Sepolcro e Ordine del Tempio
Seborga. La città templare si trova in Liguria, nella provincia di Imperia, sperduta nel verde delle montagne. Misura appena 4 chilometri quadrati e conta poche centinaia di abitanti. Eppure, rivendicando gli antichi privilegi, alla metà degli anni Novanta del secolo scorso Seborga è diventata principato. La cittadina è pittoresca e molto curata, vanta una tradizione templare di tutto rispetto, suffragata da ampia documentazione. E non solo questo: si dice depositaria di un grande segreto.
Al momento il territorio di Seborga, che batte moneta propria, è governato dal principe Marcello I, figlio di un industriale tessile. Il posto vive di agricoltura e turismo. Bastano pochi passi nella piazzetta principale per rendersi conto di essere nel cuore dell’Ordine del Tempio. Croci templari sono presenti ovunque, nelle stradine e sugli edifici. Anche nella chiesa barocca si respira la storia dell’Ordine che racconta vicende sconosciute dei Cavalieri dai bianchi mantelli.
Nebbia si addensa invece sulle sue origini. In un documento che risale al 954 d. C., Seborga è chiamata Castrum de Sepulchro. Da qui il termine Sapelego o Sapelegio che diede luogo a Seborga. Ma a che sepolcro in particolare ci si riferiva nella denominazione originaria? Quale personaggio fu così importante, da far sì che la città fosse intitolata al sepolcro dopo la sua deposizione su suolo seborghino? Non lo sappiamo. La tradizione orale parla di sepolture di grandi sacerdoti visigoti e, in seguito, di gnostici importanti. Non esistono però documenti che avallino queste affermazioni. In ogni caso sappiamo che nel 945 Seborga passò dalla proprietà dei conti di Ventimiglia a quella degli abati benedettini delle isole Saint Honorat di Lérins, religiosi di matrice celtica.
Del resto le radici di Seborga affondano nei riti dei Celti e non di meno nell’eresia catara. Non sorprende perciò di scoprire il suo stretto legame con quel cristianesimo celtico che nel XII secolo veniva propagato dai monaci culdei della lontana Irlanda e che, attraverso la mediazione del cistercense Stephan Harding, plasmò il misticismo di Bernardo di Chiaravalle padre dell’Ordine del Tempio. Ebbene, secondo la tradizione orale di Seborga, la città fu proprio un centro importante del misticismo culdeo. Si capisce, quindi, che il luogo rappresentava da sempre un crocevia di correnti religiose indipendenti dal cristianesimo cattolico.
Tant’è vero che già nel 400 d. C. soggiornarono a Seborga i santi Vincenzo e Cassiano anch’essi portatori del pensiero celtico del monaco irlandese Patrick, il quale durante la sua opera missionaria fece stazione a Lérins e nell’Inghilterra settentrionale. E quando, nel corso del IX secolo, i signori locali di rigoroso credo cattolico attaccarono e distrussero diversi bastioni del cristianesimo poco ortodosso, il Castrum Sepulchro divenne l’ultimo rifugio dei Lerinensi culdei. È per questo che cent’anni dopo il conte di Ventimiglia decise di consegnare il Castrum de Sepulchro e tutte le sue terre all’abate di Saint Honorat.
E nel 1117 Seborga pizza bern , chiamata all’epoca Castello delle quattro torri, accoglie un personaggio singolare: Bernardo di Chiaravalle. Questi avrebbe incontrato a Seborga i cistercensi Gondemar e Rossal e, insieme a loro, si adoprò per far erigere nella cittadina un convento e una cappella di Santa Petronilla. L’edificio sacro si è conservato. Oggi si chiama chiesa di San Bernardo il Vecchio.
