L’uomo che celebrò l’armonia del cosmo

 

 

Pitagora. Il suo nome è, a buona ragione, uno dei più famosi al mondo. Eppure quest’uomo non ci lasciò nessuno scritto, nessuna invenzione tangibile, nessuna opera d’arte. Non fosse stato per i suoi discepoli, non sapremmo nulla della sua dottrina segreta. Pitagora scelse il mistero e duecento anni dopo la sua morte era un mito. I suoi seguaci lo consideravano addirittura un semidio, altri vedevano in lui l’incarnazione dell’iperboreo Apollo. Per noi è il grande filosofo greco che ci svelò la magia dei numeri e l’armonia del cosmo.

Eppure la storicità di Pitagora potrebbe essere messa in discussione quasi quanto quella di Gesù. Si potrebbe pensare che in realtà non sia mai esistito, tanto poco si sa di lui. Fortunatamente vi sono delle testimonianze di contemporanei, come quelle di Eraclito e Senofane, che lo citano nei loro scritti. La ricostruzione storica della dottrina pitagorica è difficile. Dobbiamo fare riferimento a fonti molto più tarde, di epoca romana. Inoltre bisogna dire che nelle biografie antiche è spesso arduo distinguere fra realtà e fantasia, a causa degli elementi leggendari che le contaminano e, nel caso specifico, della tendenza degli autori a innalzare la figura del filosofo oppure a screditarla, a seconda della circostanza.

E poi la domanda che ancora oggi divide gli storici è questa: appurato che Pitagora sia realmente esistito, chi era costui? Come possiamo definirlo esattamente al di là delle etichette standard usate e abusate? Un filosofo? Uno scienziato? Un matematico? Uno sciamano? Il capo di una setta religiosa? A tale proposito si sono cristallizzate, fra gli studiosi del “fenomeno Pitagora”, due tendenze principali e distinte.

Enigma Pitagora

L’una vede nel personaggio soprattutto un capo religioso poco interessato alle scienze, una specie di sciamano (vedi: Erik Frank, Eric Robertson Dodd, oppure Walter Burkert). Secondo questa teoria, Pitagora si interessava principalmente di cosmologia speculativa, di simbolica dei numeri e tecniche magiche di tipo sciamanistico. L’ipotesi sarebbe confermata dall’atteggiamento dei suoi allievi che lo consideravano un essere sovrannaturale dotato di un sapere divino e incontestabile. Anche la leggenda che gli conferisce poteri magici, sembra voler legittimare quest’immagine. I Pitagorici sarebbero stati, quindi, in primo luogo i membri di una comunità religiosa che perseguiva anche scopi politici.

L’altra tendenza considera Pitagora in prima linea un filosofo, scienziato e matematico (vedi: Werner Jaeger, Antonio Maddalena e Leonid Zhmud). Le ragioni: innanzitutto lo sciamanismo non era un fenomeno tipico dell’ambiente greco di quell’epoca. E poi, sostiene Leonid Zhmud, le leggende che parlano di una comunità mistico-religiosa dei Pitagorici e dei poteri sovrannaturali del loro maestro, derivano appunto da storie distorte, fantasticherie non rispondenti a realtà, non sono per nulla affidabili. Il Pitagora storico era semplicemente un filosofo che si interessava di matematica, teoria della musica e astronomia. La sua scuola non era affatto una comunità religiosa, ma un’associazione di studiosi che, a causa della loro filosofia di vita, si sentivano in dovere di partecipare attivamente alla politica del tempo.

Busto di Pitagora. Copia romana di originale greco, Musei Capitolini, Roma. Foto galilea CC BY-SA 3.0

Busto di Pitagora. Copia romana di originale greco, Musei Capitolini, Roma. © galilea CC BY-SA 3.0

Come vediamo, le cose non sono tanto semplici. L’immagine del Pitagora storico sfugge a qualsiasi classificazione troppo affrettata. Del resto, noi oggi siamo abituati a collocare subito tutti e tutto in categorie ben definite, mentre nei tempi lontani i confini tra un ambito e l’altro erano molto più sottili, più flessibili. In fondo il bianco e nero è una nostra invenzione moderna per risolvere in fretta problemi troppo complessi. Spesso finiamo per perdere di vista le infinite sfumature, le numerose tonalità di grigio di cui è costituita l’immagine. È probabile che, come accade spesso, la verità stia nel mezzo. Forse Pitagora fu un grande scienziato affascinato dal misticismo.

