La terra ai confini del mondo
Nel 1953, quando il ricercatore tedesco Jürgen Spanuth scrisse il suo saggio “Das enträtselte Atlantis” (Atlantide svelata), l’esistenza di una terra fertile nel mezzo del Mare del Nord inghiottita dalle acque intorno al 9000- 8000 a.C. era ancora oggetto di speculazioni e accesi dibattiti. I primi ritrovamenti dei pescatori locali, nelle cui reti s’impigliavano antiche ossa e artefatti umani, venivano studiati solamente da pochi interessati.
Oggi sappiamo che Doggerland, il territorio del Mare del Nord sommerso intorno all’8200 a.C., è stato una realtà e mi chiedo che direbbe lui, Jürgen Spanuth, se potesse leggere i risultati degli studi più recenti in merito. Lui, che nel lontano 1953, parlando di Atlantide, scriveva:
„Con sicurezza possiamo dire che la datazione degli avvenimenti fornita da Platone nei suoi dialoghi – 9000 oppure 8000 prima di Solone – è inesatta. In quel periodo, vale a dire nel X o IX millennio prima di Cristo, non esistevano tutte le cose che riporta, in modo dettagliato, la narrazione di Atlantide.”
Atlantide o… Doggerland?
Questo era il punto cruciale. Platone (428/27-348/47 a.C.) collocava Atlantide intorno al 9000 a.C., una datazione che faceva sorridere qualsiasi archeologo, giacché i resti più antichi di culture scomparse, per esempio quelli di Egitto e Sumer, non risalivano di certo a un’epoca tanto remota. Oggi sappiamo però di Doggerland.
E non solo questo. Grazie agli archeologi Peter Benedict e Klaus Schmidt (quest’ultimo è purtroppo recentemente scomparso), sappiamo che nel 9000 a.C. in Turchia una cultura sconosciuta edificò i complessi monumentali di Göbekli Tepe e altri santuari. Templi di pietra con pilastri scolpiti, magnifiche sculture di animali ed esseri umani. Si tratta di una cultura organizzata in un modo molto più complesso di come mai avessimo immaginato queste comunità di cacciatori raccoglitori fino ad oggi. In breve, Göbekli Tepe ha rivoluzionato il nostro modo di capire il Mesolitico.
Alla luce di queste scoperte, è necessario rivedere i miti del passato. Nelle pieghe delle loro leggende potrebbero nascondersi fatti veri, personaggi realmente esistiti che lo spesso strato di polvere dei secoli e millenni ha modellato a suo modo. È questo anche il caso degli Iperborei? La terra del nord in cui si trovava il misterioso giardino delle Esperidi?
Il mito affascina parecchio e, come molte altre leggende, giunge dalla letteratura dell’antica Grecia. Erodoto di Alicarnasso (490/80- 424 a.C.), che Cicerone definì il “padre della Storia”, scrisse riguardo al mito degli Iperborei:
A parlare degli Iperborei è stato Esiodo, anche Omero negli Epigoni, sempre che questo poema sia di Omero.”
Erodoto voleva dire che si trattava di un mito molto antico, giunto in Grecia con l’arrivo dei Dori, una popolazione le cui origini sono ancora incerte. Anche il filologo Erich Jung pensava che il mito degli Iperborei fosse:
„…un’antichissima saga dei Dori che conservava la memoria delle origini nordeuropee e delle migrazioni dello strato sociale dominante dei Dori nell’Ellade.”
E lo storico Ernst Sprockhoff evidenziava il legame degli Iperborei con la divinità greca Apollo che secondo la leggenda, dopo aver soggiornato nei santuari di Delfi e Delo, tornava sempre a far visita agli Iperborei, coloro che abitavano nel Mare del Nord. Secondo Sprockhoff, si trattava di un simbolico ritorno in patria, affinché la memoria del luogo delle origini non andasse perduta e rimanesse ancorata nella tradizione greca.
Vediamo ora diversi elementi legati all’Iperborea che emergono dalle differenti leggende tramandate dai letterati greci.
L’Iperborea del nord: patria di Apollo?
Lassù, in quella terra del nord situata ai confini del mondo allora noto, regnavano i Boreadi, figli di Bora. Esseri umani dall’alta statura, che adempivano anche alla funzione di sacerdoti. Nel giardino delle Esperidi, dove gli alberi producevano mele d’oro, giunse un giorno l’eroe greco Ercole che, tornato in Grecia, portò da quel Paese lontano del Settentrione proprio degli alberi: gli ulivi. E da quel giorno la corona d’ulivo veniva posta sul capo dei vincitori dei giochi olimpici.
Apollo era una divinità di primo piano in Iperborea, e in occasione della grande festa di Apollo arrivavano dalle montagne asiatiche stormi di cigni che volavano in circolo intorno al suo tempio, scendevano sulla terra, e poi intonavano un canto insieme con i musici del tempio. Fetonte, figlio di Apollo, precipitò un giorno nel fiume iperboreo Eridano e scomparve nei flutti. Le sue sorelle piangenti sulle rive furono trasformate in pioppi, le loro lacrime in ambra, l’oro del nord (un tipo di resina fossile). L’amico di Fetonte che si recò sulla riva dell’Eridano a piangere il caro scomparso, fu trasformato invece in un cigno. Teniamo in mente soprattutto questi due elementi: ambra e cigno.
