Il DNA degli Europei e l’origine delle lingue indoeuropee

 

 

L‘origine delle lingue indoeuropee è da collocarsi nelle steppe dell‘Eurasia. Laggiù, presso le popolazioni di cavalieri nomadi, si sviluppò circa 6500 anni fa una lingua madre che si diffuse in Asia e in Europa. Dunque, se recentemente alcuni studiosi avevano formulato un‘ipotesi che collocava la culla delle lingue indoeuropee in Anatolia, oggi i risultati delle ultime ricerche la smentiscono e confermano invece la teoria delle steppe eurasiatiche.

6.500 anni fa: la madre di tutte le lingue

I nuovi indizi giungono dal team del ricercatore Will Chan dell’Università di Berkeley, California. Dopo aver comparato 200 termini di lingue indoeuropee viventi ed estinte e i loro cambiamenti nel corso dei millenni, il team di Chan è stato in grado di compilare un albero evolutivo più preciso. I calcoli statistici eseguiti a computer hanno fatto il resto, collocando l’origine di una lingua madre indoeuropea intorno a 6500 – 5500 anni fa, nelle steppe della Russia.

Urheimat degli Indoeuropei. Espansione della lingua indoeuropea dal 4000 al 1000 a.C.. - mappa Dbachmann CC BY-SA 3.0

La vastissima area in questione si estenderebbe dalla Moldavia sino al Kazakistan occidentale, abbracciando l’Ucraina e la Russia. Era la patria di quei nomadi che praticavano l’allevamento, la metallurgia e la costruzione di carri. L’innovazione principe di queste culture delle steppe fu l’invenzione della ruota, che i nomadi eurasiatici avrebbero poi esportato in Mesopotamia ed Europa.

Oggi la grande famiglia delle lingue indoeuropee ha conquistato il globo. 445 lingue sono parlate da almeno tre miliardi di persone, praticamente le più parlate al mondo. Forse proprio per questo il problema della Urheimat, vale a dire la terra d’origine delle lingue indoeuropee, affascina da secoli gli studiosi.

Per risolverlo, i linguisti hanno ricostruito forma e significato originari di migliaia di termini del vocabolario protoindoeuropeo che riguardano la famiglia, la religione, la vita quotidiana. Ciò ha permesso di circoscrivere l’area in cui queste popolazioni vivevano. Combinando poi il vocabolario protoindoeuropeo con i reperti archeologici delle zone in questione, si è cristallizzato uno scenario più concreto di 5500 anni fa. I calcoli statistici hanno completato il quadro. La collocazione della Urheimat degli Indoeuropei ha definitivamente chiarito anche la questione degli Arya (Ariani).

Arya sì – Arya no

Fin troppo spesso si fa confusione fra Indoeuropei e Arya. Un tema che è stato strumentalizzato, allo scopo di confermare l’esistenza passata di una razza di superuomini alle radici delle culture europee. In realtà il fatale malinteso è nato dalla convinzione che gli Arya fossero un’etnia particolare, appartenenti a una cosiddetta razza ariana (magari pure con capelli biondi e occhi azzurri). Nulla di più sbagliato. Si trattava di popolazioni diverse, con differenti caratteristiche somatiche, accomunate da uno stesso ceppo linguistico, una medesima tradizione, stessi riti religiosi e credenze. Nessuna razza, quindi, ma piuttosto una cultura.

Sir William Jones che scoprì l'affinità delle lingue indoeuropee e l'esistenza di una lingua madre comune - dominio pubblico

Sir William Jones scoprì l’affinità delle lingue indoeuropee e l’esistenza di una lingua madre comune – dominio pubblico

La questione indoeuropea si pose per la prima volta alla fine del XVIII secolo, quando il linguista sir William Jones, nel corso della sua permanenza in India, studiò gli antichi scritti sacri „Veda“. Le sorprendenti conoscenze linguistiche di Jones comprendevano: sanscrito (lingua in cui erano stati scritti i „Veda“), persiano medievale, latino, greco antico, tedesco medievale, gallese e inglese. Sulla base di una comparazione fra tutte queste lingue, lo studioso constatò la supremazia del sanscrito.
Secondo Jones, il sanscrito era „più perfetto del greco, più ricco di vocaboli del latino e più raffinato di entrambe le lingue; ma al contempo presentava una forte affinità con esse, sia nelle radici dei termini che nelle forme grammaticali“ e ciò non poteva essere un caso. Tutte queste lingue dovevano avere una matrice comune. Una lingua madre che forse non esisteva più. Jones pensava inoltre che anche il persiano, il gallese e il tedesco probabilmente derivassero da un’unica, stessa lingua più antica.

E fu in quel momento che si cominciò a cercarla. Si cercò la lingua madre. Soprattutto nell’ambiente colto i risultati di Jones ebbero grande risonanza. Colpirono l’immaginazione dei cosiddetti Romantici, quei filosofi, scrittori e artisti che aspiravano al ritorno dell’umanità alle radici, ad uno stile di vita più autentico, basato sulle esperienze dirette della comunità. Un ritorno alle origini. Si cominciò a cercare un collegamento profondo – ed elitario – del proprio popolo con delle genti all’alba delle culture, quelle che parlavano la lingua madre perduta. Ogni nazione pretendeva questo privilegio per sé.

