Sparite per sempre nelle sabbie del deserto?

 

 

Le corone dei faraoni, simboli di potere per eccellenza, non sono mai state ritrovate. Sono andate perdute. Eppure erano un attributo indispensabile, che sempre appare nelle raffigurazioni degli dèi e in quelle dei sovrani. Impossibile immaginarli senza corona, altrimenti quell’aura di sacralità che li accompagnava costantemente si sarebbe dissolta come una bolla di sapone. Privato della corona, il re sarebbe divenuto di colpo un comune mortale. Un funzionario di Stato e non più il sacerdote primo, il tramite fra popolo e divinità.

La corona come simbolo di potere appare in molte culture dell’antichità, ma è anche vero che gli Egizi sublimarono l’uso di questi copricapo aggiungendo alle corone di base altri elementi (corna, piume, dischi del sole, serpenti, avvoltoi, ecc.) e inventandone così sempre di nuovi e più bizzarri, più imponenti, più complessi. La corona era dunque essenziale. Eppure, una volta passato all’altro mondo, il sovrano lasciava questo simbolo dietro di sé. Non c’erano corone nei sarcofagi. Il re non veniva seppellito con la sua corona. Gli scavi archeologici non ne hanno portato alla luce nessuna. Viene da chiedersi perché.

Materiale naturale e velocemente deperibile? Che la corona fosse ereditaria e passasse da un re all’altro? Eppure gli egittologi tendono a pensare che fosse fatta su misura in occasione di ogni nuova incoronazione. Forse il materiale usato era talmente prezioso, da far sì che questi oggetti siano stati tutti rubati dai conquistatori delle Due Terre e poi debitamente riciclati? Oppure tali cimeli dal grande valore tradizionale e religioso furono nascosti dai loro possessori in qualche luogo segreto, allorché la fine del regno egizio si avvicinava, proprio per sottrarli alla distruzione? Certo, anche le corone appartenenti ad altre antiche culture non sono mai state ritrovate.

Corone dei faraoni. Mentuhotep III con la corona bianca. Foto: Keith-Schengili-Roberts- CC-BY-SA-2.5

Corone dei faraoni. Mentuhotep III con la corona bianca. © Keith-Schengili-Roberts- CC-BY-SA-2.5

E qual era il significato e l’uso di questi preziosi simboli? Raffigurazioni geroglifiche, pitture e statuaria ci hanno tramandato un intero repertorio di corone. Secondo le narrazioni sacre degli antichi Egizi, erano accessori sacri, consegnati ai re dagli déi stessi, i netjer. Un chiaro passaggio di potere, una linea diretta dal cielo alla terra. Dunque erano anche delle reliquie e, di conseguenza, intorno a questi oggetti si svolgeva un vero e proprio culto. Vediamo di prendere brevemente in esame le singole corone di base. Da queste derivarono poi le numerose variazioni di cui dicevo sopra, a seconda della divinità cui erano ispirate.

Faraoni d’Egitto: una corona per ogni occasione

Una delle corone più antiche è senz’altro la corona bianca (hedjet), che già appare in raffigurazioni predinastiche ed è legata all’Alto Egitto. Alcuni studiosi tendono a pensare che originariamente la corona fosse fatta di giunco e poi, in un secondo tempo, sbalzata in oro. Altri, come l’egittologo Kurt Sethe, ritengono che fosse fatta di tela. La sua teoria deriva da alcuni testi sacri in cui si legge che un sacerdote aveva il compito di realizzarne una nuova giornalmente. Margaret Murray, invece, pensava che si trattasse di una sorta di turbante. La sua teoria si basava su delle raffigurazioni dell’XI dinastia in cui la corona sembra essere formata da un tessuto avvolto intorno al capo come un bendaggio. Quest’idea, però, mal si adatta all’altezza della corona stessa che poteva raggiungere un’altezza di circa 50 cm. Un’ultima ipotesi vede la corona bianca fatta di cuoio oppure feltro. Il fatto che essa appaia nella maggior parte delle raffigurazioni di colore bianco e però sulle teste degli dèi sia rappresentata talvolta in giallo, suggerisce che ne siano esistite due versioni: una con un rivestimento d’argento e una con un rivestimento d’oro. In ogni caso è interessante anche il fatto che nelle raffigurazioni della corona bianca risalenti all’Antico Regno appaia sulla parte inferiore della corona una sorta di cuffia aderente al capo, così da far pensare che l’accessorio venisse realizzato su misura, affinché si adattasse perfettamente alla testa di chi la portava.

