I labirinti oscuri di Derinkuyu e le sue sorelle
Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, poco o nulla si sapeva delle incredibili città sotterranee della Turchia. Poi un uomo decise di ristrutturare la sua casa antica. Nascosta dietro una parete della cantina, scoprì una camera di cui aveva ignorato l’esistenza. E venne alla luce un’intera città. Quella camera “clandestina” era soltanto l’inizio di un gigantesco sistema di tunnel che si estendeva nel sottosuolo suddiviso in diversi livelli, piani sovrapposti muniti di cisterne, ampie sale, scale, panche, pilastri e canali di areazione. Ma chi l’aveva costruito? In che epoca? E per quale motivo? Dal 1963, la città sotterranea di Derinkuyu non ha ancora rivelato tutti i suoi segreti.
Grotte scavate nel tufo del dio Vulcano
Sono scavate nel tufo, le città sotterranee della Turchia. Derinkuyu, che è stata aperta al pubblico nel 1969, non è un fenomeno isolato. Kaymakli, Ozkonak, Mazikoy e Zelve sono i nomi di altri insediamenti ipogei della Cappadocia, ma si pensa che nella sola provincia di Nevsehir ne esistano più di 50. Alcuni affermano che sarebbero addirittura 200. Fatti e leggende si fondono. Derinkuyu, forse la più vasta di tutte, secondo i calcoli degli esperti raggiunge con i suoi diversi livelli (al momento ne sarebbero stati recuperati dodici) i 100 metri di profondità. Si dice poi che un tunnel di otto chilometri colleghi Derinkuyu con l’altro insediamento ipogeo di Kaymakli. Un’informazione da accertare.
La Cappadocia: un territorio montuoso al centro della penisola anatolica, da molto tempo noto per le sue grotte-abitazioni, per le bizzarre formazioni rocciose appuntite come cappucci che, viste dall’alto, sembrano tanti trulli naturali. Opere di mamma Natura. Uno spettacolo unico, meta delle variopinte mongolfiere che trasportano turisti di tutto il mondo. Dal 1985, questo paesaggio di selvaggia bellezza è patrimonio culturale dell’UNESCO. Nacque dalle eruzioni di più vulcani avvenute milioni di anni fa, primo fra tutti l’imponente Erciyes. La montagna s’innalza a sud di Kayseri e raggiunge i 4000 metri di altezza. Questi centri di eruzione, potenti focolai nel cuore della Terra, hanno cessato le loro attività in superficie da decine di migliaia di anni (ad eccezione di episodi isolati avvenuti in epoca storica). L’erosione degli agenti atmosferici ha completato l’opera lavorando le colate vulcaniche raffreddate, sublimandole in forme curvilinee da sogno, scolpendovi le onde chiare di un vasto mare di tufo, le alte cime aguzze che si stagliano contro l’azzurro del cielo.
Il tufo è un materiale abbastanza “morbido”. Facilita il lavoro di scavo e possiede inoltre ottime proprietà termiche, per cui la temperatura delle camere ricavate dal tufo risulta mite sia durante la calura estiva che durante i lunghi, freddi mesi invernali. È chiaro che questi vantaggi abbiano ispirato la costruzione di ambienti vivibili all’interno delle rocce. Nel corso dei millenni, le grotte della Cappadocia sono state adibite a casa, chiesa, convento, eremo, cantina, fucina, laboratorio, scuola. Oggi alcune di esse ospitano alberghi per i turisti desiderosi di passare una vacanza esclusiva nella natura, lontano dai centri affollati.