Ecco una breve descrizione di Bernardo di Chiaravalle tratta dal libro “Il fatto Seborga” di Nino Allaria Olivieri e riportata da Edoardo Fenech nell’introduzione dell’opera:
“L’abate Bernardo, uomo piccoletto, malaticcio, molto pallido e dai rossi capelli ricciuti, forte e caparbio, intelligentissimo e dominatore di parola e di fatti, riesce a far consacrare i suoi primi otto cavalieri dal principe abate Edoard, nel mese di settembre del 1118.”(pag. 6)
Bisogna precisare che l’abate Edoard era colui che all’epoca governava Seborga. Ma più importante è il fatto che la tradizione seborghina veda proprio a Seborga gli inizi dell’Ordine del Tempio. Infatti i primi otto cavalieri consacrati da Edoard altri non erano che: Hugues de Payens, André de Montbard, Payen de Mont Didier, Geoffroy Bisol, Geoffroy de Saint Amand, Archambaud de Saint Amand, Gondemar e Rossal. Questi otto uomini, insieme con Hugues de Champagne, saranno i primi nove Templari. Si troveranno tutti a Seborga nell’avvento natalizio dell’anno 1127.
Già questo episodio tramandato dalla tradizione seborghina è abbastanza stupefacente di per sé. Si aggiunge poi un altro episodio della storia templare che avrebbe avuto luogo anch’esso nella cittadina ligure. Lascio la parola a Olivieri:
“In quel giorno si verificano due grandi fatti di intensa sacralità: alla presenza di tutta la popolazione, di 23 cavalieri e di oltre 100 miliziani (n. d. A.: membri della Milizia di Cristo), il principe abate Edoard investe Hugo de Payens o de Paganis quale Gran Maestro del nuovo ordinamento cavalleresco.”(pag. 7)
A Seborga: Templari, Catari e Cagoti
Non finisce qui. Adesso viene il bello:
“Più tardi si sancisce il patto segreto dell’unificazione cataro-cistercense fra San Bernardo e il gran sacerdote perfetto Giovanni de Usson, sotto l’albero secolare oggi conosciuto come l’Ulivo delle anime. (…) Il principato di Seborga che esercita il diritto di nullius diocesis sino al 1946, fu l’unico territorio sovrano cistercense sino al 20 gennaio del 1729, data in cui è stato ceduto al re di Sardegna tramite un atto rogato in Parigi e mai registrato.(…) Negli anni bui del Medioevo, dalle crociate guidate da Simon de Montfort alle persecuzioni dei domenicani; dall’assedio e dal rogo di Montségur eseguiti dai soldati del re di Francia Luigi IX, alla caduta del castello di Queribus, gli avvenimenti del Mezzogiorno francese si intrecciano con la vita degli abitanti e le incombenze dei sovrani del principato, legati soprattutto al vincolo che unisce Cavalieri e Catari cagoti nel mantenimento del grande segreto, oggi ancora tale e sempre protetto dalle mura del Castrum.”(pagg. 7-8)
Dunque la tradizione di Seborga unisce i Cistercensi, i Templari, i Catari e i Cagoti in un’alleanza segreta. L’archivista del Capitolo della Curia di Ventimiglia Nino Allaria Olivieri scoprì nell’archivio di Lérins diversi documenti del XII e XIII secolo che attestavano la presenza del catarismo a Seborga. Allaria Olivieri scoprì anche la presenza di un cimitero cataro medievale nel territorio della città. Anche esponenti dei Cagoti, misteriosa popolazione pirenaica di oscure origini, erano presenti a Seborga. Adempivano alla professione di maestri della pietra, erano costruttori, muratori, scalpellini, protetti dall’Ordine del Tempio e dai Cistercensi.(op. cit. pagg. 41-42).
Anch’essi sarebbero stati iniziati al grande segreto di Seborga. Di che segreto si trattava? Non lo sappiamo, ma lo storico Allaria Olivieri afferma che proprio per tutelare questo mistero fu riservato a Seborga un trattamento particolare. Per mezzo di statuti si impose ai vescovi di Ventimiglia il rispetto di nullius diocesis nei confronti della cittadina ligure, assicurando la sovranità cistercense sul territorio e impedendo così che l’Inquisizione potesse intervenire nella regione. Anche quando il papa, per compiacere il re di Francia Filippo il Bello, operò vendette e ritorsioni contro l’Ordine del Tempio, Seborga rimase indenne. Una storia alquanto singolare, non c’è che dire.