Anche la corona rossa (deshret) compare su diverse raffigurazioni predinastiche ed è, quindi, di origini molto antiche. E anche in questo caso il materiale con cui veniva fabbricata rimane un enigma. Un problema che vale per quasi tutti i copricapo egizi. Ancor più difficile è l’identificazione dello strano “ricciolo” che s’innalza verso l’alto e che potrebbe essere derivato dal simbolo dell’ureo (cobra) del Delta. È infatti la corona tipica della dea Neith, signora di Sais e divinità del Delta per eccellenza, sin dal Predinastico. Un elemento che suggerisce l’esistenza di un regno predinastico del Basso Egitto, soprattutto se accompagnato a una particolare lettura della testa di mazza di re Narmer. Questa raffigurazione geroglifica (secondo W. Emery et alii) indicherebbe l’unione del re con una regina del Delta per cementare l’unione delle Due Terre seguita alla conquista armata. È necessario, a tale proposito, ricordare anche un rito religioso di epoca saitica, in cui il re si recava nel corso di una cerimonia simbolica dal palazzo di Sais al tempio di Neith e lì si mostrava al fianco della dea (probabilmente rappresentata da una sacerdotessa) portando la corona rossa sul capo.

Corone dei faraoni. Mentuhotep II con la corona rossa. Dominio pubblico.

Corone dei faraoni. Mentuhotep II con la corona rossa. Dominio pubblico.

Da questi due copricapo è formata la corona doppia (sehemty). Fino alla IV dinastia la corona bianca predominava, nascondendo nelle raffigurazioni geroglifiche gran parte della corona rossa, mentre a partire dalla IV dinastia accadde il contrario. Ricordo che l’unione delle due corone era un forte simbolo politico, perché rappresentava l’unione di Alto e Basso Egitto.

Altrettanto antico è il copricapo nemes, quella sorta di fazzoletto pieghettato che si portava calato sulla fronte, dietro le orecchie, e che ricadeva, annodato, lungo la schiena. Era spesso accompagnato dal diadema dell’ureo (cobra) posto sul mezzo della fronte. Lo troviamo già sulla statua di re Djoser (III dinastia) e, molto più tardi, domina la famosa maschera mortuaria in oro e lapislazzuli del faraone Tutankhamon. Ma anche la sfinge di Giza indossa un copricapo nemes.

La corona atef è costituita da una corona bianca affiancata da due penne di struzzo, cui nel Nuovo Regno si unirono delle corna di ariete oppure di toro, talvolta anche un disco solare e un ureo sulla parte anteriore del copricapo. Nel Nuovo Regno, inoltre, appare un tipo di corona atef portata da Osiride che non vede nella parte centrale del copricapo la corona bianca, bensì quella rossa. Difficile è ricostruire la complicata struttura tecnica dell’accessorio, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento delle piume e delle corna. Riguardo invece all’uso della corona atef, sembra che questa potesse sostituire nel suo significato la corona doppia già nella IV dinastia, e quindi rappresentasse anch’essa l’unione delle Due Terre. C’è ancora da dire che era la classica corona degli dèi, portata da Osiride, Horus, Ra, Amun, Ptah, Min, Hathor, Iside e anche Sobek. Appare invece sulla testa dei faraoni soltanto a partire dalla XVIII dinastia. È la regina Hatshepsut a portare per prima la corona atef. Dopo di lei: Amenophis III, Ramesse II, Ramesse III e alcuni regnanti della dinastia dei Tolomei.

La corona blu (chepresh) fa la sua apparizione nel Secondo periodo intermedio e poi domina il Nuovo Regno. Un copricapo dalla cima arrotondata ornato dall’ureo, il cui uso sembra essersi intensificato durante il regno di Amenophis III. Nel periodo di Amarna troviamo questa corona blu anche sul capo delle regine. Famoso è il busto di Nefertiti, conservato al Museo Egizio di Berlino, che vede la regina indossare la chepresh anche se realizzata in una versione tutta particolare per la dinastia di Amarna. È probabile che questo copricapo sia un’evoluzione di una semplice cuffia blu di cuoio o stoffa come quella che porta di solito il dio Ptah. Sulla parte anteriore spicca anche qui il cobra, mentre la parte posteriore qualche volta è ornata dal falco ad ali spiegate. Il materiale di cui era fatta la corona potrebbe essere stato metallico.

Corone dei faraoni. Tutankhamon con la corona blu. Dominio pubblico.

Corone dei faraoni. Tutankhamon con la corona blu. Dominio pubblico.

C’è da ricordare ancora la corona di piume formata da un copricapo rotondo dalla base piatta detto anche modius o kalathos – forse fatto di giunco intrecciato – e due alte piume di struzzo. Questa corona ornò sia la testa delle regine e delle dee egizie che quella delle dee greche e romane. Altro copricapo sacro femminile era la corona con l’avvoltoio, attributo della dea Mut. Era formato da un nastro legato intorno al capo che recava sulla fronte un ureo e un modus al quale potevano essere applicati differenti accessori come delle ali d’oro, un avvoltoio, un falcone, delle corna d’ariete, e altro. Una corona molto raffinata, di certo fatta anche di materiale prezioso.