Il poeta Pindaro (522/18-446 a.C.) raccontò in una sua ode che anche l’eroe greco Perseo si era recato in Iperborea. Secondo Pindaro, gli Iperborei erano un popolo eletto che non conosceva la malattia e la morte e onorava le Muse con la danza, la musica e il canto. Le arti del solare Apollo.
Vediamo, dunque, che l’Iperborea era vista dai Greci come una sorta di paradiso nordico delle origini. Un paradiso a cui eroi e dèi, soprattutto Apollo, facevano costantemente ritorno, per mantenere quel legame indissolubile con il passato.
Alle leggende si accompagnano i cenni storici di Erodoto che, evidentemente, si pose diverse domande sull’Iperborea e cercò di rintracciare la tradizione originaria. Innanzitutto lo storico disse che non vi era notizia precisa sulla posizione geografica del Paese, ma che il centro di culto di Apollo situato a Delo riceveva regolarmente dei doni, avvolti nella paglia, dalla terra degli Iperborei.
Questi regali venivano da lontano e passavano, quindi, da un territorio all’altro. Dagli Iperborei agli Sciti, poi all’Adria, ai Dodoni, in Eubea e infine a Delo. In origine furono due vergini iperboree, accompagnate da cinque giovani uomini, ad avere il compito di intraprendere il lungo viaggio per trasportare i regali a Delo. Queste viaggiatrici non fecero più ritorno in patria. Si stabilirono in Grecia, dove restarono sino alla fine della loro vita.
Le due fanciulle iperboree si chiamavano Hyperoke e Laodike e, dopo la loro morte, furono seppellite a Delo con grandi onori e venerate dai giovani del luogo che si tagliavano una ciocca di capelli e andavano a deporla sulle loro tombe. Da allora gli Iperborei decisero di non inviare più dei viaggiatori con i loro doni, ma di spedire piuttosto i regali avvolti nella paglia tramite messi che li facessero passare da un Paese all’altro, sino a raggiungere il santuario del dio.
Ci furono poi altre due vergini iperboree dal nome Arghe e Opis che non portarono a Delo dei regali, bensì gli dèi stessi. Le fanciulle accompagnarono, infatti, il viaggio di Apollo e Artemide in Grecia. Queste divinità si fermarono ai santuari di Delo, ma il loro culto raggiunse la Ionia e tutte le isole greche. E anche le fanciulle Arghe e Opis morirono nella città santa.
Secondo Erodoto, le tombe di Hyperoke e Laodike si trovavano all’interno del santuario di Artemide, mentre quelle di Arghe e Opis erano situate dietro il tempio della dea. In effetti sono state scoperte a Delo due tombe dell’Epoca del bronzo, le uniche riportate alla luce in questo luogo di culto. Nel V secolo a. C. tutte le sepolture presenti a Delo erano state aperte e i resti dei defunti esumati e poi trasferiti nell’isola Rheneia. Soltanto queste due tombe rimasero in loco, forse per la loro importanza nella tradizione sacra.
La chiave dell’ambra e il canto del cigno
Anche lo storico Diodoro (90-30 a.C.) narrò dell’Iperborea. Secondo il letterato, l’Iperborea era un’isola grande quanto la Sicilia che si trovava nel mare situato oltre la terra dei Celti. (E siamo ancora nel nord.) Questo Paese, scrisse Diodoro, godeva di un clima particolarmente mite ed era molto fertile. Sull’isola nacque Leto, la madre di Apollo. Per questo motivo Apollo veniva venerato in Iperborea più di tutte le altre divinità.
In Iperborea vi era poi un complesso sacro con un tempio di Apollo di forma circolare (forma circolare hanno anche le strutture di Göbekli Tepe), e vicino al tempio si trovava la città intitolata al dio. Molti abitanti si dilettavano a suonare la cetra. Alle informazioni già riportate da Erodoto, lo storico Diodoro aggiunge un dato enigmatico: Apollo visitava l’isola di Iperborea ogni 19 anni, quando le stelle si trovavano di nuovo nella posizione originaria.
Insomma, il nesso principale tra Iperborea e Grecia è, come vediamo, Apollo. Ma chi era Apollo? L’origine del suo nome non appare chiara, mentre gli inizi del suo culto potrebbero essere collocati nell’Asia Minore. Ma la culla originaria di questa divinità della luce e delle arti può trovarsi nell’Europa settentrionale?
Il mito collega alla leggenda di Fetonte, figlio di Apollo e morto nell’Eridano, proprio l’ambra, un prodotto tipico del Mare del Nord. Altro elemento nordico ricorrente è il cigno. Il mito dice che Apollo viaggiava su di un carro trainato da cigni, e il cigno è un uccello che da sempre popola le leggende nordiche. Kyknos, termine greco che indica il cigno, era figlio di Apollo e Thyria.
