L’aplogruppo U è il più antico d’Europa

 

 

Il DNA dei primi Europei, di quelle popolazioni della specie Homo sapiens  che vivevano più di 34.000 a. C. nell’odierna Russia, ha iniziato a rivelare i suoi segreti. Chi erano i nostri antenati? Da dove veniamo? Quali connessioni ci sono fra noi moderni e le popolazioni di Homo Sapiens cacciatori-raccoglitori che vissero prima dell’ultima grande glaciazione? È l’uomo di Kostenki, a darci le risposte. Lo ha fatto parlare Svante Pääbo, fondatore della Paleogenetica e attuale direttore del dipartimento Genetica dell’Evoluzione al Max Planck Institut di Lipsia.

 L’area archeologica di Kostenki si trova nella Russia meridionale, sulla riva destra del fiume Don, a circa 40 chilometri dalla città di Voronez. Comprende ben 26 siti di scavo e, insieme con l’area di Pavlov nella Repubblica Ceca, è famosa per l’alta concentrazione di ritrovamenti di diverse epoche, vale a dire datati in un lunghissimo arco di tempo che si estende da 45.000 a 10.000 anni fa. Da Kostenki provengono statuette di Veneri paleolitiche, una miriade di utensili da caccia specializzati e strumenti di uso domestico, oggetti ornamentali, resti di abitazioni fatte di ossa di mammut e diverse sepolture.

 Nel 30.000 a. C., la vita a Kostenki non doveva essere poi così male. Dobbiamo pensare che in questa regione russa putty , prima che la glaciazione Würm raggiungesse il picco massimo (ca. 20.000 a. C.), il clima era meno freddo di quanto lo sia oggi. Inoltre i cacciatori-raccoglitori, perfettamente integrati nel loro ambiente naturale, erano ben organizzati. Vivevano in ampie, comode capanne pavimentate, costruite con pelli e gigantesche ossa di mammut, fornite di focolari di argilla e, in inverno, opportunamente riscaldate. Cacciavano in un habitat con vegetazione di tipo tundra e, di conseguenza, disponevano di una relativa ricchezza di selvaggina grossa. Ma soprattutto, particolare oggi fin troppo spesso sottovalutato, erano uomini liberi. Non dovevano rendere conto a nessuno del loro stile di vita, vivevano in un habitat che gli apparteneva, così come loro erano parte della natura che li circondava.

 Nel 1954, nel sito di Markina Gora, fu trovata una sepoltura con i resti fossili di un giovane uomo (20 – 25 anni) che misurava circa 1,60 m di altezza. Lo scheletro si presentava molto ben conservato. Questo individuo era stato seppellito in una fossa di forma ovale, in posizione fetale, e si presentava interamente ricoperto di pigmento colorato rosso ocra, tipico dei corredi funerari del Paleolitico. Il celebre archeologo e antropologo russo Michail Gerasimov effettuò la ricostruzione facciale dell’uomo di Kostenki, lo immortalò in una scultura.

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 L’opera di Gerasimov fece all’epoca parecchio scalpore, perché le caratteristiche facciali del defunto antidiluviano non erano quelle che tutti si aspettavano di vedere. Non si trattava di un tipico europeo con caratteristiche caucasiche, ma di un afro-asiatico. Eppure proprio questo doveva essere l’aspetto dei primi Sapiens che raggiunsero l’Europa intorno al 45.000 a. C.. Oggi lo sappiamo con relativa sicurezza, grazie alla genetica. Non solo. L’Homo sapiens giunse in Europa portando nel proprio genoma – come afferma Svante Pääbo – le sequenze del DNA dell’uomo di Neanderthal. Il defunto di Kostenki era quindi un misto di Sapiens afroasiatico e Neanderthal.

 Così dobbiamo immaginarlo. Perché? Da dov’era venuto prima di raggiungere la Russia? Ripercorriamo il suo itinerario a ritroso: Asia centrale, e prima India/Pakistan, e ancor prima Medio Oriente, e in origine…Africa. Ed è proprio nel Medio Oriente che Svante Pääbo colloca la probabile zona di ibridazione fra Sapiens e Neanderthal.

Uomo di Kostenki: aplogrupppo U2, quello dei cacciatori raccoglitori di 30.000 anni fa

 L’analisi dello scienziato svedese ha permesso di ricostruire la sequenza dell’intero genoma mitocondriale dell’uomo di Kostenki. Partiamo allora dall’aplogruppo, vale a dire l’insieme di tipi di DNA mitocondriale con le medesime caratteristiche genetiche che è la chiave alle origini di tutte le popolazioni umane del globo. I diversi aplogruppi rappresentano le maggiori ramificazioni del gigantesco albero che costituisce la varietà della specie Homo sapiens cui apparteniamo noi tutti.

