In nome di Satana?
Stenay: città francese delle Ardenne al confine con il Belgio e residenza preferita di Dagoberto II, il re merovingio che morì ammazzato, vittima della presa di potere dei Pippinidi. Le leggende la associano al dio pagano Saturno ma anche a Satana, signore degli abissi infernali. I miti degli esoteristi francesi parlano di una pietra occulta che dormirebbe nei sotterranei della città. Mentre un curato di Stenay si adoprò, all’inizio del secolo scorso, per recuperare una preziosa pergamena custodita nel reliquiario di san Dagoberto insieme al teschio del re merovingio.
Miti e realtà: le origini di Stenay
Sono tante le storie che provengono dalla penna del giornalista Gérard de Sède, amante dei miti più inquietanti ma anche più fascinosi legati all’ambiente franco-belga. De Séde ci informa che la città nei documenti antichi porta il nome di Sathanaci Villa Regia. Laddove il termine Sathanaci deriverebbe dal latino Satanas (Diavolo) che più tardi si sarebbe trasformato in Sathenay e quindi nel più moderno Stenay. La città di Satana? Ma forse non stiamo parlando del Diavolo in senso cristiano, bensì di un dio pagano che il cristianesimo demonizzò: Saturno. La traccia ci giunge dalla storia merovingia. De Sède racconta: Stenay fu conquistata nel 486 dal franco Clodoveo, e questi la chiamò Sadorn Tan, Fuoco di Saturno (o Focolare, Casa di Saturno).
Più prosaico è il risultato della ricerca etimologica effettuata dal canonico Abbé Constance Vigneron, linguista e storico locale, nonché curato di Stenay dal 1941 al 1966. Il religioso ne parla nel suo saggio Grande Heures de l’Histoire de Stenay. Vigneron ha ricostruito l’interessante trasformazione del toponimo nel corso dei secoli: Sataniacum (X sec.), Satanacum (1069), Septiniacum (1107), Settenay (1243), Satanay (1320) e infine Stenay (1643). Riteneva che la denominazione originaria della città fosse Villa di Setinius e si riferisse a un personaggio storico del I secolo d. C., giunto dalla città italiana di Sezze (in latino Setia), situata a 80 chilometri da Roma.
In ogni caso, proprio nel luogo in cui prima sorgeva un tempio di Saturno i Merovingi innalzarono nel 533 la chiesa di Saint-Rémy (San Remigio). Edificio sacro che nell’879 d. C. fu rimpiazzato da un’altra chiesa, questa volta dedicata a re Dagoberto II. Portava il nome di Saint-Dagobert (San Dagoberto) ed è oggi scomparsa. Sembra non esserne rimasta traccia, nonostante la chiesa fosse ancora visibile su un’incisione di Claude Chatillon che risale al XVII secolo. Ricordo che re Dagoberto II, sovrano della dinastia merovingia di Austrasia, fu ucciso poco distante da Stenay, nella foresta della Wöevre.
Come un leitmotiv, si affaccia nei libri di Gérard de Sède l’enigma della pietra occulta che dorme nei sotterranei di Stenay. Non a torto, giacché un motto del Priorato di Sion parla proprio di una misteriosa lapide: Ad lapidem currebat olim regina. Un tempo la regina corse alla pietra (o al sepolcro). Un’invenzione priva di significato? Eppure la frase, molto tempo prima di essere citata dal Priorato, appariva in uno dei romanzi del famoso autore francese Maurice Leblanc, padre del ladro gentiluomo Arsenio Lupin. La cosa non mi meraviglia, poiché Leblanc frequentava gli occultisti parigini che seguivano la stessa corrente di pensiero assorbita più tardi dal giovane Pierre Plantard, Gran maestro del Priorato di Sion.