Prendiamo ora in esame le poche informazioni a nostra conoscenza. La sua data di nascita è incerta (ca. 572 a. C.) e quella della morte (ca. 495 a. C.) anche. Diverse “Vite” di Pitagora sono state scritte, ma tutte molto più tardi, in epoca neoplatonica. Si dice che il filosofo sia nato sull’isola di Samo, che sia stato uno sportivo durante la giovinezza, poiché partecipò alle Olimpiadi e vinse la palma d’oro nella disciplina del pugilato. Si parla di un suo soggiorno in Egitto, dove fu iniziato ai misteri di Iside e Osiride. Se ciò è vero, quest’ultima esperienza gli permise di avere accesso a documenti importanti custoditi nelle biblioteche egizie. Una buona base su cui avrebbe modellato le dottrine future.

Altre informazioni tramandate sulla sua vita sono la prigionia a Babilonia e il ritorno, da quarantenne, sull’isola di Samo. Ma a quel punto le avventure del matematico, narrano i biografi, non erano ancora finite. Il tiranno Policrate lo costrinse ad abbandonare la Grecia e Pitagora, imbarcatosi insieme ai suoi seguaci, giunse in Italia. A Crotone fondò la sua comunità (ca. 530 a. C. ). E proprio laggiù, in Calabria e nella maturità della sua vita, iniziò il capitolo forse più glorioso della storia del filosofo.

Intorno a Pitagora si era formato un gruppo di discepoli che praticavano le dottrine del maestro. La comunità dei Pitagorici era scuola filosofica, partito politico e setta esoterica allo stesso tempo. I letterati Porfirio e Giamblico raccontano che se la cerchia esteriore della comunità era formata dai filosofici cosiddetti acusmatici, quella interiore era invece il gruppo degli esoterici, definiti matematici. Gli acusmatici diffondevano i detti del loro maestro (akusmatha), i suoi pensieri. Mentre i matematici, che si occupavano della parte mistica e trascendentale della dottrina, si circondavano di mistero.

La scuola di Pitagora come società segreta

I mathemata, ovvero le materie di studio dei matematici, erano la geometria, l’aritmetica, ma anche l’armonia e l’astronomia. Da ciò si intuisce la vastità degli argomenti trattati e l’importanza dell’insegnamento di Pitagora. Il filosofo apriva ai suoi discepoli un intero universo, il significato più profondo e l’intrinseca bellezza dei numeri. Per noi che abbiamo imparato a scuola il suo teorema, la tavola pitagorica e altre nozioni matematiche del genio greco, è difficile accostare il personaggio Pitagora all’esoterica. Eppure la scuola dell’uomo di Samo era anche questo, se è vero che la sua struttura aveva le caratteristiche tipiche di una società segreta. E infatti, come in ogni società segreta che si rispetti, la dottrina veniva tramandata a voce.

Per poter partecipare alla conoscenza dei mathemata, era necessario aver prima adempiuto a un noviziato che durava tre anni. Dopodiché si aveva accesso al primo grado iniziatico di cinque anni. Soltanto allora il neofita diventava un vero discepolo di Pitagora e poteva incontrare il suo maestro di persona. Ma anche dopo aver avuto diritto a questo privilegio, la prova non era giunta al termine.

Ora il novello discepolo doveva esercitare la sua capacità di mantenere il silenzio assoluto. Per ben cinque anni. Ascoltava e taceva. La parola del maestro era legge per lui. Ipse dixit: Lui lo disse, era la tipica risposta di un allievo di Pitagora. Ascoltando il maestro in silenzio, il discepolo imparava a meditare sulle parole udite e a percepire anche le informazioni che gli giungevano dalla propria voce interiore.