E, per finire, la corona hemhemet che parrebbe essere una variazione della corona atef. È infatti formata da tre corone atef munite di corna d’ariete ed eventualmente di dischi del sole. Questo tipo di corona molto elaborata appare durante il regno del faraone eretico Akhenaton. La radice del suo nome hm-hm è collegata ai significati grido, ruggito, terrore, il che suggerisce un nesso fra questo copricapo e un’azione bellica.

L’enigma dell’ureo: il cobra che sputava fuoco

A partire da una certa epoca, tutte queste corone portavano sulla parte anteriore l’ureo (cobra), il serpente tipico del Delta che non aveva soltanto la funzione di richiamare alla memoria la dea Uto/Wadjet del Basso Egitto, ma anche quella di ricordare un elemento ricorrente dei racconti teogonici di Edfu: l’arma mortale del cobra inceneritore. Le leggende sacre raccontano che questo serpente si trovava sulla fronte di Horus quando il dio andava sul campo di battaglia accompagnato dai suoi Shemsu-Hor. Con il suo alito infuocato l’ureo inceneriva il nemico.

Corone dei faraoni. Tutmosis III con il fazzoletto nemes. Foto: W.wolny CC-BY-SA-3.0

Corone dei faraoni. Tutmosis III con il fazzoletto nemes. © W.wolny CC-BY-SA-3.0

Sempre grazie ai miti teogonici sappiamo che quest’arma letale veniva custodita in uno scrigno deposto nella fortezza orientale della città Per-Sopdu. Questo centro del Delta rivestì in periodo dinastico grande importanza. Era situato sulla via di Horus, quella che portava al Sinai, quindi in una posizione strategica di difesa delle Due Terre da eventuali invasioni orientali. Era per metà cittadella militare e per metà luogo sacro. A Per- Sopdu si ergevano infatti diversi santuari. Se oggi della città non è rimasto quasi nulla a causa dell’antropizzazione massiccia del territorio con conseguente distruzione e/o rimozione di edifici antichi, le cronache egizie ci dicono però che proprio qui, nelle stanze ipogee di un complesso sacro, venivano custodite le tombe degli dèi.

Ma il cobra era anche il simbolo del Basso Egitto, raffigurato dalla dea Uto che originariamente veniva venerata nella città predinastica di Buto. Il suo pendant era la dea avvoltoio Nechbet, signora dell’Alto Egitto. Le Due Signore si affacciano sulle sponde del Nilo già nei tempi più antichi e sembrano aver avuto da sempre una funzione protettiva. Del resto sappiamo che la città della dea avvoltoio situata nell’Alto Egitto, Nekheb, fu un centro molto importante sin dalla notte dei tempi. Ubicato sull’altra sponda del Nilo, era il corrispondente di Nekhen, la città del falco Horus. Le Due Signore erano le custodi della corona per eccellenza e uno dei nomi che componevano la titolatura del re era proprio il nome delle Due Signore.

Non mi pare quindi troppo azzardato supporre che le Due Signore, una delle quali – Uto – divenne poi nei miti teogonici l’ureo dall’alito infuocato sulla fronte di Horus, abbiano rivestito un ruolo di primo piano all’alba della storia egizia. Da signora del Delta a occhio di Ra. La sua potenza distruttiva fu chiusa nello scrigno della fortezza orientale, là dove si trovava anche la porta del cielo. L’egittologo Hans Bonnet osserva:

“L’ureo è l’animale della dea del Basso Egitto Uto; ci si aspetterebbe quindi che anche l’uso del diadema con l’ureo fosse di casa nella regione di questa. Tanto più che il luogo principale di culto della dea era Buto, capitale di un antico regno del Delta. È abbastanza credibile che i dominatori del Delta si siano incoronati con il suo diadema dell’ureo. In questo modo diventavano tutt’uno con la dea assorbendone il potere.(…) I testi sacri sono in tal senso abbastanza chiari. Raccontano di come, per mezzo dell’ureo, la dea stessa avesse preso posto sulla fronte del re.” (H. Bonnet “Lexikon der ägyptischen Religionsgeschichte”, pag. 845)

Un passaggio di potere, la cui traccia rimase per sempre nei miti e nelle pratiche rituali delle Due Terre.


Per approfondire il tema dell’Egitto predinastico e protodinastico, rimando al mio saggio “Prima di Cheope” edito da Nexus Edizioni, 2013.

 

I miei libri e ebooks