Sokar, colui che risvegliava i morti
Sokar, arcaico signore del Ro-Setau, il regno sotterraneo dei morti. Colui che li risvegliava dal lungo sonno per condurli all’altro mondo. La necropoli di Saqqara (Sakkara) porta il suo nome. Gli antichi Egizi immaginavano Sokar come un falco appollaiato su di uno stendardo. Riconoscevano nel pianoro di Giza l’aspetto visibile del suo regno che si snodava misterioso, buio e invisibile nelle viscere della terra, sotto la magnificenza delle tre piramidi e della sfinge, sotto le tombe dei nobili e i templi di un’epoca perduta: il Ro-Setau.
Sokar, signore delle vie sotterranee
Questo nome, citato in diversi testi sacri, significa Sbocco (foce) delle vie, oppure Entrata al mondo sotterraneo. Come dobbiamo immaginarlo? La raccolta chiamata ”Amduat” descrive un sistema di cunicoli scavati nella roccia, mentre il “Libro delle due strade” parla di un complesso di canali acquiferi. In entrambi i casi si trova sotto terra. Un mondo nascosto sotto l’altopiano? Forse, dato che la necropoli di Giza abbonda di gallerie sotterranee.
Sin dai tempi arcaici il falcone Sokar era un dio dei morti e sulla piana di Giza, accanto alle tre piramidi e alla misteriosa sfinge, s’innalzava un suo santuario.
L’egittologa Christiane Zivie Coche osserva che proprio la zona situata a sud del monumento leonino era un complesso sacro del dio Sokar.
Considerando il fatto che la testa della sfinge è fin troppo piccola in confronto al resto del corpo leonino e non si presenta altrettanto deteriorata, si è anche ipotizzato che in origine il monumento ne avesse un’altra, più grande, che fu riscolpita in un secondo tempo: quella di Sokar.
Ovviamente non esistono prove in tal senso, ma sappiamo che la divinità di Sokar è più antica di quella di Osiride, che Sokar fu da sempre il dio dei morti. Non è da escludersi che la necropoli di Giza fosse il suo regno ancor prima che le maestose piramidi si ergessero sulle sabbie del deserto. Vi sono inoltre analogie tra Sokar e Ptah, soprattutto il fatto che entrambi fossero immaginati anche come artigiani, fabbri capaci di forgiare il metallo. Ptah: un altro personaggio misterioso, protagonista dei miti intorno alla nascita delle Due Terre.
La diffusione del culto di Osiride ebbe luogo durante le prime dinastie, e più questo dio della fertilità assumeva le caratteristiche di divinità dei morti, più la predominanza dell’arcaico Sokar veniva da lui oscurata. Al termine di questo processo del divenire, si cristallizzò la figura sincretica di Osiride-Sokar.
Agli albori della storia egizia, invece, era Sokar a dominare il regno della notte. Il dio aveva il potere di risvegliare i defunti. Ma che cosa significava, per i sacerdoti egizi, risvegliare i morti? Al centro di questa misteriosa cerimonia vi era un rito obsoleto, inquietante e ancora oscuro: l’apertura della bocca. Sappiamo con certezza che tale pratica veniva effettuata già durante il Regno Antico. Strumenti sacri per l’apertura della bocca, che sono stati portati alla luce in alcune tombe dell’Alto Egitto datate in questo periodo storico, lo provano.
Il risveglio dei morti
Se non abbiamo dei testi del Regno Antico che ci informino sullo svolgimento della cerimonia, abbiamo però delle raffigurazioni geroglifiche del Nuovo Regno che ci parlano dalla tomba del faraone Sethos I, situata nella Valle dei Re. Qui possiamo farci un’idea lontana di ciò che accadeva. Prima di tutto possiamo vedere chi vi prendeva parte: un sacerdote lettore che dirigeva le operazioni accompagnato da altri sei sacerdoti, due prefiche, degli scultori e dei macellai che si occupavano della parte che riguardava le offerte di animali.
La statua del defunto veniva collocata in posizione eretta su un mucchio di sabbia con il volto rivolto verso il meridione. I sacerdoti la purificavano cospargendola di unguenti e profumandola d’incenso. A questo punto un sacerdote che dormiva sdraiato accanto alla statua del defunto, veniva svegliato. Un’azione simbolica in cui il dormiente rappresentava l’anima del morto?
Ed ecco che i macellai scannavano due gazzelle, un’oca e un manzo. Le cosce anteriori e il cuore del bovino venivano offerte al morto. I sacerdoti gli offrivano anche un bastone con la testa d’ariete, altri quattro bastoncini, delle penne d’oca e un dito d’oro. Oggetti misteriosi, il cui significato più profondo purtroppo ci sfugge. Dopo successive pratiche rituali riguardanti la purificazione, la vestizione e l’addobbo della statua e ulteriori offerte animali, la statua del defunto veniva deposta nel naos (cella sacra).