Illustrazione del teorema di Pitagora. che, allo stesso tempo, è anche un'illustrazione geometrica della sezione aurea.

Illustrazione del teorema di Pitagora. Il volume del quadrato più grande corrisponde alla somma dei volumi degli altri due quadrati più piccoli. © Wapcaplet CC BY-SA 3.0

 

Questi Pitagorici dovevano sembrare ben strani ai loro concittadini. Facevano tutto in segreto, avevano un comportamento elitario, vestivano sempre di bianco, non mangiavano carne perché convinti che l’uomo e l’animale, entrambi creature di bassi istinti, avessero entrambi diritto alla vita. A tale proposito Cicerone scrisse:

“Pitagora ed Empedocle affermano che tutti gli esseri viventi hanno gli stessi diritti e che coloro, i quali rechino offesa a un essere vivente, siano soggetti a pene terribili.”(Cicerone, “De re publica”, vol. III, 1, 19)

Si “cibavano” invece di musica e incensi, cioè di quei mezzi eterei che aprivano la via alle percezioni extrasensoriali della mente e dell’anima, al mondo segreto dei simboli, alla chiaroveggenza e alla telepatia. L’aldilà e la reincarnazione (detta anche metempsicosi ) erano concetti familiari ai Pitagorici. Gli iniziati indossavano sempre una lunga tunica immacolata e curavano l’igiene del corpo praticando lavaggi rituali (questo ricorda gli Esseni).

Nei cosiddetti “Versi aurei”, opera apocrifa della scuola pitagorica redatta in epoca più tarda, è racchiusa una lista di 71 regole che i discepoli dovevano seguire quotidianamente per essere in condizione di poter meglio raggiungere la Conoscenza. Nonostante i Versi risalgano al I secolo d. C. e non siano stati scritti dalla mano di Pitagora, è probabile che rispecchino – almeno in parte – il pensiero del maestro.

Pitagora teneva in grande onore la sezione aurea e il simbolo del pentagramma. Quest’ultimo rappresentava l’essere umano ed era una rappresentazione del pianeta Venere, la cui orbita intorno al sole disegna un pentagramma. Sacra veniva considerata la tetrachis, vale a dire la sequenza di quattro numeri i cui valori singoli sommati fra loro danno il 10: 1 + 2+ 3+ 4 = 10. La tetrachis era il simbolo del Demiurgo (il creatore dell’universo) e corrispondeva alla forma geometrica di un triangolo, laddove il numero 1 rappresentava l’elemento del fuoco e la potenza creativa; il 2 l’elemento dell’aria e della materia sottile; il 3 l’elemento dell’acqua e dell’unione tra spirito e materia; il 4 l’elemento della terra e la forma del creato.

La tetrachis corrispondeva inoltre, per i Pitagorici, all’armonia delle sfere. Pensavano che l’armonia derivasse dalla molteplicità dell’uno, che ogni cosa presente nell’universo fosse riconducibile a un valore numerico. Di conseguenza ogni cifra, fosse essa pari o dispari, era armonia di per sé. Non dobbiamo forse dargli ragione quando ascoltiamo un brano di  musica classica composto da un grande maestro del passato? Non riusciamo a percepire anche noi, in quei momenti sfuggenti, l’armonia del cosmo?

Microcosmo e macrocosmo: altri due concetti che ci ha insegnato Pitagora. Lo scambio continuo ed eterno fra la creatura umana e l’universo che la circonda. Come sopra, così sotto, disse l’egizio Ermes Trismegisto. E Pitagora non era forse stato in Egitto? Non era stato iniziato ai misteri di Iside e Osiride?

Per non parlare poi dell’innovazione della matematica e della geometria, la cui origine Aristotele attribuiva a Pitagora. E qui giungono due voci autorevoli: quella dello storico Erodoto di Alicarnasso, che situava le origini della geometria in Egitto; e quella di Isocrate, il quale era convinto che Pitagora avesse appreso in Egitto importanti nozioni geometriche e astronomiche.

