Il mistero di un reperto di 5000 anni fa
Una statuetta elamita che ammalia al primo sguardo: la Leonessa di Guennol. Al secondo, la leonessa incanta. E non si riesce più a staccarle gli occhi di dosso. La forza e la risoluta bellezza di questa piccola scultura di pietra non ha eguali. La sua età: 5000 anni. Ma si è appena riusciti ad ammirare le sue foto in giro su Internet, per poi perderla di vista di nuovo. E questa volta per sempre. Scomparsa per mano del ricco collezionista di turno, prigioniera di una raccolta a noi sconosciuta. Qualcuno ha comprato la Leonessa di Guennol. Ora è dietro le sue porte blindate. Irraggiungibile. A questo punto ci si chiede: è giusto che pezzi di tal valore spariscano da un museo e vadano ad arricchire una collezione privata?
Quando bellezza e forza s’incontrano
Non c’è molto da raccontare sulla Leonessa di Guennol, perché poco si sa. Fu scoperta intorno al 1930 presso Bagdad, in Iraq. Forse tra le rovine del tempio di Tell Agreb. Ma il pezzo è stato attribuito all’arte proto-elamita, dunque le sue origini sarebbero da collocarsi nell’Elam, Iran occidentale. Si pensa che questo splendido oggetto sia stato creato approssimativamente nel 3000 a. C., e il nome “Guennol” si riferisce al suo possessore di lunga data, il collezionista inglese Alaistair Bradley Martin il cui nome (Martin) in gallese è, appunto, Guennol.
Martin entrò nel 1948 in possesso della statuetta che fu esposta dapprima al Brooklyn Museum di New York. Beato chi ha avuto la fortuna di poterla ammirare da vicino, oltre il vetro, nella sala del museo. Poi, nel 2007, la Leonessa di Guennol è stata messa all’asta da Sotheby’s. Per l’ex proprietario un colpo da maestro, poiché il valore della figurina è arrivato a toccare una cifra incredibile: 57 milioni di dollari. Questa somma ha pagato il misterioso compratore. Non è possibile conoscere il suo nome. Di certo si tratta di una delle persone più ricche del mondo.
È piccola, la leonessa. La figurina di pietra calcarea misura appena 8,26 cm di altezza. Ma è davvero qualcosa di particolare e meraviglioso, non esiste un suo pendant che risalga alla medesima epoca. Non sappiamo chi rappresentasse in realtà, perché è evidente che la parte inferiore del corpo è antropomorfa: i suoi fianchi appaiono tondi come quelli di una donna, si nota il triangolo pubico ben delineato sulla superficie lucida. Anche il muso della statuetta rivela una dolcezza tutta femminile, nonostante la postura decisa con le braccia muscolose e le zampe premute l’una contro l’altra, suggerisca l’espressione selvaggia di una forza indomita, una potenza della natura. Sembra qualcosa di soprannaturale, la Leonessa di Guennol. Una divinità giunta dalle nebbie del passato. Un demone femminile? Una dea? Lo spirito di una sacerdotessa?
Sul retro della figurina, quattro fori rivelano l’inserimento di una coda oggi perduta, che doveva essere fatta di altro materiale. Anche sulla parte posteriore del cranio della leonessa vi sono due fori. Evidentemente sul suo capo poggiava in origine qualcosa: una criniera? Un diadema? Secondo gli esperti, l’oggetto può essere appartenuto alle insigne di un principe oppure di un alto sacerdote.
Gli Elamiti e l’enigma della loro lingua
Il mitico regno di Elam: i Sumeri lo chiamavano Nim-Ma, gli Accadi Elammatum. La sua storia si estese approssimativamente dal 3400 al 640 a.C., la sua capitale fu la ricca Susa, il suo territorio la pianura a sud-ovest dell’odierno Iran. Il periodo definito proto-elamitico è datato 3400- 2500 a.C. e corrisponde alla cultura più antica presente in territorio iraniano. A Tepe Sialk, altro importante centro del regno d’Elam, s’innalzano i resti di un’imponente ziqqurat sopravvissuta alla mano del tempo. L’edificio fu costruito intorno al 3000 a.C., quando ancora le piramidi d’Egitto non esistevano.
Dobbiamo pensare inoltre che l’insediamento più antico scoperto a Tepe Sialk risale al 6000 – 5500 a.C. Gli scavi in questo sito ebbero luogo nel corso di diverse campagne archeologiche organizzate all’inizio del XX secolo, i cui preziosi reperti si trovano adesso sparsi per il mondo nei musei più prestigiosi, come il British Museum di Londra, l’Ashmolean Museum di Oxford, il Louvre di Parigi o il Metropolitan Museum di New York. Anche il Museo Nazionale dell’Iran possiede, ovviamente, dei reperti elamiti. E poi ci sono i soliti collezionisti privati, che possono godere ogni giorno della vista di splendidi capolavori come la Leonessa di Guennol nella penombra delle loro stanze. Evidentemente il destino dell’antica cultura elamita fu quello di sparire nella dimenticanza, sovrastata dalla maggiore popolarità della storia sumera.