La regina Bianca, maga e alchimista
La sovrana del motto della lapide è la mitica regina Bianca, sapiente ed esperta nelle arti magiche. Questa figura popola diverse leggende francesi ed è legata anche al castello normanno di Gisors. Bianca rappresenta l’alchimista, e la pietra filosofale è la sua meta. Ma nella mitologia del Priorato la pietra potrebbe avere un doppio significato e riferirsi, eventualmente, a un oggetto concreto, forse un monumento funerario. Gérard de Sède fornisce nel suo libro La race fabuleuse (1973) un indizio importante: la pietra occulta ed occultata potrebbe giacere nei sotterranei dell’antica chiesa di san Dagoberto. La sua ipotesi si basa su un manoscritto del notaio Gregoire Denain che, nel XVIII secolo, scrisse una storia di Stenay:
“Pertanto una cosa è certa: all’epoca dei Galli esisteva sicuramente a Stenay un tempio di Saturno e gli Eubagi che erano sacerdoti, medici e maghi vi perpetuavano, sacrificando dei neonati, il rito del dio terribile divorando i propri figli. Infatti nel 1801 si scoprì un cratere di pietra attraverso il quale, dopo aver tagliato la gola alle giovani vittime, le precipitavano in un pozzo.(…) Altre vestigia di questo tempio che sono state scoperte alla fine del secolo precedente si trovano al museo di Verdun. Si tratta di due pietre cubiche scolpite su tutti i loro lati e su cui sono rappresentati libagioni e sacrifici che si offrivano al dio del tempio.(…) Tutti gli autori precisano che le vestigia del tempio di Saturno sono state scoperte nel luogo in cui un tempo si ergeva l’antica chiesa di San Dagoberto, costruita nell’879 da Carlo il Calvo nello stesso punto in cui era stata edificata nel 533 la chiesa di San Remigio da Thierry I. Ma, cosa singolare, in meno di cento anni tutti gli archeologi hanno perduto le tracce di questa chiesa di San Dagoberto.”
La teologa tedesca Monika Hauf, che si è occupata a suo tempo dell’affare di Rennes-le-Château, ha studiato soprattutto il materiale mitologico del Priorato di Sion. Hauf osserva a tale proposito che sulla quarta di copertina del libro di Louis Vazart – scrittore del Priorato – Abrégé de l’histoire des Francs c’è la fotografia di un bambino seduto su una pietra ai margini di un precipizio. Sotto l’immagine appare questa frase sibillina: Il fanciullo domina la pietra.
Hauf interpreta la pietra come simbolo di Stenay, soprattutto perché nel libro di de Sède il nome di Stenay viene accostato al vocabolo tedesco Stein che significa appunto… pietra. Un residuo delle tradizioni pagane dei Merovingi, i quali altro non erano che una tribù germanica di Franchi? In tempi lontani gli abitanti di Stenay celebravano il 27 dicembre d’ogni anno uno strano rito: sedevano un bambino su di una pietra, affinché questi ne prendesse simbolicamente possesso. Hauf crede che il bambino rappresentasse l’erede di Sion, e quindi il rituale di Stenay sarebbe da interpretare nel modo seguente: ogni anno Sion riprendeva formalmente possesso di Stenay.
E poi c’è una strana storia, di cui l’Abbé Vigneron parlò in una lettera inviata nel 1962 al marchese Philippe de Cherisey, uomo del Priorato di Sion. E siccome il Priorato ama intrecciare miti anche dove non ci sono mai stati, è bene assaporare questo aneddoto con cautela. Però prima di raccontarlo devo fare una breve premessa. Secondo il Priorato di Sion, la dinastia di re Dagoberto II non sarebbe finita con lui, come affermano invece gli storici. Il re avrebbe avuto un figlio: Sigiberto IV. Al contrario dello sfortunato genitore, questi sarebbe scampato alla morte. La sorella Irmina lo condusse in salvo nascostamente nella Francia meridionale, nel Razès.
Il teschio di Dagoberto e la pergamena segreta di Irmina
Proprio la coraggiosa Irmina – più tardi abbadessa di Oeren – avrebbe un giorno riportato il racconto della fuga e dell’esilio segreto del fratello, re perduto, su una pergamena. Quindi nascose il prezioso documento in quel calice che oggi funge da reliquiario del teschio di Dagoberto II. L’oggetto viene conservato nella cittadina belga di Mons, nel convento delle Suore Nere.