„Tutto è numero“

“Tutto è numero” diceva Pitagora. Cosa associamo ancora al suo nome? Il teorema, ovviamente, e l‘incommensurabilità, l’irrazionalità, la teoria della proporzione, l’analisi matematica della musica e la rappresentazione degli intervalli musicali  per mezzo di rapporti matematici, la divisione dell’ottava, l’armonia delle sfere o suono dei pianeti. La musica del cosmo che non possiamo udire, perché suona costantemente come un sottofondo eterno, talmente familiare alle nostre orecchie, da divenire muta.

Ma non dobbiamo immaginare Pitagora con i suoi discepoli come un sorridente Buddha attorniato da meditabondi seguaci. I Pitagorici non erano pacifici viandanti e nemmeno agnelli sacrificali. Miravano a prendere in mano le redini dello Stato per plasmarlo a loro modo, erano molto attivi in politica. Anzi, si dice che Pitagora avesse addirittura redatto una costituzione per la città calabrese di Crotone che governò secondo queste sue leggi. Che ciò sia vero oppure no, di certo il filosofo aveva un grande influsso sulla città. Alla luce della suo pensiero, si pensa inoltre che Pitagora propendesse per una politica conservatrice e questo di certo lo rendeva benvoluto presso le famiglie più importanti dell’aristocrazia, mentre i democratici non dovevano vederlo di buon occhio.

Moneta antica che ritrae Pitagora.

Moneta antica che ritrae Pitagora.

La popolazione di Crotone, irritata dal successo di quest’uomo che ammaliava i giovani con il suo carisma e inquietata dall’aura di misteriosa segretezza che circondava la sua scuola elitaria, gli si rivoltò contro. I Pitagorici, si dice, non esitarono a far uso delle armi. E non si limitarono a conquistare la stessa Crotone, bensì occuparono il territorio circostante e più tardi anche le città di Metaponto e Sibari.

La Magna Grecia era nelle loro mani. Le singole città erano governate da membri della scuola esoterica di Pitagora. Insomma, non si trattava affatto di un’innocua associazione filosofica ma di un nuovo sistema di governo basato sui principi pitagorici. Viene quasi da pensare ai fanatici islamici di oggi che vogliono imporre al mondo intero la loro religione basata sul libro sacro del Corano. Allo stesso modo i Pitagorici volevano instaurare uno Stato sulle basi degli insegnamenti del loro maestro.

La situazione precipitò nel 450 a. C., quando numerose insurrezioni popolari portarono al crollo della federazione delle città pitagoriche. Prima fu distrutta Crotone, poi Metaponto. I Pitagorici caddero nelle mani del popolo inferocito. Pochi riuscirono a salvarsi, si dice. Se il discepolo Filolao non fosse riuscito a scappare a Siracusa e non avesse rivelato gli insegnamenti segreti al tiranno Dionisio, oggi probabilmente non sapremmo nulla di Pitagora.

Fu infatti Filolao a mettere per iscritto la dottrina del suo maestro, e il grande filosofo Platone provvide a diffonderla nei suoi “Dialoghi”. Altri discepoli che si salvarono furono Liside e Archippo, mentre sulla dinamica della morte di Pitagora nulla di certo sappiamo. Secondo alcune testimonianze, morì a Metaponto. Qui però i cittadini lo tenevano in tale onore, da trasformare la sua abitazione in un tempio di Demetra.

E noi? Potremo mai capire l’uomo di Samo che predicava l’amicizia e il bene comune al punto da sembrare un comunista ante litteram, e poi invece si schierava dalla parte degli aristocratici conservatori? Poco importa. Ciò non toglie nulla alla sua saggezza visionaria. Possiamo ben comprendere il suo legato che parla una lingua universale, quella dei numeri. Pitagora ci ha lasciato una grande eredità: l’armonia dei numeri e il principio cosmico della perfezione alle origini di ogni cosa e di ogni essere vivente nell’universo. Vorrei concludere queste riflessioni con una frase dell’astronomo e matematico Giovanni Keplero (1571-1630):

“La geometria possiede due grandi tesori: uno è il teorema di Pitagora, l’altro la sezione aurea. Il primo può essere paragonato a una manciata d’oro, il secondo a un prezioso gioiello.”

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