Nei confronti di Bernardo di Chiaravalle i cittadini di Seborga conservarono per sempre quel sacro rispetto che dalla loro città si diffuse in tutto il territorio circostante, dove sorsero molte chiese dedicate al grande cistercense. Anche dopo la morte di Bernardo e lo scioglimento dell’Ordine del Tempio, il Castrum de Sepulchro continuò a mantenere la sovranità. Soltanto con il tracollo del monastero di Lérins anche Seborga finì per perdere il suo prestigio e, nel 1729, passò sotto la protezione del re di Sardegna. Mentre l’abbazia di Lérins terminò la sua esistenza nel 1786 per mano di papa Pio VI.
Viene quindi da chiedersi: forse il grande segreto di Seborga, quello che per secoli le fruttò un trattamento privilegiato da parte di pontefici e sovrani, era in qualche modo legato al misterioso sepolcro che nei tempi più remoti dette il nome alla città? Nemmeno l’archivista Nino Allaria Olivieri, colui che frugando negli scritti polverosi di numerosi archivi ha ricostruito l’antica storia di Seborga e poi l’ha illustrata passo dopo passo in un libro ben documentato, è riuscito a venire a capo del segreto.
Per approfondire il tema Graal e Templari, rimando alla lettura del mio saggio „L’Eresia templare“ edito da Venexia Edizioni, 2008.
ANCHE COSÌ SI TUTELA E SI SALVAGUARDIA L’ IMMESO PATRIMONIO CULTURALE DEL NOSTRO PAESE
Un tuffo nel passato. Leggendo la storia del Principato di Seborga: un luogo dell’anima, ti ritrovi d’improvviso proiettato nell’epoca beata e fugace del cavalier cortese, delle Coorti sfarzose e festaiole e dei Castelli incantati. Suggestivo e bello !
Asseverato che la cultura o civiltà è quell‘ insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, l’araldica e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società civile. Ne deriva che la cultura non è limitata all’istruzione, all’erudizione, alla conoscenza delle grandi tradizioni letterarie e figurative dell’Occidente. Da cuo discende che fanno parte della „cultura“ -in senso antropologico- tutte le conoscenze, credenze, modelli di comportamento ed i prodotti di cui ciascun uomo è portatore ed elaboratore. Anche le tradizioni o le memorie orali possono essere fermate nel tempo procedendo alla registrazione audio-video di quei personaggi che ogni comunità cela e che in pochi conoscono, ma che, prima che il tempo li porti via con sé, possiamo immortalarli con i loro racconti e i loro ricordi affinché non vada perso il loro sapere che è patrimonio di tutti. Ecco, quindi, che rievocare e svolgere un‘ importante azione di recupero proprio in quest’ultimo ambito: recuperare e ri-mettere in circolo il patrimonio della tradizione diventa momento di produzione di risorse per il territorio sia all’interno sia verso l’esterno della comunità. D’altronde, senza passato, senza storia, senza memoria non vi è cultura, non vi è futuro. Senza storia, senza cultura, senza consapevolezza della propria cittadinanza ci si può smarrire, ci si smarrisce. La propria storia ed il proprio territorio: elementi fondanti di una “identità culturale” da conquistare e da condividere per dare voce alla convivenza possibile, all’interazione solidale fra eguali e diversi. Sul sentiero della libertà, della responsabilità e della coerenza ci si può incontrare, ci si deve incontrare, per dare senso alla nostra scommessa e al nostro impegno per un mondo più giusto e più libero, per una società più civile e più eguale, per una dignità più riconosciuta e più rispettata. Complimenti