Bene, ora veniamo alla storia narrata da Vigneron al marchese de Cherisey. Il fatto si svolge nell’anno 1910. Monsignor Pierre Mangin, curato e sindaco di Stenay, era convinto che il ciborio e reliquiario di san Dagoberto potesse servire da nascondiglio alla pergamena compilata da Irmina. Prima della Rivoluzione francese, la pergamena di Irmina si sarebbe trovata nelle mani dei monaci dell’abbazia belga di Orval, situata a poca distanza da Stenay, sulle terre della potente famiglia Bouillon-Lorena. Poi sarebbe passato alle Suore Nere.
Dunque monsignor Mangin si rivolse alle Suore Nere di Mons, chiedendo la restituzione dell’oggetto sacro. Mangin sosteneva che la chiesa di Stenay, residenza del re merovingio, era di certo il luogo più appropriato per conservare il teschio del sovrano. Il 6 dicembre 1910, la superiora del convento di Mons si rivolse al vescovo di Tournai informandolo che il reliquiario conteneva una preziosa pergamena di santa Irmina, e domandando che il documento storico rimanesse a Mons, nel suo convento. Il 12 dicembre 1910, il vicario generale Lemaitre accondiscendeva a tale richiesta.
L’11 ottobre 1912, il canonico Crame – segretario del vescovo – scriveva quindi al parroco Mangin: “Vi reco notizia della pergamena di santa Irmina in occasione della mia prossima visita”. Il 17 ottobre 1912 il segretario del vescovo si recava personalmente a Mons per esaminare pergamena e teschio. Faceva quindi una copia dell’antico documento di Irmina alla presenza delle monache e della superiora Antoinette Richard, forse per consegnarla a Mangin. Di più non sappiamo.
Ma secondo l’autore Jean-Pierre Deloux, nel 1914 a Stenay correva voce che Mangin fosse in possesso della pergamena di Irmina, o perlomeno di una sua copia. È sempre Deloux a raccontarci che Mangin morì il 9 settembre 1914, vittima della tortura cui era stato sottoposto da alcuni ufficiali dell’occupazione tedesca. Proprio in quel periodo il principe ereditario di Hohenzollern aveva piazzato il suo quartier generale a Stenay, nel castello di Tilleul. Forse i nobili tedeschi erano a conoscenza dell’esistenza della pergamena e volevano prenderne possesso? Ma per quale motivo?
Dagoberto II fu seppellito dapprima a Stenay, nella vecchia chiesa di Saint-Rémy. Nell’ 872, dopo che il sovrano merovingio fu canonizzato, si trasferì la sua salma a Douzy per volere di re Carlo II. Ma nel 1069 il duca di Lorena, parente di Goffredo di Buglione/Bouillon, decise che Dagoberto doveva tornare a essere inumato nell’antica chiesa di Stenay, nella città in cui il sovrano aveva scelto di stabilire la propria residenza. La storia ci informa inoltre che nel 1591 la chiesa di Saint-Dagobert, come altri monumenti cattolici, subì un attacco degli Ugonotti. In seguito a saccheggio e distruzione, le spoglie del re andarono perdute. Tranne la testa. La preziosa reliquia fu portata quindi in salvo nel convento belga di Mons presso le Suore Nere.
È chiaro che se veramente la pergamena di Irmina si trovasse nel reliquiario di Mons e qualora la pia abbadessa Irmina di Oeren avesse annotato sul serio sulla carta ingiallita il fatidico episodio della fuga del fratello Sigiberto IV nel Razès, la storia merovingia dovrebbe essere riscritta.
Per approfondire il tema, vedi il mio saggio „Il Serpente Rosso“.
Debilità psicopatica. Prof. P. de Martin, Sorbona, agr. Bologna. (Prata-PN).
Rinova la paura…