nel 1911 da Georges Méliès. Un film muto del mago dei sogni, colui che aveva girato nel 1902 Le Voyage dans la Lune. Poesia surreale, che sarebbe piaciuta tanto al nostro barone dell’impossibile.
Hinterlasse einen Kommentar