 Secondo i risultati delle analisi di Pääbo, l’uomo di Kostenki è stato classificato nell’aplogruppo U2 che nelle popolazioni odierne è abbastanza raro e appare diffuso con scarsa presenza in alcune aree dell’Asia meridionale e occidentale, dell’Africa settentrionale e dell’Europa. Le popolazioni che oggi rientrano in questo aplogruppo, sono discendenti dirette degli Homo sapiens cacciatori-raccoglitori che vivevano in Europa 30.000 anni fa e si diffusero dalla Siberia sino alla Penisola Iberica. Questo vale anche per gli aplogruppi strettamente collegati all’U2, come per esempio U1, U3 e U5. Insomma, l’aplogruppo U sembrerebbe essere il più antico d’Europa.

Il DNA dei primi Europei. Uomo di Kostenki. Ricostruzione del professor Gerasimov.

Il DNA dei primi Europei. Uomo di Kostenki. Ricostruzione del professor Gerasimov.

 A ciò si aggiunge un’analisi del DNA mitocondriale eseguita su resti umani del Paleolitico che sono stati scoperti in Italia meridionale, nella Grotta Paglicci, e risalgono approssimativamente al 28.000 a. C. . E qui apro una breve parentesi: questo sito archeologico della Puglia è di grande importanza perché contiene graffiti, pitture rupestri, impronte di mani arcaiche e ha custodito tra le sue pareti di roccia un certo numero di sepolture e più di 40.000 reperti. Un vero archivio del passato. Un tesoro della preistoria.

 Ebbene, nel 2006 la caverna ha subito danni causati da atti vandalici e due anni dopo la parete esterna della grotta si è rivelata pericolante. Fino a poco tempo fa il sito si trovava in una situazione di degrado. Non so se nel frattempo siano state prese le misure necessarie e colgo l’occasione per rivolgere un appello a chiunque legga questo articolo: dobbiamo salvaguardare i luoghi come la Grotta Paglicci, che ci ricollegano alle nostre origini. Proteggere i siti archeologici è importante per noi tutti. Non commettiamo l’errore di cancellare il nostro passato e teniamolo da conto. Come diceva Wilhelm von Humboldt: “Solo chi conosce il passato, ha un futuro.”

 Ciò detto, torno all’esame del DNA eseguito sui resti ossei di Paglicci che evidenzia l’appartenenza della persona seppellita nella caverna all’aplogruppo H. Si tratta di quello più diffuso tra gli Europei di oggi, con chiara prevalenza nell’Europa occidentale. Sempre secondo il ricercatore Pääbo, l’aplogruppo H (insieme con i gruppi J e K) è giunto in Europa in un periodo che risale approssimativamente a 10.000 – 9000 anni fa, introdotto dagli agricoltori-allevatori immigrati dal Vicino Oriente, dal Caucaso e dall’Anatolia che eventualmente sarebbero anche i portatori della cultura con ceramica a nastro (LBK, Linearbandkeramik).

 Molto più tardi, verso il 2500 a. C., si verificò un leggero aumento dell’arcaico aplogruppo U dei cacciatori-raccoglitori, forse dovuto a un ritorno in patria di popolazioni originarie, ma l’aplogruppo H continuò a prevalere, e così è fino a oggi. Non c’è che dire, un’informazione estremamente interessante che fa luce in questa materia alquanto complessa. A ciò si aggiungono i risultati della ricerca sul genoma dei primi Europei recentemente raggiunti da uno studio dei genetisti Johannes Krause dell’Università di Tubinga e David Reich della Harvard Medical School di Boston.

 Le loro analisi hanno evidenziato la presenza di un terzo grande gruppo accanto a quello dei cacciatori-raccoglitori (aplogruppo U) e degli agricoltori-allevatori (aplogruppo H). Si tratta di una popolazione di Eurasiatici del nord, che visse in un vasto territorio situato fra Europa e Siberia fino a migliaia di anni fa. Ed ecco una sorpresa: l’esame del genoma di un ragazzo siberiano vissuto 24.000 anni fa, dimostra che questi Eurasiatici del nord si incrociarono sia con gli Europei che con i nativi Americani. Sembra trattarsi di quelle popolazioni indoeuropee che, intorno a 3000-2500 anni fa, sono giunte nell’Europa centrale dalle steppe russe.

 Dalla doppia elica del DNA giunge uno spiraglio di luce a rischiarare il buio delle nostre origini. Ovviamente le informazioni da digerire sono tante e tutte molto complesse. Alla fine resta una certa confusione nei pensieri del profano, una miriade di domande in sospeso nella mente del ricercatore dentro la materia. È chiaro che si debba attendere ancora per vederci più chiaro. Questi sono i primi passi. Lasciamo lavorare al scienza. È più che evidente un fatto: la ricerca sulle nostre origini si presenta lunga e impervia, e siamo appena all’inizio.

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