Le città sotterranee
Se le montagne della Cappadocia sono un altro mondo, le sue città sotterranee ricordano l’anticamera dell’Ade. Veri e propri labirinti fatti di tunnel, ripide scale, stanze e nicchie. A Derinkuyu ci sarebbe da perdersi, se non apparissero di tanto in tanto delle frecce d’indicazione e i punti illuminati dalla luce elettrica. Le camere si presentano per lo più vuote, prive di orpelli e decorazioni. In alcune sono ancora visibili degli utensili della vita quotidiana come macine, forni d’officina, otri di pietra per la conservazione degli alimenti. E poi ci sono anche dei trabocchetti che avevano la funzione di ostacolare l’ingresso delle persone indesiderate. Ci sono giganteschi massi di forma discoidale che fungevano da porte blindate, sigillando l’accesso alla città nei punti strategici e proteggendola da un’eventuale penetrazione nemica. Questi massi discoidali pesano tonnellate ed erano così costruiti che, una volta spinti in posizione di chiusura ingresso, non potevano essere rimossi dall’esterno ma soltanto da chi si trovava all’interno della grotta. Un indizio più che evidente della funzione primaria di queste città sotterranee, quella di rifugio sicuro contro attacchi ostili. Più si scende in profondità, e più il numero delle camere diminuisce, mentre aumenta invece la loro ampiezza.
Sul numero di persone che potevano trovare rifugio a Derinkuyu, circolano diverse opinioni. Alcuni parlano di 30.000 persone, ma questa mi pare davvero una cifra esagerata. Le città sotterranee erano state concepite per essere del tutto autonome, quindi al loro interno vi erano latrine, cisterne, magazzini, pozzi, cucine, scuole, chiese, e tutto ciò che serviva alla vita di una comunità. In particolare a Derinkuyu la riserva di acqua naturale era fornita da un fiume sotterraneo, quindi pressoché inesauribile. Aperture poco appariscenti che davano direttamente all’esterno favorivano il cambio d’aria. E tutto questo significa che erano state realizzate allo scopo di dover trascorrere lunghi periodi lì sotto. Ebbene, la presenza di 30.000 persone nel sistema sotterraneo di Derinkuyu avrebbe portato ben presto gravi problemi di natura igienica a causa della scarsezza dei servizi sanitari; di veloce esaurimento dei viveri per la ristrettezza delle zone magazzino; nonché di difficoltà causate dal sistema di areazione che, a lungo andare, si sarebbe rivelato insufficiente. Una densità troppo alta, anche per le circa 400 camere abitabili la cui esistenza è stata verificata all’interno della città ipogea. Più realistica appare invece la cifra di circa 2000 – 4000 abitanti.
Il mistero della costruzione e l’ombra dei Frigi
Rimangono le inquietanti domande: chi costruì queste città sotterranee e a quale scopo? Da chi o che cosa voleva proteggere sé e la propria gente? L’enigma della datazione persiste. Un importante indizio in aiuto degli archeologi giunge dallo storico greco Senofonte (V-IV secolo a.C.), il quale nel suo scritto “Anabasi” parla di città sotterranee dell’Anatolia abitate dai Frigi:
“Le abitazioni erano sotto terra, all’entrata strette come l’apertura di un pozzo, si allargavano procedendo verso il basso. Gli accessi per il bestiame erano stati scavati e le persone scendevano giù per mezzo di scale. Nelle abitazioni c’erano capre, pecore, manzi e volatili con la loro prole.” (Senofonte, “Anabasi”, libro IV, 5.25)
Un altro passaggio dell’Anabasi (nel libro I) racconta di come i Frigi, per sfuggire all’arrivo imminente del persiano Ciro (VI secolo a.C.), abbandonarono le loro città e si rifugiarono sulle montagne. Ed è probabile che queste popolazioni abbiano iniziato già alcuni secoli prima, per difendersi dagli attacchi degli Assiri, a costruire il sistema di tunnel sotterranei. I rifugi possono aver assunto la funzione di città anche per un periodo abbastanza lungo. Una sorta di “bunker” del passato, in cui le persone dovevano avere la possibilità di continuare la loro vita di sempre in sicurezza, partecipando alle funzioni religiose, occupandosi dell’istruzione dei figli, organizzando assemblee e feste della comunità.