E qui entra in ballo l’antica leggenda medievale dell’eroe Sceaf, predecessore di Cavalieri del Cigno e ipostasi del dio nordico Njörd, riportata nell’XI secolo dall’inglese Willhelm di Malmesbury :
“Sceaf giunge un giorno sull’isola germanica di Scamptha, di cui parla lo studioso Jordanes nella sua “Historia Goetorum”. Sceaf è quasi un bambino, e dorme in un’imbarcazione priva di remi, la sua testa poggia su di una spiga di frumento. Gli abitanti di Scamptha lo chiamano Sceaf che significa: “manipulus frumenti”. Sceaf diviene più tardi re della città chiamata Slasvic.”
Slasvic è l’antico nome di Schleswig Holstein, una regione della Germania settentrionale, e l’isola di Scamptha potrebbe essere la Scandinavia. Ma da dove giunse Sceaf in Scandinavia? Forse il ragazzino fuggiva dall’Iperborea che, in seguito a catastrofe naturale, era stata sommersa dalle acque? La testa di Sceaf poggiava su una spiga di frumento: sicuramente un simbolo di fertilità della terra da cui era giunto. Più tardi Sceaf si recherà in Gran Bretagna, e lì fonderà i regni di Mercie, Northumberland ed Estanglie.
Anche i superstiti di Doggerland, terra sommersa del Mare del Nord, sarebbero migrati in Northumberland alla ricerca di un nuovo inizio. La regione in cui gli archeologi hanno scoperto i resti di un centro abitato che risale al 7900 a. C.. È possibile che una delle ondate migratorie di queste popolazioni nordiche abbia raggiunto l’Asia Minore e poi la Grecia portando con sé il mito di Apollo?
Riguardo il mito del Cavaliere del Cigno, clicca qui per vedere questo mio articolo su Academia Edu.
In this time.. Felice Vinci nuclear engineer in his book best seller.. Omerus in the baltic.. Has established that Odessy and Iliad geography.. Arevlocated in the northbof Europe.. And not in the mediterranean sea.. Felice Vinci has solved the Hyperborean mithology with the demonstration that Omerus was right
[…] https://storia-controstoria.org/personaggi-e-miti/gli-iperborei-e-il-giardino-delle-esperidi/ […]
Una terra grande quanto il Medio Oriente ed il nord Africa, di forma rettangolare, che si trova nell‘ Atlantico e che è stata sommersa dalle acque, è segnata su tutte le carte geografiche da secoli.
È la terra verde, la Groenlandia, sommersa da centinaia di metri di una particolare forma d’acqua.
Un cultore di storia locale molto preparato, Gianni Bassi, ha scritto un libro non pubblicato (che non trovo in internet) in cui analizza la saga degli iperborei e colloca la patria natia di questi attorno alle pendici dei colli Euganei in Veneto. Per lui il cigno alato rappresenta una barca a vela ed il viaggio compiuto da Apollo ed altri iperborei è in nave tra la Grecia ed il Veneto.
Adria, città sulla costa veneta 3000 anni fa e vicina al Po (chiamato anche Eridano) era un importante emporio dove terminava la via dell’Ambra dal Baltico al Veneto. Dal suo porto partivano le navi che rifornivano di ambra i mercati orientali.
Appena trovo una copia gliela giro. Penso offra interessanti spunti.
Grazie e complimenti per la sua poderosa opera di divulgazione
In realtà il significato di Yperborea (oltre borea) non significa assolutamente una località a Nord della Grecia, ma semplicemente ‚oltre borea‘, ovvero ‚dove borea non c’è‘, ovvero ‚dove non soffiano i venti freddi‘ e maligni, un Eden insomma. E considerando quindi le conoscenze geografiche dei Greci (che assai prima di Erodoto sapevano della sfericità della Terra) e il loro modo di esprimersi nel contesto storico, indicava soprattutto, dunque, un luogo ipotetico ‚oltre i limiti conosciuti‘. Luogo che cambio‘ posizione con l’espandersi del mondo greco, tanto che non mancano riferimenti al Nord Africa, che meglio si atterrebbe ai racconti mitologici che localizzano in Yperborea il Giardino delle Esperidi dove ovviamente le cosiddette ‚mele d’oro‘ sono niente altro che arance, che ovviamente non crescevano nel Nord Europa. E il giardino si trovava nella catena dei Monti Atlas attraverso il Maghreb.
Salve Antonia, grazie del commento. Per la precisione il termine greco antico hyper/yper significa „sopra“ il che si potrebbe tradurre, dal punto di vista geografico, con un „oltre“: oltre i limiti conosciuti, oltre i confini del mondo noto. Sì, ciò che dici mi è chiaro, conosco le ipotesi che collocano l’Iperborea in altre parti del mondo. Tuttavia do la preferenza ad un luogo situato al nord dell’Europa. Ma questa, ovviamente, è la mia opinione. Escludo l’Africa settentrionale. Per diversi motivi, alcuni dei quali ho già riportato nell’articolo stesso.
È tutto veramente interessante e apre nuovi orizzonti per l’archeologia. Spero di avere occasioni per discuterne.