La lingua proto-elamita, così come quella sumera, non apparteneva alla famiglia indoeuropea. Non era nemmeno semita. La scrittura di queste genti, che si sviluppò parallelamente a quella sumera, non è ancora stata decifrata. Come il sumero, fu scritta da destra a sinistra su tavolette d’argilla, tuttavia i suoi simboli non hanno nulla a che fare con quelli sumeri. Ebbe vita breve, soltanto pochi secoli. Poi scomparve. Attualmente un team di studiosi tenta di decifrare il proto-elamita servendosi della maggiore collezione di tavolette d’argilla appartenente al Museo del Louvre con l’aiuto dell’informatica. Gli esperti si dicono vicini alla soluzione dell’enigma. Nel frattempo, dobbiamo accontentarci di elucubrare sui messaggi iconografici ammirando le foto dei reperti.
“Borse” di pietra, donne e serpenti
L’arte dell’antico Elam si manifesta attraverso capolavori di raffinata bellezza. I reperti presentano evidenti affinità con l’arte di Ubaid, una cultura preistorica che, in Mesopotamia, precedette quella sumera. L’universo simbolico dei Proto-Elamiti ci guarda dai sigilli cilindrici, su cui spiccano soprattutto le raffigurazioni di animali dall’atteggiamento umano, cioè intenti a svolgere attività proprie dell’uomo, come la tessitura o la pesca. Qui il toro e il leone dominano la scena. Spesso sono rappresentati in lotta fra loro. Anche le piccole sculture prediligono questi soggetti. Animali antropomorfi, come la Leonessa di Guennol. Il “signore degli animali”, un motivo caro all’arte sumera, appare anche sui reperti proto-elamiti. Mentre la statua della dea Narundi assisa sul trono, ricorda la più antica “signora dei leopardi” di Chatal Höyük.
Interessante è il fatto che alcuni studiosi, come Carsten Colpe, ipotizzino l’esistenza di un “regno” proto-elamita di struttura matriarcale. Nell’Olimpo elamita, infatti, la dinastia suprema degli dei riservava il trono esclusivamente ai figli nati da matrimoni fra consanguinei allo scopo di conservare intatto il ceppo della linea materna. Lo stesso signore di Susa era detto “figlio della sorella”. Forse la Leonessa di Guennol fu parte di questo mondo di divinità femminili e combattive. Non soltanto donne del focolare, ma signore della guerra, come fu più tardi l’egizia dea-leonessa Sachmet.
Secondo Heidemarie Koch, archeologa specializzata in iranistica, il centro di Susa fu fondato addirittura nel 4200 a.C. Poi, intorno al 3000 a.C., fiorirono diversi centri commerciali nell’Elam orientale. Uno dei prodotti più importanti era la clorite, pietra verde che veniva dalle località di Tepe Yahya e Djiroft e da cui si ricavavano soprattutto splendidi recipienti esportati nel mondo antico. Ma un altro oggetto tipico elamita sono le cosiddette “borse” di pietra che appaiono anche nelle arti sumera, egizia, assira e d’Oltreoceano. Sono oggetti prevalentemente di forma rettangolare muniti di manico che, nelle raffigurazioni antiche, vengono impugnati da divinità e regnanti. Ebbene, l’arte elamita ha prodotto molte di queste “borse” litiche, decorate soprattutto da serpenti. Ma che funzione avevano? Heidemarie Koch suggerisce un’ipotesi abbastanza convincente: potevano essere dei pesi portatili.
Dal periodo di massimo splendore del regno d’Elam (dal 1400 al 1100 a.C.), giungono notizie sulle dinastie reali. E sui complicati rapporti familiari degli eredi al trono che, come abbiamo visto, non escludevano l’incesto. Durante il governo di re Untash-Napirisha, l’Elam raggiunse una grande estensione, testimoniata dalla ziqqurat di Dur-Untash, presso Susa. Qui si trova il complesso templare più ben conservato del Medio Oriente, che occupa ben 100 ettari ed è delimitato da una tripla cinta muraria.
Nonostante l’imponenza della costruzione, non ci è rimasta una statua di re Untash-Napirisha. Invece quella di sua moglie Napir-Asu è conservata al Museo del Louvre. La scultura di bronzo a grandezza naturale e di sofisticata fattura evidenzia il ruolo importante della donna nella società elamita, confermato peraltro dalla presenza di divinità femminili agli albori del pantheon d’Elam, prima fra tutte la dea Pinegir. Donne e serpenti venivano celebrati con particolare attenzione. Un binomio più che logico, poiché i serpenti rappresentavano la fertilità. Reperti del IV millennio a.C. illustrano molto bene la simbiosi di donna e serpente. Un tema su cui ci sarebbe molto da dire, giacché sembra dominare anche l’oggettistica della Vecchia Europa.
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