Di pari passo con tale sviluppo, anche l‘immagine degli Indoeuropei cambiava: non erano più soltanto delle genti che parlavano la lingua madre, ma anche un’etnia particolare, unica, superiore. Nasceva il mito del superuomo. Un’esclusività pericolosa, soprattutto se strumentalizzata da ideologie politiche.

Esemplare del Rig Veda dell'inizio del XIX secolo. Sanscrito. Dominio pubblico

Esemplare del Rig Veda dell’inizio del XIX secolo. Sanscrito. Dominio pubblico

I superuomini delle origini furono chiamati Arya perché gli autori dei più antichi scritti in sanscrito e persiano – „Rig Veda“ e „Avesta“ – definivano se stessi Arya (termine di difficile traduzione, approssimativamente: privilegiati, non appartenenti al popolo, diversi ) Si cercò, dunque, la patria di questi Arya. Sir William Jones la collocò in Iran.
Nella seconda metà del XX secolo, lo studioso tedesco Gustav Kossinna tentò di dimostrare che la culla degli Arya si trovava nella Germania settentrionale. Ormai il problema della Urheimat degli Indoeuropei era diventato una questione politica e fu ampiamente abusato dai nazisti, per dimostrare la superiorità del popolo tedesco. In realtà l’Arianesimo si potrebbe definire, come sostiene a ragione l’antropologo inglese David Anthony, „una categoria religioso-linguistica“.

I cavalieri delle steppe invadono l‘Europa

Come scrivevo più sopra, le caratteristiche linguistiche sommate ai reperti archeologici ci forniscono un quadro dell’ambiente, della struttura sociale e dell’economia dei Protoindoeuropei. Possiamo, per esempio, dedurre che queste genti vivevano in una struttura sociale patrilineare, in cui diritti e doveri venivano trasmessi attraverso la linea di sangue paterna.

È probabile che le donne, una volta sposate, abbiano lasciato la famiglia paterna e si siano trasferite in quella dello sposo e che tutti, nelle comunità, riconoscessero l’autorità di un capo. Si evidenzia anche la predominanza di una classe di guerrieri, che praticavano sacrifici rituali di bovini e cavalli, adoravano una divinità del cielo maschile e facevano ampio uso di carri da guerra.

Questi elementi trapelano sia dai reperti archeologici che dal vocabolario protoindoeuropeo. Un tipico esempio linguistico, forse il più indicativo in assoluto, è il termine che designa la ruota. In protoindoeuropeo: keklos oppure kekelos. Da esso deriva il vocabolo inglese wheel e il nostro ciclo; ma vi è anche un secondo termine protoindoeuropeo: rot-eh, da cui deriva il nostro vocabolo ruota e quello tedesco rad. Il protoindoeuropeo presenta un ampio vocabolario collegato al carro e affini. Tale aspetto, insieme alla domesticazione del cavallo, che nelle steppe eurasiatiche avvenne molto presto (D. Anthony: 4800 a.C.), e ad altri reperti archeologici di primo piano, porta a pensare che l’invenzione della ruota e del carro abbia avuto luogo proprio in quest‘area.

Con le dovute riserve, possiamo inoltre affermare che il protoindoeuropeo arcaico fu parlato nelle steppe approssimativamente a partire dal 6500- 5500 a.C., il protoindoeuropeo antico tra il 4000 e il 3500 a. C. e il protoindoeuropeo tardo fra il 3500 a. C. e il 3000 a. C.. Poi, a partire dal 2500 a. C., questa lingua madre sarebbe andata perduta, gradatamente sostituita dalle parlate locali.

Ristampa di Zend-Avesta, 1976, di Ignace Pietraszewski's Zend-Avesta, pubblicato nel 1858 a Berlino-persiano antico. Dominio

Ristampa di Zend-Avesta, 1976, di Ignace Pietraszewski’s Zend-Avesta, pubblicato nel 1858 a Berlino-persiano antico. Dominio pubblico

L’ultima data, 2500 a.C., coincide con una grande ondata migratoria di abitanti delle steppe eurasiatiche nell’Europa centrale. Questo lo dice la ricerca genetica. I risultati giungono dal team dello studioso Wolfgang Haak dell’Università di Adelaide, che ha analizzato il patrimonio genetico di circa 100 europei vissuti fra 8000 e 3000 anni fa, e dunque appartenenti sia a cacciatori raccoglitori che  a esponenti delle culture contadine.

Sulla base di queste analisi ora sappiamo che almeno due grandi ondate migratorie hanno mutato in modo esponenziale il quadro dell’Europa preistorica: quella avvenuta da 8000 a 7000 anni fa, quando i contadini si spostarono dal vicino oriente e l‘Anatolia ai territori del Danubio e della Penisola Iberica; e quella avvenuta circa 4500 anni fa, quando gli Indoeuropei si spostarono dalle steppe eurasiatiche all’Europa centrale.

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