Questa la cerimonia del Regno Nuovo. Il rito originario, quello che veniva celebrato nel Regno Antico e di cui nulla sappiamo, aveva luogo nella cosiddetta casa dell’oro, l’officina degli orefici e degli scultori che si trovava di solito nelle stanze del tempio. Questo perché, come si vede dai dipinti della tomba di Sethos I, l’apertura della bocca si praticava sulla statua del defunto e questa si trovava, in attesa di sepoltura, nell’atelier dello scultore. Ma sappiamo che nelle nebbie del periodo arcaico la procedura del risveglio dei morti non era eseguita soltanto sulla statua, ma anche direttamente sulla salma dell’estinto, come fanno trasparire le illustrazioni geroglifiche dei Libri dei Morti.
Ed è proprio questa la fase più segreta, la più inquietante. Che accadeva di preciso alle spoglie mortali del faraone? L’eco del rito atavico affascina ancora oggi gli studiosi, tant’è vero che l’egittologo Erik Hornung compara la cerimonia egizia con l’Opus degli alchimisti. Hans Bonnet, invece, ritiene che l’operazione avesse luogo presso la tomba, prima della sepoltura della mummia, o forse già nella camera degli imbalsamatori.
L’apertura della bocca e tre reperti misteriosi
Dalle iscrizioni geroglifiche del Regno Nuovo, conosciamo le parole magiche pronunciate dal sacerdote lettore durante la cerimonia:
“Apro la tua bocca, di modo che tu possa parlare per mezzo di essa; apro i tuoi occhi, affinché tu veda Ra; apro le tue orecchie, così che tu possa udire la trasfigurazione; di modo che tu usi le tue gambe per camminare, il tuo cuore e le tue braccia per difenderti dai nemici.”
Gli strumenti necessari all’apertura della bocca sono giunti sino a noi. Sono stati trovati in alcune tombe private. Erano disposti sulla superficie di palette rettangolari oppure ovali, provviste di opportune incavature. Nel sarcofago, presso ogni mummia, ce n’erano due. Forse una paletta serviva per la cerimonia eseguita sulla statua e l’altra per la cerimonia operata sulla salma? Oppure anche questo doppio aveva un valore simbolico, richiamandosi al dualismo così caro agli Egizi antichi, abitanti delle Due Terre?
Sembrano utensili da scultore: coltelli, scalpelli, piccoli vasi di selce o pietra calcarea. Soltanto uno di essi ha una forma strana, unica. Gli antichi egizi lo chiamavano peseshkaf. È una sbarra piatta con una lama a coda di rondine. La sua funzione rimane oscura. Il significato del nome deriva dalla radice egizia pssh che significa tagliare in due. E sulle raffigurazioni geroglifiche appare sempre vicino alla bocca della mummia o della statua del morto. L’apertura della bocca. Ma perché il peseshkaf doveva tagliare in due?
Il mistero s’infittisce se pensiamo che questo strumento assomiglia in modo impressionante a un altro oggetto dalla funzione ignota. Si tratta di un reperto trovato dal ricercatore Waynman Dixon nel 1872, all’interno della piramide di Cheope. Nel canale di areazione che attraversa la parete nord della cosiddetta camera della regina, Dixon scoprì tre oggetti: una piccola sfera di pietra, un’assicella di legno e un utensile di rame con la forma di un peseshkaf.
Alcuni studiosi interpretano la presenza di questi utensili nel cunicolo in chiave simbolica: nel corso di riti magici, avrebbero permesso all’anima del defunto re (in questo caso Cheope) di aprire l’ultima porta del canale, abbandonare la piramide e salire al cielo per unirsi alle stelle eterne.
Due dei preziosi artefatti scoperti da Dixon sono oggi al British Museum di Londra: la piccola sfera litica e il peseshkaf di rame. Invece l’assicella di legno è andata perduta, proprio quella che magari avrebbe permesso una datazione e rivelato in quale epoca i tre reperti furono sistemati nel cunicolo. Un’ulteriore possibilità di far luce sulla data di costruzione della grande piramide che si è volatilizzata per sempre, insieme all’assicella misteriosa.
Brava Sabina! Come sempre.
Faccio notare che in molti affreschi che rappresentano l’apertura della bocca, lo strumento ha una forma diversa da quello indicato nell’articolo.
Infatti è vero, Riccardo. Di solito sulle raffigurazioni geroglifiche e sui dipinti appaiono altri strumenti , come anche nell’articolo qui sopra, dove si vede, ad esempio, il „dito d’oro“.