Nella città sotterranea di Derinkuyu sono stati trovati utensili di origine ittita. Sappiamo che questo territorio fu occupato dagli Ittiti (II millennio a.C.), ma è possibile che i reperti siano finiti laggiù anche più tardi, in un secondo tempo. Le chiese di Derinkuyu sono situate nei livelli inferiori del sistema sotterraneo. Tracce della presenza di comunità cristiane nella regione risalgono al I secolo d.C. Sicuramente nelle grotte trovarono rifugio anche i cristiani minacciati dalle persecuzioni degli Arabi e dei Bizantini iconoclasti. Altre notizie sulle città sotterranee della Cappadocia ci raggiungono dal XIII secolo dopo Cristo grazie alla penna del letterato Teodoro Scutariota, il quale evidenziò l’ottima situazione climatica nelle caverne di tufo. E dunque chi li costruì? Furono gli Ittiti, i misteriosi ingegneri del passato? Oppure i Frigi? O forse, in epoca più tarda, i cristiani? Non si può escludere che tutte queste genti abbiano contribuito, durante i secoli e i millenni, sia alla costruzione che all’ampliamento delle città ipogee. Ma in base alle informazioni di Senofonte, è probabile che almeno un nucleo del sistema sotterraneo esistesse già all’epoca dei Frigi. Lo scopo è ormai chiaro: protezione da una grande minaccia esterna.
I Frigi. Lo storico Erodoto di Alicarnasso li definì “i primi abitanti della Terra”, mentre secondo gli autori dell’Antico Testamento in quel territorio anatolico vivevano “gli uomini più rozzi della Terra”. Una descrizione poco lusinghiera, la seconda, che non rende giustizia a queste genti, soprattutto se si considera che i Frigi vantavano monumenti e tradizioni storiche molto più antichi di quelli ebraici. Di certo l’indomito carattere degli abitanti della Cappadocia dovette impressionare le culture del passato che solevano dire: “Se un serpente morde uno di loro, il primo a morire è il serpente.” E poi si favoleggiava sulla bellezza delle donne e dei cavalli della Cappadocia. Il nome stesso della regione Katpadukya, potrebbe derivare dal persiano antico e significa “Terra dei bei cavalli”.
Strettamente legato alle pratiche religiose del Mediterraneo, il culto della dea Cibele rivestì un ruolo importante nell’universo frigio. Famoso centro religioso di questa divinità madre fu Pessinonte (130 km a sud-ovest di Ankara). Il culto di Cibele, le cui origini si perdevano nella notte dei tempi, quando le divinità femminili della fertilità popolavano l’immaginario dei cacciatori-raccoglitori, giunse sino alla Roma antica. Qui Cibele fu adorata come Magna Mater Deorum, la Grande Madre degli dei. A lei erano legati i simboli della pietra nera meteoritica – che continua a essere venerata alla Mecca nella misteriosa Kaaba – e del toro che, insieme al simbolo del berretto frigio, è un elemento di spicco nell’iconografia del culto di Mitra.
I Frigi erano una popolazione orgogliosa e combattiva dalle origini indoeuropee. Il loro regno raggiunse il culmine della fioritura nella seconda metà dell’VIII secolo a. C. Gli antichi Greci narrano di leggendari sovrani frigi dalle ricchezze favolose, come re Mida. Questi, figlio di Gordio e della dea Cibele, aveva sposato una donna greca e donato alla città sacra di Delfi un trono prezioso. Come accade spesso, il mito si confonde con la realtà. Un personaggio storico all’origine del leggendario Mida deve esserci stato: anche gli annali di re Sargon parlano di un sovrano frigio chiamato “Mita” il quale versava tributi al regno assiro. Secondo le cronache del passato, fu l’arrivo dei Cimmeri a decretare la fine di re Mida, nel VII secolo a.C. Per sfuggire a una morte infame, questo ricco signore scelse il suicidio. Spirò dopo aver bevuto il sangue di un toro.
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